a cura di redazione sito sAm
In questi giorni, tra la festa della Liberazione e quella dei lavoratori e delle lavoratrici, ci sembra naturale ritornare su Giulio Regeni: riascoltando le parole che Paola Deffendi, la mamma di Giulio, ha pronunciato il 29 marzo, quando ha ricordato le torture praticate dal nazifascismo in Italia e ha osservato che oggi “organizzazione sindacale” è diventata una brutta parola; pensando alla ricerca di Regeni sui movimenti sindacali indipendenti in Egitto; riflettendo su come esperienze, vicende, bisogni, sentimenti individuali possono dar vita a un discorso politico e a solidarietà collettive, e chiamare in causa le leggi; andando con il pensiero a quanti protestano e resistono al regime di polizia, al prezzo di intimidazioni, torture, o della vita; rendendo omaggio alle donne che, da plaza de Mayo a piazza Tahir, chiedono conto allo Stato della vita e della libertà dei loro figli.
1. Il 29 marzo 2016, nel corso di una conferenza stampa tenutasi in una sala del Senato della Repubblica italiana, Paola Deffendi ha ricordato il figlio Giulio Regeni morto sotto tortura in Egitto.
Parlando del destino toccato a suo figlio, la mamma l’ha paragonato a quello dei partigiani torturati dai nazifascisti, esprimendo un omaggio nei confronti dei partigiani, e sottolineando allo stesso tempo le differenze: “forse è dal nazifascismo che noi in Italia non ci troviamo a una situazione di tortura com’è successa a Giulio. Giulio però non andava in guerra, e con questo stimo moltissimo i partigiani eh!, che sono stati uccisi sotto tortura, ma loro ahimè erano in guerra e lo sapevano, mentre Giulio era andato a fare ricerca. Era un ragazzo contemporaneo, come ne abbiamo visti tanti, era andato a fare ricerca e invece è morto sotto tortura, è morto ucciso e torturato”.
Oggi “organizzazioni sindacale”, ha notato ancora la signora Deffendi, “è diventata una brutta parola”. Ricordando il viso del figlio, Paola Deffendi ha denunciato quello che succede a molti in Egitto, a molti altri figli come il suo Giulio.
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2. Ancora una volta è una donna, una mamma a esprimere una denuncia pubblica contro apparati dello Stato che pretendono l’impunità. Come ha osservato il senatore Luigi Manconi, i “familiari delle vittime […] trovano l’energia per fare un discorso politico, perché la politica è questa, è prendere una vicenda personale che chiama in causa le leggi, il diritto, le relazioni internazionali e la chiama con il suo nome” (si legge in http://urbanpost.it/giulio-regeni-genitori-di-giulio-come-quelli-di-cucchi-aldrovandi-e-uva).
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha ribadito che quanto è avvenuto a Giulio Regeni non è un caso isolato. «Secondo gli ultimi dati forniti dall’organizzazione egiziana “El Nadeem”, che il Governo ha peraltro minacciato di chiudere, dall’inizio di quest’anno i casi accertati di tortura in danno di cittadini egiziani sono stati 88 e in 8 casi c’è stato il morto». Sempre secondo i dati di “El Nadeem”, negli stessi giorni della sparizione di Giulio e del ritrovamento del suo cadavere altri due egiziani sono stati presi e fatti trovare morti, ufficialmente per mano della criminalità; nel 2015 ci sono stati 464 casi di sparizione e 1676 di tortura.
Noury ricorda inoltre i forti interessi economici e politici dell’Italia in Egitto, e in particolare cita le “forniture di migliaia di pistole e fucili d’assalto nel 2014 al neonato regime di Al Sisi”, chiedendosi: chi esclude che queste armi non siano state rivolte contro le manifestazioni di piazza al Cairo? La richiesta di verità perciò va rivolta non solo al governo egiziano, ma anche a quello italiano (l’intervista in http://www.repubblica.it/esteri/2016/03/16/news/amnesty_regeni-135631279/; i dati di “El Nadeem”, così come i due casi di fine gennaio 2016, sono stati citati da Riccardo Noury nel corso della conferenza stampa del 29 marzo 2016 citata, e quindi ripresi dalla stampa e da alcuni deputati per le loro interrogazioni parlamentari sul caso).
3. In un discorso pronunciato nel 1964 per ricordare i caduti delle guerre mondiali, Günther Anders disse che non abbiamo la forza per immaginare milioni di morti e per sentire le loro grida, e che perciò l’unico modo per farlo è ricordare ognuno un morto, uno solo: una donna bruciata a Dresda, un ebreo ucciso dal gas ad Auschwitz, un uomo picchiato a morte in una cantina della Gestapo, un algerino torturato, un bambino che domani morirà ucciso dalle radiazioni…
Anders indicò due motivi per ricordare un singolo individuo ucciso: il primo, perché “la somma dei nostri pensieri e del nostro lutto” forse “si avvicinerà a quello che dovremmo veramente piangere”, e in secondo luogo perché potremmo così trovare “la forza per deciderci: ottenere che coloro che oggi piangiamo in anticipo tuttavia sopravvivano, che il terribile non accada”.
Anders concluse così il suo discorso: “In questo pensiero e in questa decisione, nata dal lutto, vi prego di alzarvi in piedi”.
Anders diceva: se possibile, scegliere qualcuno che non faccia parte dei propri “morti personali”. La mamma di Giulio Regeni ricorda suo figlio, ma ha la forza di pensare a un singolo ragazzo ucciso, “un ragazzo contemporaneo” “come tanti altri”, per ricordare tutti coloro che hanno subito la sua fine, denunciare quello che sta avvenendo e protestando perché cose del genere non debbano più succedere.
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4. Due mamme hanno risposto dall’Egitto, rendendo pubblico il lutto per la morte dei loro rispettivi figli, manifestando solidarietà e affetto alla mamma di Giulio Regeni: associandosi alla richiesta di verità e di giustizia, le due donne hanno sfidato il loro governo e gli apparati statali che nascondono la verità e coprono i colpevoli delle sparizioni, delle torture e delle morti che continuano ad avvenire in Egitto.
In un video di circa un minuto, diffuso su youtube, la mamma di Khaled Said ha espresso condoglianze e solidarietà alla mamma di Giulio Regeni. Khaled Said fu ucciso a bastonate da poliziotti ad Alessandria nel giugno 2010, durante il regime di Mubarak, nel clima delle leggi d’emergenza allora in vigore: secondo le versioni diffuse anche dalla stampa italiana, Khaled aveva voluto spiegazioni dai poliziotti che, nell’“euforia” dei poteri speciali accordati, l’avevano fermato per una perquisizione; la risposta alla richiesta di spiegazioni fu un pestaggio brutale seguito da torture letali e da un tentativo di attribuire la morte ai degli sconosciuti. Secondo l’agenzia Associated Press, Khaled era stato preso di mira perché aveva pubblicato su internet un video che dimostrava il coinvolgimento di quei poliziotti in un traffico di droga. Forse per questo, dopo l’uccisione, una delle versioni fornite della polizia parlava di Khaled come di un tossicodipendente che era morto soffocato nel tentativo di far sparire, inghiottendolo, un pacchetto di marijuana.
La vicenda di Khaled Said è considerata una delle scintille della rivolta che sfociò nella rivoluzione egiziana del 26 gennaio 2011. La famiglia aveva diffuso una terribile foto del suo corpo martoriato, scattata dal fratello al momento del riconoscimento. (Il caso è ricostruito nella voce di wikipedia https://en.wikipedia.org/wiki/Death_of_Khaled_Mohamed_Saeed; per la stampa italiana: https://it.globalvoices.org/2010/06/egitto-khaled-said-torturato-e-ucciso-dalla-legislazione-demergenza/; http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-02-01/martire-acceso-piazza-063636.shtml?uuid=AbXez36E; per la versione relativa al video di denuncia, http://www.elshaheeed.co.uk/home-khaled-said-full-story-background-truth-what-happened-torture-in-egypt-by-egyptian-police/)
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Amr Ibrahim Metwalli è un attivista egiziano di cui non si hanno più notizie dal 2013. Sua madre ha scritto una lettera a Paola Deffendi Regeni, diffusa dalla stampa italiana il 6 aprile. Sentimenti comuni, una speranza affidata a chi viene da fuori e ha delle possibilità che chi è in Egitto non ha; ma anche una pena supplementare: “Io e mille altre madri egiziane vorremmo rivedere i nostri figli, anche se fossero avvolti in un vestito bianco, macchiato del loro stesso sangue, anche se fossero presentati alla procura con il volto tumefatto dalla tortura subita ed anche se li vedessimo condotti all’impiccagione…”. La pretesa di avere un cadavere e una sepoltura.
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Testi
1. Paola Deffendi, Sono la mamma di Giulio…
Buon pomeriggio. Sono la mamma di Giulio. Non è facile essere qui, e come ha detto l’onorevole Manconi, continua a rinnovare il nostro dolore: e continuo a dire: è un dolore necessario. E dobbiamo dircelo – noi ce lo diciamo ogni giorno, a casa ogni secondo del giorno e della notte – però dobbiamo dircelo tutti insieme, anche perché quello che è successo a Giulio non è un caso isolato, com’è stato detto dal governo egiziano, ultimamente hanno detto: perché tanto fragore della stampa per un caso isolato? ma cos’è? Mi sono chiesta. Ho lavorato con i bambini tanti anni: un caso di morbillo, per caso? la varicella? Un’influenza che andava… isolata? Forse le idee di mio figlio non piacevano?, mi sono chiesta, e tante altre cose. Quindi, questo caso isolato allora lo analizzerei da due punti di vista però, ci son due modi di vederlo.
Allora se ci riferiamo a cosa è successo a un cittadino italiano, non so da quando (perché non ho fatto approfondimenti storici sulle torture dei cittadini italiani in Egitto), penso che forse sia un caso isolato, o questa cosa sia successa tanti anni fa, chissà quando.
Poi un caso isolato mi riporta a un mio amico, e a una professoressa, con il quale abbiamo discusso, che forse è dal nazifascismo che noi in Italia non ci troviamo a una situazione di tortura com’è successa a Giulio. Giulio però non andava in guerra, e con questo stimo moltissimo i partigiani eh!, che sono stati uccisi sotto tortura, ma loro ahimè erano in guerra e lo sapevano, mentre Giulio era andato a fare ricerca. Era un ragazzo contemporaneo, come ne abbiamo visti tanti, era andato a fare ricerca e invece è morto sotto tortura, è morto ucciso e torturato.
Poi, sempre ritornando al caso isolato, invece, mi riferisco a quanto hanno detto gli egiziani, la parte amica degli egiziani. Hanno detto: l’hanno torturato e ucciso come fosse un egiziano. Allora noi come famiglia ci siamo detti: certo, abbiamo educato i nostri figli perché si aprissero al mondo – e io son stata anche insegnante –, e insieme comunque tutti abbiamo portato insieme dei valori. E siamo qui. Non occorre che aggiungo altro.
Volevo però dirvi alcune cose di Giulio. Voi avete visto…. allora Claudio mio marito vi ha spiegato in breve il percorso, così forse è chiaro che Giulio era andato là per fare ricerca, non era un giornalista, non era una spia, e tutto quello che è saltato fuori. Era un ragazzo, appunto, contemporaneo, che studiava, e mi verrebbe da dire, del futuro, perché se non è stato capito nella sua, così, apertura al mondo – allora forse era ragazzo del futuro. Lui – come tanti altri sapete. Allora voi avete visto le foto, le avete anche pubblicate, e giustamente, di Giulio. Questo bel viso – io sono sua mamma eh!, quindi dico che era un bel ragazzo, però me l’hanno detto anche altre persone. Un bel viso sempre sorridente, con uno sguardo aperto, con una postura aperta. L’ultima foto sua, fatta il 15 gennaio, quando ha compiuto ventotto anni (e il 25 è sparito, occhèi?, dieci giorni dopo) era quella foto che tutti ormai conoscete, con la maglia verde scura, la camicia… un rosso direi, un rosso Bordeaux: quella è l’ultima immagine che noi abbiamo di Giulio. È una foto felice, era in compagnia dei suoi amici al Cairo, sotto (di solito non si vede) c’è un bel piatto di pesce, perché lui comunque, è vero che era studioso, è vero che approfondiva, ma era anche un ragazzo… un giovane uomo come tutti gli altri, che anche si divertiva con i suoi amici, amici che aveva di tutto il mondo. Ecco: quindi l’ultima immagine che noi tutti direi abbiamo di lui è quella. E dopo io, Claudio e i medici – i nostri medici legali –, i nostri legali, abbiamo un’altra immagine di Giulio: un’immagine che con dolore io e Claudio giorno e notte cerchiamo di sovrapporre forse a quell’ultima immagine, io ho anche un’immagine che non darò a nessuno di Giulio prima della partenza che mi dice: “dài mamma, fammi una foto”, che di solito lui neanche voleva essere fotografato. E quindi quella immagine però io cerco costantemente di sovrapporla a un’altra immagine che ho: l’immagine del suo volto come è stato restituito dall’Egitto. Io penso che di quel viso che era… così: bello, aperto, solare, con un’immagine di lui, di un viso che era diventato piccolo, piccolo, piccolo, che io e Claudio abbiamo baciato e accarezzato, non vi dico che cosa non hanno fatto a quel viso, io su quel viso ho anche visto oltre che il male, che in quel momento ho detto: qua tutto il male del mondo si è riversato su lui, perché? Perché si è riversato su lui? e quindi su quel viso, che era diventato piccolo, piccolo… colori che non vi dico, forse l’unica cosa che ho veramente ritrovato di lui – ma l’unica – è stata la punta del suo naso. Quando noi siamo entrati a Roma nell’obitorio per riconoscerlo, perché in Egitto ci era stato consigliato di non vederlo – avevamo anche accettato perché eravamo talmente fuori, credetemi, che abbiamo detto beh forse è meglio ricordarlo così com’era –, poi arrivati a Roma abbiamo detto no, io mi sarei personalmente sentito una vigliacca come mamma non aver coraggio di guardarlo in viso dopo tutto quello che ha subito, e in lontananza quando ci siamo… quando siamo entrati nella sala dell’obitorio, che lui era disteso, l’unica cosa che io ho detto a Claudio, ho detto: sì, è lui, lo vedo dalla punta del naso, mai più avrei pensato di riconoscere così bene la punta del naso di mio figlio, però per il resto, credetemi, non era più il nostro Giulio.
E quindi non possiamo dire che è un caso, un caso isolato, uno in meno mi vien da dire, eh no! Questo è Giulio, un cittadino italiano, un cittadino del mondo, che poteva aiutare tanto, tutti, proprio anche l’Egitto, il Medio Oriente, aveva visto avanti lui che aveva studiato l’arabo, e stava approfondendo aspetti economici, gli aspetti sindacali, oggi come oggi mi sembra che dire la parola “sindacale” sia quasi una brutta parola diventato, gli aspetti di emarginazione, e qua mi riferisco a tutti gli avvenimenti che abbiamo avuto in questo ultimo periodo – una bella riflessione su dove stiamo andando –, e quindi quel Giulio non l’avremo più. Ma come Giulio penso che a tanti altri è successo quello che è successo a Giulio. Quindi un caso isolato, sì, Giulio rispetto alla nostra storia, ma rispetto ad altri egiziani, e non solo, non è un caso isolato. Quindi anch’io continuerò a dire sempre: verità per Giulio. Il 5 aprile aspettiamo noi che arrivino gli egiziani, ma mi domando: che cosa porteranno? Grazie.
Nota. La conferenza stampa nella sala Nassiriya di Palazzo Madama, 29 marzo 2016, in https://www.youtube.com/watch?v=CQaUQ4n6UQc; l’intervento della signora Paola Deffendi, mamma di Giulio Regeni, ai minuti 11’07’’-19’47’’.
Cari compagni del Tempo della Fine! Noi siamo qui riuniti per ricordare i morti delle tre guerre mondiali. Sappiamo che la nostra forza non basta per immaginare davvero questi milioni e per udire l’immenso compianto che risulterebbe dalla somma di altrettanti milioni di grida di morti. Cosa possiamo fare allora per ricordarli in qualche modo?
Mi sembra che non ci resti altro da fare che ognuno di noi tenti di celebrare un morto, uno solo. Ma, se possibile, uno che non faccia parte dei suoi morti personali.
Uno ricordi un bambino distrutto dalle radiazioni a Hiroshima.
L’altro una donna bruciata a Dresda.
Il terzo un ebreo ucciso dal gas ad Auschwitz.
Il quarto un marinaio americano annegato nell’oceano.
Il quinto un uomo picchiato a morte in una cantina della Gestapo.
Il sesto un algerino torturato.
Il settimo un russo morto assiderato a Stalingrado.
L’ottavo un bambino che domani morirà ucciso dalle radiazioni.
Il nono un marinaio che domani annegherà.
Il decimo un bambino che domani non verrà più alla luce del mondo.
In questo pensiero e in questa decisione, nata dal lutto, vi prego di alzarvi in piedi.
Nota. Günther Anders, I morti. Discorso sulle tre guerre mondiali (1964), in Id., Discorso sulle tre guerre mondiali, a cura di Ea Mori, Linea d’ombra, Roma 1990, pp. 58-59.
Nel nome di Dio misericordioso invio le mie condoglianze alla madre del martire Regeni. Sono con lei e sento il suo stesso dolore, come soffro, ogni giorno, fino ad ora, per Khaled. Voglio ringraziarvi per essere con noi e per il suo interesse e preoccupazione per i casi di tortura in Egitto. Il lavoro di suo figlio sarà continuato. Che Dio sia con lei e le permetta di superare… Non so che dire, perché è difficile descrivere quello che sento…, non posso spiegare proprio quello che sento. Prego che Dio conceda la pazienza…, a voi e a noi, e a tutte la madri dei martiri.
Nota. Riprendiamo il testo dal video: https://www.youtube.com/watch?v=TsBr3l1D9aM.
4. La madre di Amr Ibrahim Metwalli
Cara Paola Regeni, sono passati mille giorni dal rapimento di mio figlio, Amr Ibrahim Metwalli, che è stato nascosto nelle carceri del potere egiziano. Ho ascoltato le tue parole, mentre chiedevi giustizia (il termine può essere anche tradotto con «vendetta», ndt) nei confronti degli assassini di tuo figlio Giulio in terra d’Egitto. Sentivo dentro di me il dolore che portavi addosso, che è simile a quello che io vivo da mille giorni. Ti faccio le condoglianze per la perdita di tuo figlio, in questo modo orrendo e atroce, disumano. Condivido la tristezza e l’amarezza. Malgrado tutto questo, ti invidio per questo coraggio nel presentare le tue richieste determinate, ti invidio questo interesse del tuo governo per la causa di tuo figlio e, scusami, ti invidio per aver potuto rivedere tuo figlio, anche se questo incontro è stato tragico. Tu almeno l’hai rivisto e hai avuto una certezza, hai conosciuto il suo destino e la tua angoscia si diraderà con il corso della giustizia contro i suoi assassini.
Io e mille altre madri egiziane vorremmo rivedere i nostri figli, anche se fossero avvolti in un vestito bianco, macchiato del loro stesso sangue, anche se fossero presentati alla procura con il volto tumefatto dalla tortura subita ed anche se li vedessimo condotti all’impiccagione… Ma almeno vorremmo rivederli. Vorremmo vedere che i media del mio Paese parlassero del caso dei nostri figli scomparsi e delle nostre tragedie, invece di rivolgere a noi le accuse di raccontare bugie, accrescendo così le nostre sofferenze. Vorremmo che un procuratore ci desse un po’ di ascolto, come ha fatto la giustizia italiana nel vostro caso, e desse corso alla giustizia anche qui, per riportare alle nostre famiglie un minimo di diritti.
Signora Regeni, io e altre centinaia di mamme egiziane ti diciamo che i nostri cuori sono con te, ti esprimiamo le nostre condoglianze e siamo al tuo fianco, le nostre mani stringono le tue… È tutto quello che possiamo fare, ti diciamo che la causa di tuo figlio è la nostra e ti diciamo anche che la causa dei nostri figli è nelle tue mani. La scoperta della verità nella causa di Giulio riporterà a noi i nostri figli e i nostri diritti. E ti diciamo anche che i nostri cuori si calmeranno soltanto quando tu e la tua famiglia otterrete giustizia.
Nota. Traduzione di Farid Adly che, come molti altri siti, riprendiamo da http://www.corriere.it/esteri/16_aprile_06/cara-mamma-giulio-io-ti-ammiro-a88fbe3a-fc31-11e5-a926-0cdda7cf8be3.shtml.
PS Mentre chiudiamo queste note, la situazione in Egitto diventa sempre più buia. Il 26 aprile la famiglia Regeni ha dichiarato di essere “angosciata” per l’arresto in Egitto di Ahmed Abdallah al-Sheikh, presidente della Commissione egiziana per i diritti e le libertà (Ecrf), ong che sta offrendo attività di consulenza ai legali della famiglia e che ha documentato nei mesi scorsi centinaia di casi di persone scomparse in Egitto. Secondo Amnesty International, Ahmed Abdallah è stato prelevato nella sua abitazione nella notte tra il 24 e il 25 aprile dalle Forze speciali con l’accusa di istigazione alla violenza per rovesciare il governo, adesione a un gruppo “terroristico” e promozione del “terrorismo”. Fonti della procura generale del Cairo hanno risposto che il provvedimento è stato attuato per “manifestazione senza autorizzazione” e che “questa questione non ha nulla a che fare con la famiglia dello studente italiano”. Per i reati contestati, secondo la nuova legge anti-terrorismo l’uomo rischia anni di prigione in attesa di una sentenza.
Non si tratta di un caso singolo. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ha denunciato l’arresto di almeno 238 persone, tra cui attivisti e giornalisti locali e stranieri, tra il 21 e il 25 aprile. Le accuse sono di aver compiuto reati contro la sicurezza nazionale e aver violato la legge antiterrorismo e la legge sulle proteste. Amnesty International ha chiesto alle autorità egiziane di rispettare il diritto di manifestazione pacifica e la libertà di espressione, e di rilasciare tutte le persone arrestate per aver manifestato in forma pacifica. (Sulla stampa italiana: http://www.repubblica.it/esteri/2016/04/27/news/regeni_procura_cairo-138560204/?ref=HREC1-6; http://www.huffingtonpost.it/2016/04/26/ahmed-abdallah–arrestato-regeni_n_9777426.html)