di Giuliana Bertacchi, a cura di Giannarosa Vivian
Pubblichiamo un ricordo inedito di Giuliana Bertacchi (1938-2014) sul rito dei doni ai bambini la notte dal 12 al 13 dicembre a Bergamo: come diceva la filastrocca, “con la borsa del papà / Santa Lucia / la ‘egnerà”. Regali e classi sociali tra gli anni della seconda guerra mondiale e il primo dopoguerra; le ragioni di una certa antipatia per Santa Lucia a distanza di cinquant’anni. Con una nota di Giannarosa Vivian. Cogliamo l’occasione per ricordare che il 19 dicembre 2014 la Giunta comunale di Bergamo conferirà a Giuliana la benemerenza cittadina 2014.
A Bergamo (e provincia) “viene” la Santa Lucia, nella notte tra il 12 e il 13 dicembre. La formula tra i bambini era appunto: “A te, chi ti viene?”. Era negli anni di guerra e del primissimo dopoguerra, quando gli sfollati milanesi, soprattutto delle classi medio-alte, erano approdati in città alta, anzi nelle ville dei colli (San Vigilio, etc.).
A loro, invece, “veniva” Gesù Bambino. Lo consideravamo una barbarie, anche perché non c’era coreografia di asinelli con ceste; solo un neonato mezzo nudo; non c’erano filastrocche ad hoc, come per la
Santa Lucia
mamma mia
con la borsa del papà
Santa Lucia
la egnerà (verrà)…
Rivelazione esplicita, ma non sufficiente a distruggere sogni e miti. A me personalmente lo distrusse, in sogno, la comparazione tra i regali che la Santa portava ai bambini più stronzi e più asini e quelli che destinava invece ai più bravi (anche a scuola) e ai più bisognosi di conforto e risarcimento dal cielo.
Noi eravamo molto poveri, e in grossissime difficoltà, ma io vedevo attorno a me bambini ancora più miseri e disagiati, spesso molto “buoni” secondo i canoni consueti (lavoravano, oltre a frequentare la scuola, vivevano in condizioni angosciose, etc etc…), ma Santa Lucia li ignorava, premiando invece con regali splendidi la figlia del federale (stupida, e con il distintivo fascista, frignona, asina…) o il figlio del droghiere borsanerista (violento, rissoso, torturatore di gatti).
E allora? I conti celesti non tornavano e bisognava rifarsi a quelle terreni.
Per i poveri (cioè per quasi tutti i miei compagni di allora) la Santa Lucia portava zuccherini (incartati con le frange), mandarini (il loro profumo evocava immediatamente la Santa Lucia: …“che odore di Santa Lucia!” si usava dire), fichi secchi o castagne pure secche, qualche torroncino (Vergani, nella piccola, meravigliosa scatoletta dorata e decorata con armi, cavalieri, piumaggi).
A noi, in aggiunta, qualche libro, sempre (ho molto amato Cooper, London, persino Ugo Mioni e il suo Matirù, etc.); qualche piccolo giocattolo (mai il sospirato Monopoli, o il meccano, o gli schettini…).
La cosa più triste fu fingere di credere, per non deludere gli adulti; due volte triste, perché i miei genitori non potevano permettersi di accontentare i nostri desideri e ne soffrivano. Cercavano una compensazione con la coreografia scenografica: le orme dell’asinello e della Santa, le pagliuzze di fieno sparse sul cammino, le tracce di crusca… (la sera del 12 si lasciava un bicchiere d’acqua per la Santa e una ciotola con crusca o fieno per il suo asino).
Mio fratello, maggiore di me di un paio di anni, e molto più “buono” di me (che ero un po’ discola), invece, continuava a credere alla Santa Lucia. Desiderava ardentemente un trenino elettrico e, per meritarselo, si comportò per mesi in modo irreprensibile, sopportando anche le mie bizzarrie e i miei giochi turbolenti con meravigliosa pazienza. Era sicuro di ottenere il dono desiderato e mia madre si sentì costretta a dirgli l’amara verità: non c’erano i soldi per il trenino e non c’era nessuna Santa Lucia. La mamma lo ricordava come un dolore per lei grande, vivo nella memoria. Mio fratello – che io ricordi – non ne ha mai parlato, almeno con me, la miscredente, costretta a fingere anche con lui, forse – inconsciamente, ma con molti sensi di colpa – anche per lui.
Sarà per questo che dopo più di cinquant’anni ho ancora una certa antipatia per Santa Lucia? (e anche per Gesù Bambino, Babbo Natale e compagnia).
Nota. Gli ultimi giorni del dicembre 1996 Piero Brunello, io e un’amica di Milano li trascorremmo nel piccolo paese di Pramousquier, in Provenza, ospiti di Giuliana Bertacchi e di suo marito Giorgio. Una sera, seduti a tavola, ci mettemmo a parlare dei ricordi che ognuno di noi conservava fin dall’infanzia delle feste tradizionali che cadono tra la fine dell’anno e l’inizio dell’anno nuovo, se ricevevamo regali o no, e nel caso, chi li portava. Piero stava buttando giù degli appunti per un articolo che stava scrivendo per la rivista Altrochemestre. La mattina dopo Giuliana scese in cucina tenendo in mano dei fogli dove aveva scritto ciò che in parte aveva rievocato nella chiacchierata della sera precedente.
Ho trascritto fedelmente il testo di Giuliana. Nell’originale, scritto a penna biro nera su sette fogli di bloc-notes numerati in alto a destra, le correzioni a mano di Giuliana sono due (un “della” che diventa “che la”; lo “stemma” fascista cambiato in “distintivo”). In due punti (ad hoc, Matirù) le parole sono sottolineate, indicando un corsivo. Giuliana era così: parlava come scriveva, e scriveva come parlava. Si sarebbe potuto fare una registrazione audio e poi trascriverla pari pari, senza dover cambiare niente, appunto come sto facendo ora. Mentre Giuliana raccontava non si vedevano le virgole e i punti esclamativi, ma ascoltandola li si poteva immaginare, c’erano già.
Il Matirù ricordato da Giuliana è il libro illustrato di Ugo Mioni, Matiru. Il Re delle Pelli Rosse. Avventure illustrate da E. Zanetti, A. Donath, Genova 1897 (probabilmente la terza edizione: Vallardi, Milano 1929).
Giannarosa Vivian
Marco Fincardi dice
Io, da guastallese, ho trovato un po’ di bei regali sabato mattina (il 13). Anche la mia compagna trentina. Eppure non avevamo messo la crusca e la tazza d’acqua sul davanzale, per l’asinello della santa. Fa piacere animare così il buio di queste lunghe notti che concludono l’autunno
Domenico dice
Grazie Gianna, è bello ricordare e lasciarsi trasportare dai suoi ai nostri ricordi… non ti sembra un po’ la nostra befana?
Gigì dice
Grazie Gianna, per avermi fatto risentire Giuliana