di Andrea Lanza
Il nostro amico e socio Andrea Lanza ha letto L’ultimo miglio, il libro-inchiesta che Angelo Mastandrea ha dedicato alla logistica e alla distribuzione di prodotti venduti online. Tre le questioni che, secondo Lanza, attraversano il libro, rendendolo particolarmente interessante per chi vuole ragionare, oltre che sulla storia del lavoro, sulla storia della città e del territorio: come il commercio elettronico influenza e trasforma la geografia e le mappe mentali con cui interpretiamo lo spazio; quale l’impatto sull’organizzazione del lavoro; come si fanno sempre più sottili i confini tra legalità e illegalità.
1. Il sottotitolo del libro, Viaggio nel mondo della logistica e dell’e-commerce in Italia, tra Amazon, rider, portacontainer, magazzinieri e criminalità (Manni, Lecce 2021), sintetizza l’argomento di questo libro uscito pochi mesi fa. L’autore, Angelo Mastrandrea, è un giornalista di quelli che si prendono il tempo per visitare, osservare, incontrare chi la realtà la vive o ne osserva i dettagli da anni e, infine, scrivere un reportage fatto per bene. Il libro si compone di cinque approfondimenti (alcuni dei quali anticipati in forma ridotta su Internazionale e Manifesto) dedicati a luoghi chiave della logistica italiana.
– Lo stabilimento Amazon di Passo Corese nel Lazio, in provincia di Rieti ma a meno di venti minuti d’auto dal Grande Raccordo Anulare della capitale; è anche l’occasione di presentare più in generale il lavoro dentro Amazon con l’infinito sistema di regole comportamentali che l’azienda impone ai suoi dipendenti, in cui la retorica aziendalista s’intreccia all’elaborazione di strategie di micro-disciplinamento volto a ridurre i tempi di ogni mansione; altre numerose pagine sono dedicate all’aggressiva politica industriale e fiscale del colosso internazionale della distribuzione.
– La Città del libro di Stradella, il mega-polo di immagazzinamento e spedizione di libri dell’Oltrepò pavese da cui passano 90 milioni di volumi l’anno, ovvero oltre la metà di quelli che costituiscono il mercato editoriale nazionale; la ricostruzione della gestione di questo luogo e dei complessi meccanismi per eludere i fondamentali diritti dei lavoratori permette anche di avere uno spaccato delle nuove forme di sfruttamento e delle trasformazioni delle organizzazioni sindacali in un contesto di esternalizzazione generalizzata e conseguente moltiplicazione delle aziende e cooperative che assumono personale precario con forme contrattuali diverse.
– I rider napoletani che garantiscono le consegne a domicilio del cibo; a partire da questo caso, Mastrandrea offre una panoramica sulla situazione nei diversi contesti italiani; inoltre descrive da una parte come le piattaforme di consegna cibo a domicilio utilizzino i software per gestire lavoratori formalmente autonomi, dall’altra, la sperimentazione di nuove solidarietà “operaia”, di cui la Casa del rider napoletana (luogo di riposo, riparazione bici, ma anche socialità e resistenza) è l’esempio più compiuto.
– La Geotrans, azienda catanese chiave nel trasporto della frutta a lungo posseduta direttamente dalla mafia e poi faticosamente rilanciata dopo la confisca; attraverso questa storia, Mastrandrea esplora anche diverse infiltrazioni mafiose nel settore della logistica e le complesse storie, spesso fallimentari, di aziende confiscate.
– Il porto di Salerno, attraverso cui l’autore analizza soprattutto il trasporto di rifiuti dall’Italia verso altri continenti; anche in questo caso, il fuoco è su un’attività criminale, ma una delle idee portanti è il pericoloso intreccio fra legalità e illegalità.
Lascio a chi è interessato il piacere di leggere il libro o i singoli capitoli per comprendere la trasformazione dei sistemi di distribuzione delle merci che hanno fatto di questo settore un elemento fondamentale nella creazione di nuovi profitti. Mi limito qui a mettere in evidenza tre questioni generali che emergono dai cinque reportage di Angelo Mastrandrea: la geografia e le mappe mentali con cui interpretiamo lo spazio; l’organizzazione del lavoro; i confini tra legalità e illegalità.
2. Geografia e mappe mentali. Come si trasformano le distanze e le connessioni fra i diversi luoghi, a livello locale e a livello globale? Non si tratta ovviamente di un fenomeno nuovo, ma la crescita della logistica con la conseguente costruzione di nuovi poli e nodi in zone del nostro paese fino a ora considerate rurali muta la geografia italiana. Non solo: la logistica, come in modo minore le infrastrutture delle reti per lo scambio e lo stoccaggio di dati, impone di modificare il nostro modo di pensare lo spazio; occorre cioè cambiare le nostre mappe per comprendere la realtà, intendo le mappe mentali attraverso cui ci rappresentiamo il territorio in cui viviamo, la nostra città. Il punto è probabilmente banale, ma il ritardo nell’elaborare nuove categorie e nel diffonderle nel senso comune delle cittadine e dei cittadini attenti al proprio “territorio” è sempre più manifesto. Un libro come quello di Mastrandrea è un utilissimo strumento. Da una parte a farci capire come e perché località fino a oggi “ai margini” si rivelano potenziali snodi centrali della distribuzione, trovandosi in prossimità di autostrade, incidendo sul valore dei terreni, determinando l’abbandono della produzione agricola, spingendo a nuovi trasferimenti quotidiani o abitativi, ecc. Dall’altra, a riflettere sull’impatto, spesso ancora sfuggente nella nostra percezione, della possibilità di acquistare e farsi recapitare a casa merci dalla Cina, che si affianca a quella di recarsi nella merceria sotto casa, nel centro cittadino o nel centro commerciale delle nuove periferie, con le diverse esperienze quotidiane e relazioni sociali che ne conseguono.
3. L’organizzazione del lavoro. Mastrandrea mostra con chiarezza come nella logistica si osserva una trasformazione in questo campo grazie all’applicazione estremizzata di vecchi meccanismi e all’introduzione di nuove tecnologie: si assiste alla segmentazione delle fasi e delle funzioni che vengono affidate ad aziende diverse o, alla fine della catena, a fattorini che spesso non vengono assunti ma trattati come micro-imprenditori, proprietari del mezzo di trasporto e pronti ad accettare o rifiutare ogni singola consegna. Già in atto in altri settori, questo cambiamento è talmente profondo da mettere in crisi le categorie di lavoro dipendente o subordinato e lavoro autonomo. E, ancora più in generale, è la gran parte delle categorie con cui si sono definite le relazioni di lavoro nel secolo scorso che non corrispondono più alla nuova realtà. Concretamente ciò significa che tanto lo Stato sociale – questo sì da sempre fondato sul lavoro dipendente formalizzato –che le leggi a protezione dei diritti dei lavoratori appaiono difficilmente applicabili o inapplicabili.
In numerosi passaggi Mastrandrea utilizza il termine caporalato per descrivere il sistema complesso attraverso cui le aziende subappaltano ad agenzie interinali e cooperative anche le funzioni essenziali creando un sistema di concorrenza fondato sulla diminuzione del costo del lavoro e che, alla fine della catena, si traduce in contratti capestro o in lavoro nero. L’uso del termine caporalato non è unicamente critico: si tratta del termine giuridico che definisce il reato perseguito dalla magistratura quando si trova di fronte a queste catene di appalti e subappalti. Il ricorso alla categoria di caporalato, totalmente anacronistica in contesti come quelli della logistica, mette però in luce la necessità di ripensare l’organizzazione del lavoro e i termini stessi attraverso cui rivendicare diritti e, quindi, contribuire a scrivere un nuovo diritto del lavoro.
Una questione analoga si pone nel caso di un altro aspetto importante della riorganizzazione del lavoro: l’uso delle nuove tecnologie per controllare e disciplinare il lavoro quotidiano. Due esempi sono particolarmente chiari: l’uso di software per il calcolo dei tempi delle singole mansioni e per il calcolo delle remunerazioni di ogni singola consegna. La possibilità di elaborare una quantità di dati fino a poco tempo fa impensabili da raccogliere e processare permette di varcare nuove soglie nella massimizzazione dei profitti. Il vecchio cronometro taylorista con cui si stabilivano e imponevano i tempi di produzione è sostituito da uno strumento dinamico. Il software che calcola i tempi necessari a una certa mansione agisce quotidianamente nel senso di una accelerazione dei ritmi. Il sistema, infatti, misura di continuo i tempi impiegati per recuperare un pacco nel magazzino imponendo i migliori come nuova soglia minima; per rispettare il tempo imposto, i magazzinieri ultimeranno il compito in un tempo leggermente inferiore, che diviene la nuova soglia, che per essere rispettata sarà ulteriormente abbassata. Aumentando i profitti degli azionisti e distruggendo la salute dei dipendenti.
Analoga perversione si rivela strutturale nei software di alcune compagnie di consegna a domicilio: questi sistemi calcolano, in base ai dati osservati precedentemente, la remunerazione potenzialmente accettata in ogni situazione, facendo sì, per esempio, che la piattaforma proponga ricompense minori in zone e momenti in cui i rider non hanno ricevuto altre proposte. In un certo senso, avendo osservato i comportamenti dei rider, il software anticipa e accentua la cosiddetta legge di mercato, piegandola sempre a vantaggio della piattaforma.
In entrambi i casi, le nuove forme di organizzazione del lavoro, in cui il cosiddetto algoritmo gioca un ruolo fondamentale, individualizzano le relazioni di lavoro e, allo stesso tempo, le depersonalizzano. Detta in maniera più brutale: massimizzano lo sfruttamento possibile sul singolo o sulla singola lavoratrice, indovinandone potenzialità estreme e bisogni basici, e rendono astratta la controparte rendendo invisibili non solo i padroni e i manager, ma anche i “capireparto”.
4. Legalità e illegalità (e assenza della politica). Come già accennato, gli ultimi due reportage sono dedicati a situazioni in cui il ruolo della malavita organizzata è diretto. Quello che però già mettono in luce i tre precedenti è quanto i processi di scorporazione, esternalizzazione, appalto e subappalto, in un gioco di scatole cinesi difficile da decostruire, serva a nascondere responsabilità, permettendo una pacifica convivenza fra livelli legali e illegali, fra brand rispettati e bande dedite al caporalato. Mastrandrea mostra bene come questo modello sia riprodotto a tutte le scale: dal globale, in cui i sistemi di esternalizzazioni permettono ai grandi marchi di deresponsabilizzarsi rispetto alle condizioni di semi-schiavitù dei lavoratori o alle distruzioni ambientali in altre parti del mondo, al locale, in cui lo stesso schema viene usato per abbassare i prezzi di produzione o gestione perfino nelle funzioni essenziali.
Anche in questo caso la logistica è in un qualche modo all’avanguardia e ciò che giustamente Mastrandrea osserva non è solo la messa in pratica da parte padronale di nuove strategie di deresponsabilizzazione, ma anche il lavoro della magistratura nel tentativo di applicare vecchie leggi a nuove condizioni e l’emergere di lotte che mettono a nudo tali strategie.
Ciò che Mastrandrea non osserva – ma non può farlo perché purtroppo non c’è – è un lavoro politico di ripensamento generale del diritto del lavoro e del diritto dell’impresa per definire responsabilità e diritti di fronte allo sfruttamento post-industriale.