di Amélia da Silva
Una nostra lettrice, brasiliana di origine veneta, ha tradotto per noi una lettera che ha ricevuto dall’amica Amélia da Silva, un’insegnante di storia di Florianopolis, capitale dello stato federato di Santa Catarina, pensando che potesse interessare i nostri lettori e lettrici. Condividiamo il suo parere e pubblichiamo il testo qui di seguito.
La sensazione, dopo il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali brasiliane, il 7 ottobre 2018, è stata devastante per tutti coloro che hanno minimamente a cuore lo stato di diritto democratico. Sapevamo che il candidato Jair Bolsonaro, un militare della riserva, figlio di discendenti di immigrati italiani e tedeschi (anche se i giornali italiani non parlano delle origine tedesche), e di dichiarazioni esplicite di difesa della tortura e della dittatura, aveva sostenitori e che avrebbe ottenuto un risultato considerevole, ma non ci aspettavamo che questo rappresentasse il 46% dei voti validi. Soprattutto perché l’elettorato aveva a disposizione tredici scelte, espressione di svariati settori, sia di destra che di sinistra, in una gamma complessa di molteplici possibilità.
La sensazione di fallimento come insegnante di storia è ancora maggiore. L’espressione delle facce che si vedevano nei corridoi dei dipartimenti di Storia e di Scienze umane delle università sembrava dire che abbiamo fatto qualcosa di sbagliato e che non abbiamo spiegato bene il nostro passato, fatto di uccisioni di popolazioni indigene, di schiavitù, di violenze, di violazioni dei diritti umani, di immigrazione, di tortura o della recente dittatura militare che abbiamo vissuto fino al 1985. Non avevo mai pensato che nell’anno 2018 l’ovvio dovesse essere detto e ripetuto: la vita, la dignità e il pluralismo devono essere rispettati.
Le lacrime e il sentimento di fallimento, dopo il primo turno, presto sono diventati tentativi di interazione e scambio, comprensione del momento politico, spiegazioni di quello che era stato detto e di come la situazione fosse grave. L’impressione è stata ancora più devastante nel rendersi conto che molti elettori di Bolsonaro sono carichi di odio verso il Partito dei lavoratori (PT) e convinti di false informazioni sulla storia recente del Brasile. Un odio cieco che impedisce loro di vedere l’odio esplicito che si sta affermando: contro le posizioni politiche diverse, che spesso sono etichettate come “comuniste”, petistas o, in modo peggiorativo, petralhas1; contro l’LGBT, le donne, i neri e gli indigeni; con l’apologia della tortura e la difesa della dittatura militare brasiliana (avvenuta tra il 1964 e il 1985); con la menzogna che se il PT avesse vinto le elezioni il Brasile sarebbe diventato una dittatura comunista.
Tutti coloro che hanno seguito le notizie internazionali nelle ultime settimane sanno già che Bolsonaro difende lo stato minimo, la sottomissione delle minoranze (donne, neri e indigeni), vuole reclusione o esilio per gli oppositori. In altre parole, agisce direttamente contro la democrazia brasiliana. Nel suo programma di governo non ci sono considerazioni (o sono molto vaghe) su molti temi importanti per il Paese, come l’economia, la pianificazione urbana, la cultura, l’istruzione, la ricerca e la tecnologia, la protezione dell’ambiente e i diritti delle minoranze.
Il Brasile ha avuto un passato coloniale e di colonizzazione disuguale nelle sue diverse regioni, che hanno lasciato in eredità diverse caratteristiche e ambiguità, culturali e sociali, a ciascun pezzo di terra di questo immenso Paese. Non c’è bisogno essere un grande specialista per poter affermare che ci sono molti Brasile e che, soprattutto, questa molteplicità deve essere compresa dai governanti in modo che ci sia possibile il dialogo e il rispetto reciproco. Bolsonaro non rappresenta questo, né per le sue posizioni né per i suoi elettori.
Un esempio. Santa Catarina, lo stato in cui sono nata e vivo, è lo stato brasiliano con il più alto numero di voti attribuiti a Bolsonaro, quasi il 66% dei voti validi nel primo turno. Santa Catarina è una regione costituita, principalmente, ma non esclusivamente, da immigrati provenienti da Italia, Germania e Portogallo. Blumenau, una città nota per la forte presenza di discendenti di immigrati tedeschi vede quasi il 72% di voti per Bolsonaro. Inoltre, nonostante la grande esaltazione di alcuni media locali del Veneto, Bolsonaro non usa la discendenza italiana per raccogliere voti qui a Santa Catarina. Tuttavia, non è difficile considerare che le esaltazioni etniche costruite a partire dall’identità bianca (in portughese braquitude) dei discendenti vanno nella stessa direzione dei progetti del candidato, che non si propone di tutelare le differenze, perché molte volte qui nel Sud del Brasile il riconoscimento delle differenze viene visto come un attacco ai “diritti” del “popolo” di questa regione.
Inoltre, i progetti politici del candidato sono incoerenti e paradossali per quanto riguarda le migrazioni e i rifugiati. La dichiarazione più seria è stata quella di chiamare i rifugiati “feccia del mondo”. Soprattutto, è curioso percepire il paradosso che sia un discendente degli immigranti a dire questo, senza rendersi conto di quale storia il suo passato fa parte, quella delle migrazioni di massa. È ancora più complesso vedere che la maggioranza dei voti nello stato di Santa Catarina, una regione composta principalmente da discendenti di immigrati, va a un candidato che parla dei rifugiati in modo dispregiativo. In poche parole il razzismo esalta una certa immigrazione per disprezzarne un’altra.
Indipendentemente dal risultato del ballottaggio di domenica prossima (28 ottobre), già abbiamo perso, sia come società sia come umanità. Soprattutto, perché non ci sono garanzie che avremo stabilità politica in caso di vittoria di Fernando Haddad. Tantomeno sarà restituita la vita che è stata presa a Mestre Moa do Katendê, accoltellato da un sostenitore di Bolsonaro perché aveva detto di aver votato per Haddad, dopo il primo turno del 7 ottobre. Non c’è più vergogna nel pronunciare discorsi che attaccano direttamente la vita umana, le situazioni di violenza riportate negli ultimi giorni potrebbero ancora andare peggio.
Ma resisteremo, come ora stiamo facendo in Florianópolis con lezioni e dibattiti pubblici, manifestazioni (organizzate sia dal Movimento delle donne contro Bolsonaro che da diverse sfere della società civile), e la controinformazione.
Continueremo a ripetere l’ovvio, finché non cesserà di esserlo.
- Petralhas, per definire i militanti o simpatizzanti del PT (petistas): ha una connotazione dispregiativa, designa qualcuno corrotto o corruttibile che fa retorica sull’onestà [↩]