di Filippo Benfante
Verso la fine del maggio 1950, usciva, presso l’editore Einaudi, la prima edizione de L’Orologio di Carlo Levi. In occasione di questo anniversario pubblichiamo alcune note di lettura di Filippo Benfante. Con un pensiero anche al 2 giugno, anniversario della Repubblica. Come sempre quando pubblichiamo dei saggi lunghi, del testo sono presentate di seguito le prime battute; per scaricare la versione integrale, cliccare qui.
“Paesaggi con figure”
È un desiderio che pungola ogni volta che si prende in mano l’Orologio di Carlo Levi, quello di avere a disposizione un apparato di note in grado di svelare quel che c’è dietro ai “paesaggi con figure” di cui è composto il libro: i nomi delle persone reali ispiratrici dei personaggi che il protagonista/narratore incontra e i grandi o piccoli fatti di cronaca, politica e non, dietro le circostanze in cui egli si trova coinvolto1.
Come è noto, l’Orologio, uscito per la prima volta nella collana “Saggi” dell’editore Einaudi nel maggio 1950, si svolge nell’arco di tre giorni, dal 24 al 26 novembre 1945, marcati dalla conferenza stampa in cui Ferruccio Parri diede le dimissioni da Presidente del Consiglio dei ministri, il 24 pomeriggio. Ma è un tempo che la memoria dell’autore dilata all’indietro e in avanti, abbracciando soprattutto un quinquennio, a cui si aggiungono flash back più remoti – secondo quella «compresenza dei tempi» caratteristica di Levi2.
Datato in calce 1947-1949, il libro non è solo una sorta di diario privato delle giornate della crisi del governo Parri, vissute da Levi come direttore dell’Italia libera, il quotidiano del Partito d’Azione (Pda). Contiene anche la rievocazione degli anni della guerra passati a Firenze, o se non altro dei mesi trascorsi nel rifugio di piazza Pitti presso Anna Maria Ichino (semplicemente Maria nel testo)3, delle settimane della battaglia urbana dell’agosto 1944 e l’anno in cui Levi fu direttore della Nazione del Popolo, il quotidiano del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale (CTLN). Scritto a posteriori, l’Orologio può anticipare la crisi del Pda che si consumò solo al congresso del febbraio 1946, per quanto fosse già evidente alla fine del 1945. Contiene alcuni riconoscibili fatti di cronaca che avvennero dopo il novembre 1945 (per esempio un omicidio di cui parleremo più avanti, o la storia del “Re di Poggioreale” Giuseppe Biscaglia, in realtà Giuseppe Navarra, protagonista della vicenda del recupero del tesoro di San Gennaro a cavallo tra il 1946 e il 1947), vari accenni a un viaggio a New York che Levi fece nella primavera del 1947 (proprio insieme a Parri), o ancora le tracce della collaborazione con il quotidiano L’Italia socialista, dal giugno 1947 erede dell’Italia libera dopo lo scioglimento del Pda.
Sulle pagine dell’Italia socialista, diretta dall’amico Aldo Garosci, Levi pubblicò un cospicuo numero di vignette di satira politica tra il 12 ottobre 1947 e il 22 febbraio 1949 (data dell’ultimo numero del giornale)4, che si può dire rappresentino una prima stesura dell’Orologio5. In particolare vi era illustrato, alla vigilia delle elezioni del 1948, il giudizio per cui Democrazia Cristiana e Partito Comunista avrebbero soffocato ogni alternativa nel sistema politico italiano, accordandosi su un gioco delle parti; sotto il titolo “La santa alleanza” le caricature di un De Gasperi tonacato e aureolato e un Garibaldi (per il Fronte popolare) con l’art. 7 della Costituzione inscritto nella propria aureola6 anticipavano “i due visi teologali e cardinalizi dei due illustri capi della destra e della sinistra e il brillare simmetrico dei loro occhiali”, tra i quali Parri si trovava stretto mentre annunciava le sue dimissioni (O, 147-148).
“Monsù Travet”, dall’Italia socialista all’Orologio
Alla collaborazione con l’Italia socialista rimanda anche il personaggio di Ferrari, in cui si scorgono i tratti dello scrittore Augusto Frassineti che sul quotidiano pubblicò – tra il maggio 1948 e il febbraio 1949 – gli articoli alla base del suo Misteri dei ministeri (la prima edizione sarebbe uscita nel 1952). Levi incontra Ferrari/Frassineti nella trattoria in cui va a mangiare dopo la sua visita mattutina alla redazione dell’Italia libera. A lui spetta un lungo monologo sulla vita di un ministero, sugli impiegati e sugli uscieri:
Li vedeste, quegli esseri, seduti sulle loro sedie, davanti alle loro scrivanie, a far nulla, materialmente nulla, neanche a leggere il giornale, per ore e ore, con gli occhi imbambolati, in una specie di estasi d’ozio, o forse di mistica compenetrazione con la vuota idea dello Stato. (O, 94)
Qui Levi sta anche preparando la successiva scena popolata dagli usceri del Viminale dall’“aria stranamente allegra”, con i visi su cui brilla “una profonda e maligna soddisfazione”, mentre Parri sta per annunciare le dimissioni (O, 142-144). Uno dei modi per enunciare la tesi sulla continuità dello Stato.
Ferrari però non è esattamente Frassineti – e questa considerazione vale per la maggior parte degli altri personaggi, che Levi fabbrica mescolando diverse fonti di ispirazione e invenzioni letterarie. Tra le altre cose gli viene attribuita una identità ebraica: il protagonista/narratore dice infatti che Ferrari si trovava in trattoria con la sorella Elda; per la ragazza, quella di trovarsi lì “era un’avventura insolita”, perché raramente usciva di casa, “soprattutto ora, dopo la guerra, che i tedeschi le avevano ammazzato il padre nelle camere a gas” (O, 93).
Al monologo di Ferrari segue una considerazione di Marco, l’amico che Levi aveva trovato già seduto a un tavolo al suo ingresso in trattoria e con cui, poco dopo, sarebbe uscito per salire a bordo di una grossa jeep americana e fare un lungo giro che li porterà alla Garbatella, dove Marco spera di ritrovare Fanny – una delle sequenze più celebri del libro7.
Si sa che Marco è una trasfigurazione di Mario Soldati. A un certo punto dell’invettiva di Ferrari, tocca a lui interromperlo “con aria distratta” per avvisare che alla fin fine tutte le burocrazie, in tutti i paesi, hanno gli stessi difetti: “tutti conoscono le descrizioni classiche dei grandi scrittori russi della burocrazia dello zar”; eppure, in “quella turba” ci sono pur sempre dei “Monssù Travet esemplari, tutti virtù, amore del lavoro, spirito di sacrificio, attaccamento alla famiglia, sublimi e nascosti eroismi, devozione al dovere, umiltà cristiana, servi fedeli dello Stato […], sacrificarsi sull’altare della patria, stringere la cinghia […], non far debiti e non firmare cambiali…” (O, 95). Mentre pronuncia la sua giaculatoria dagli effetti comici, Marco adatta anche il suo corpo al discorso: “si faceva piccino, la testa gli rientrava tra le spalle, gli occhi si spegnevano, i tratti del viso si atteggiavano a una sciocca sicurezza. Ma la barba troppo vistosa, e forse il pensiero di Fanny, impedivano che l’imitazione fosse perfetta e del tutto persuasiva” (O, 96).
Il riferimento a “Monssù Travet” non rimanda solo al natio Piemonte sabaudo, per via della commedia satirica di Vittorio Bersezio, portata in scena per la prima volta a Torino nel 1863; c’è anche che nel 1945 Mario Soldati ne aveva diretto la versione cinematografica.
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Ringraziamenti
Ringrazio Franco Contorbia e Giorgio Panizza per avermi invitato al convegno pavese Azionisti e scrittura, tra memoria e narrazione (Pavia, 6-7 novembre 2019), all’origine di queste note, nonché per avermi incoraggiato a pubblicarle. Insieme a Contorbia e Panizza, Piero Brunello, Alberto Cavaglion, Giacomo Corazzol e Gigi Corazzol sono stati i miei primi lettori.
- L’espressione “paesaggi con figure” si legge nella breve nota senza titolo di Giulio Einaudi in L’“Orologio” di Carlo Levi e la crisi della Repubblica, a cura di Gigliola De Donato, Pietro Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma 1996 [finito di stampare febbraio 1997], p. 9. Forse Einaudi aveva in mente Piero Calamandrei, che usò questa formula nei primi anni Cinquanta per rievocare le gite fuoriporta fatte alla domenica con amici stretti, tra il 1935 e il 1941, “specie di illusorio fuoriuscitismo domenicale”, alla ricerca di “paesaggi con figure” dove ritrovare “una tradizione di civiltà, della quale ciascuno di noi, durante la settimana, aveva creduto, nei momenti di maggior scoramento, di avere smarrito il senso” (Piero Calamandrei, Passeggiate con Pancrazi [1953], in Id., L’oro di noi poveri e altri scritti letterari, a cura di Claudia Forti, Ponte alle Grazie, Firenze 1994, pp. 55-61, le cit. pp. 56-57). Devo la conoscenza di queste pagine di Calamandrei al bel saggio di Alberto Cavaglion, Torino ebraica 1943-45: paesaggio con figure, in Cattolici, ebrei ed evangelici nella guerra. Vita religiosa e società (1939-1945), Franco Angeli, Milano 1999, pp. 108-117, si veda in part. p. 108 (ora in parte rifuso in Id., Uscite di sicurezza. Sui passi dei miei avi, ebrei piemontesi (XIX-XX secolo), online sul sito storiamestre.it). [↩]
- Si veda da ultimo Maria Antonietta Grignani, Federico Milone, “Un altro tempo, che è quello della fantasia”, “Forum Italicum”, vol. 50, 2016, n. 2 (special issue: Lucania within us. Carlo Levi e Rocco Scotellaro, guest eds. Giulia Dell’Aquila, Sebastiano Martelli, Franco Vitelli), pp. 494-518, in part. pp. 495-496 mentre il resto del saggio si concentra sul tempo della stesura del libro, analizzandone il manoscritto conservato presso il Centro per gli Studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei (Centro Manoscritti) dell’Università di Pavia. [↩]
- Carlo Levi, L’Orologio [1950], Einaudi, Torino 1989, p. 35. D’ora in avanti tutte le citazioni da questo libro, nel testo e nelle note, saranno indicate con O, seguito dal numero di pagina. L’edizione più recente è quella Einaudi, Torino 2015, con una prefazione di Mattia Acetoso. [↩]
- Come ultima vignetta, sotto il titolo “Arrivederci e grazie”, Levi fece una caricatura di Garosci in veste di pirata o naufrago, con una gamba di legno, plume e boccetta d’inchiostro alla cintola mentre, circondato da personaggi e porzioni di altre vignette dei mesi precedenti, sventola un fazzoletto a mo’ di saluto (nel suo ultimo editoriale il direttore dell’Italia socialista annunciava un settimanale che però non vide mai la luce). Sull’amicizia tra Garosci e Levi negli anni Trenta, si veda ora l’edizione dei ricordi di Aldo Garosci, Anni di Torino, anni di Parigi, a cura di Mariolina Bertini, prefazione di Giovanni De Luna, Nuova Editrice Berti, Parma 2019; Garosci ne aveva fornito una versione abbreviata nel suo saggio L’era di Carlo Levi, in Carlo Levi. Disegni dal carcere 1934. Materiali per una storia, De Luca Editore, Roma 1983, pp. 5-29. Si veda inoltre Giovanni De Luna, Carlo Levi e Aldo Garosci: i percorsi dell’amicizia, in Gli anni di Parigi. Carlo Levi e i fuorusciti 1926-1933, mostra a cura di Maria Mimita Lamberti, catalogo a cura di Maria Cristina Maciocchi, Comitato Nazionale per le celebrazioni del Centenario di Carlo Levi, [Savigliano] 2003. Sull’Italia socialista si veda Daniele Pipitone, “L’Italia Socialista” fra lotta politica e giornalismo d’opinione, “Annali della Fondazione Luigi Einaudi”, XLV, 2011, pp. 112-166. [↩]
- Si veda Contadini e Luigini. Testi e disegni di Carlo Levi, a cura di Leonardo Sacco, Basilicata editrice, Roma-Matera 1975, che contiene una serie di disegni originali di Levi per l’Italia socialista (all’epoca messi a disposizione da Linuccia Saba, oggi probabilmente presso la Fondazione Levi); le vignette di Levi per il quotidiano sono tuttavia più numerose e attendono ancora una edizione integrale. Levi aveva già fatto le sue prime prove di vignettista a Firenze, sul supplemento del Pda della Nazione del Popolo; una era rimasta impressa a Natalia Ginzburg, che la citò nel suo necrologio Ricordo di Carlo Levi, “Corriere della Sera”, 8 gennaio 1975, p. 3, ora in Ead., Non possiamo saperlo. Saggi 1973-1990, a cura di Domenico Scarpa, Einaudi, Torino 2001, pp. 19-25 (in part. 22-23). Mi permetto di rimandare anche a Filippo Benfante, Carlo Levi e l’editoria italiana negli anni Quaranta, “Studi italiani”, XXII, 1 (2010), pp. 63-84, in part. 78-79. [↩]
- La vignetta uscita il 14 aprile 1948 è riprodotta in Contadini e Luigini cit., così come quelle, di significato affine, dell’11 e del 18 aprile 1948 (quest’ultima porta il caustico titolo “L’incontro di Teano”). I risultati elettorali sarebbero stati annunciati sul numero datato 21 aprile; il 22 la vignetta “L’incontro di Teano” fu ripubblicata, questa volta corredata da uno scambio di battute tra i due personaggi, inventate con amaro sarcasmo; una nota del direttore Garosci chiariva che la delucidazione era a uso dei “bambini”, forse gli unici che potevano non aver compreso subito la facile profezia pre-elettorale. [↩]
- Aldo Natoli (Il felice anacronismo di un grande libro, in L’“Orologio” di Carlo Levi cit., pp. 91-96, in part. pp. 94-96) situa più precisamente la visita di Marco e Levi sulla mappa di Roma: “Venne fuori che il luogo che Levi aveva descritto non era affatto un luogo immaginario, era un luogo reale, che però non aveva molto a che fare con la Garbatella come quartiere se non per la sua contiguità. Nel senso che il luogo reale era un insieme di due palazzoni costruiti proprio al margine della Garbatella che esistono tuttora lungo quella che oggi è la via Cristoforo Colombo, all’altezza appunto del quartiere della Garbatella, ma completamente distaccati dalla Garbatella sia come origine che come consistenza sociale” (p. 95). Sulla Roma dell’Orologio si vedano anche le note di Alfredo Radiconici, L’“Orologio”: la Roma di Carlo Levi, ivi, pp. 155-161. [↩]
Filippo Benfante dice
caro Giovanni, grazie, mi fa molto piacere sapere che ti è piaciuto. Beh, l’articolo è uscito, su storiAmestre, che è un sito di fascia A+++ diciamo 🙂 Gli atti del convegno di Pavia credo che usciranno sul prossimo numero di “Autografo”, la rivista del Centro manoscritti. Mi hanno chiesto un contributo originale, diverso da questo uscito su storiamestre.it, che fatalmente è meno bello, ma spero dignitoso. Tanti saluti
Filippo
Giovanni dice
E’ un bellissimo articolo. Però non è detto dove è uscito o dove uscirà:gli atti del convegno di Pavia sono già usciti?
Giovanni