di Gigi Corazzol
Quest’estate Gigi Corazzol ha letto tre volumi, edizioni dei diari (o di parti di essi) di Antonio Giuriolo, Daniele Ponchiroli e Bruno Trentin. Per il San Nicolò del 2017, ecco i suoi appunti di lettura. Ne proponiamo qui di seguito le prime pagine, dedicate alle edizioni di Giuriolo e di Ponchiroli; ma la maggior parte di queste note, che si possono leggere scaricando la versione integrale del testo cliccando qui, sono dedicate al diario di Trentin: “rilievi […] frutto dell’insoddisfazione di un lettore pagante. Perché renderli pubblici? Perché credo che il primo segno di rispetto per la memoria di un dirigente del movimento operaio preveda, quando ci si occupi dei suoi scritti, di curarli al meglio”.
Cos’è la vita? Bella domanda, amica cara. Stia tranquilla, farò del mio meglio. La stimo troppo per sbrigarmela con bubbole fruste tipo la favola bella che spesso ci illude, o, dio ne scampi, con lapidi in redingotte quali “una frenesia, un’illusione, un’ombra, una storia […] insomma che tutta la vita è sogno e i sogni sogni”1. Sono così tante le vite! Così diverse l’una dall’altra. Come si fa a parlarne al singolare? Tenga, le ho portato due marrons glacés maison di Garbujo. Squisiti, mi lasci dire. Fatalità, le mie letture “de résistance” di quest’estate, nel cadente seminterrato muscoso che lei ben conosce (come può ben immaginare, sotto alle foglie del fico faceva un caldo da squaglio) sono state diari, solo diari. Le mille miglia lontani l’uno dall’altro. La vita, mi chiede? Le vite, piuttosto. Varie, diverse, non crede?
– Bah, bah. Non mi pare, caro mio, che lei si tenga al punto che le ho proposto. Così la Pizzardini, posando stizzita sul guéridon il boccale di marsala all’uovo oramai quasi vuoto che fino ad allora aveva tenuto stretto per il manico sorbendo spesso. – La interpello su di un universale tra i massimamente lancinanti e lei non sa fare di meglio che tirare in ballo le sue letture estive? Fossero almeno libri validati dalle classifiche! Nossignore. Lei pretende di farmi da guida nelle viscere del mistero riassumendomi degli scartafacci di insigni carneadi. È matto?
– Le sue obiezioni, cara amica, e ancor più il tono sprezzante, esigono ch’io mi picchi sicché mi piccherò al massimo. Punto primo: vite, vite e poi vite, non mai vita. Misteri semmai, non mistero. Quanto ai riassunti, come li liquida lei, la informo che le grandi librerie della rete, tutte, nessuna esclusa, sollecitano i clienti a inviare una recensione dei libri che si siano acquistati. Ma cosa parlo a fare? Potrà mai darsi che una gentildonna navigatissima pari suo sappia di reti? di connessioni?
– Ah, io non sarei connessa? Senti, senti il Silvio Ceccato del vostro dinamico centro anziani. Sconnesso sarà lei, (ma in quel suo crapone lardoso) brutto rincretinito di uno. Ci sono vite e vite. Senti che roba! Certo che ci sono vite e vite. Ma non penserà di cavarsela servendomi la ciambotta de los tres caballeros. Non sono mica una poveraccia del suo gruppo di lettura ad alta voce, cosa crede?
– D’accordo. Vedo che oggi non è in vena di scambi proficui. Meglio rimandare ad altra occasione. Ma tutte le mie parole concilianti, compreso il – Buona serata, madamin Pizzardini. À bientôt! si persero nella risacca vibrante di sbuffi e nitriti con cui all’improvviso la sua roncopatia ostruttiva aveva saturato ogni angolo del salotto. (Tra me e me – Te lo sogni che torni, vecchia beona, povera grulla, vescica colla gonna). Al diavolo. Vorrà dire che quel che mi ero preparato a raccontarle lo confiderò al mio diario.
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In verità solo due dei tre libri di cui volevo parlare alla Pizzardini sono dei diari. Di questi due uno soltanto risulta pubblicato integralmente, ed è quello di Daniele Ponchiroli2. Quello di Bruno Trentin consiste, come vedremo, di una selezione. Il terzo libro, Pensare la libertà. I quaderni di Antonio Giuriolo, più che un diario è un florilegio di circa trecento pagine che il professor Renato Camurri ha composto setacciando i quarantasette quaderni di appunti conservati presso l’Istituto storico della resistenza e dell’età contemporanea “Ettore Gallo” di Vicenza. Florilegio impreziosito da una introduzione che in realtà è un libro, trattandosi di oltre centosettanta pagine, distribuite in sei capitoli. Meglio lasciare che sia il professor Camurri a illustrare i motivi di tanta impresa:
avevo in testa un obiettivo ben chiaro; liberare la figura di Giuriolo da alcuni schemi interpretativi che avevano impedito la valorizzazione della sua originale esperienza d’intellettuale-educatore e di precoce e intransigente antifascista. (p. VII)
Insomma il professor Camurri è sceso in campo per restituire alla cultura italiana la vera immagine di Giuriolo. Com’è per ogni restauro, il primo passo è consistito in una ripulitura radicale. Specialmente dalla gromma agiografica stesa a cappotto dai suoi amici più stretti a partire dal primissimo dopoguerra. Come si legge nella quarta di copertina Giuriolo “non può più essere considerato una meteora comparsa dal nulla nel firmamento dell’antifascismo italiano, né la sola creatura della penna di Luigi Meneghello”. Meglio citare direttamente la severa requisitoria del professor Camurri:
Colpisce, guardando alla stretta cerchia degli amici, verificare come anch’essi si piegarono al vento che soffiava nella direzione descritta [clima della guerra fredda, ndr].
Mi domando come sia stato possibile che in quella precisa fase nessuno di loro [della stretta cerchia degli amici, ndr] abbia intuito le conseguenze del processo che si era messo in moto subito dopo la morte di Giuriolo. Possibile che non si siano resi conto che la sua progressiva santificazione avrebbe provocato il congelamento del suo pensiero, la messa in svendita della sua eredità politica e la sua marginalizzazione? […]
Nessuna voce invece si alza – dal campo amico s’intende! – per aprire nel nome di Giuriolo e di altri che come lui non erano tornati dalla guerra partigiana una battaglia per il rinnovamento della politica, per la realizzazione di una democrazia intransigente, per la modernizzazione e la laicizzazione del nostro paese.
Invece è subito subentrata la rassegnazione che aggiunta all’ignavia di alcuni e al calcolo di altri hanno reso possibile l’accantonamento della figura del giovane resistente. Poteva essere la bandiera di una battaglia politica da impugnare con fierezza, è divenuto un santino da utilizzare nei raduni dei reduci, nei piccoli circoli deputati al culto del mito3.
Mettetevi nei miei panni. Non c’è dubbio che il diritto di precedenza, semmai venisse l’idea di obiettare qualcosa, spetta ai primi imputati, vale a dire alla “stretta cerchia degli amici”. Speriamo ce ne sia ancora qualcuno vivo in grado di adempiere. In subordine è di tutta evidenza che le controdeduzioni a un addebito di tale gravità esigono la discesa in campo di specialisti coi baffi. Non le son gesta da lettori di provincia. Va saputo, infatti, che il professor Camurri (lo apprendo e dalla sua prefazione ai quaderni di Giuriolo e dal suo curriculum vitae)4 frequenta da moltissimi anni un sistema bibliotecario tra i più efficienti del pianeta, quello di Harvard (MS, USA). Se il professor Camurri, sfoderato il genus grandiloquus, scandisce per triadi che, i principali responsabili della mancata “battaglia per il rinnovamento della politica, per la realizzazione di una democrazia intransigente, per la modernizzazione e laicizzazione del nostro paese” (paese che non è Vicenza, nota bene, ma l’Italia) sono alcuni ex-partigiani vicentini di GL, colpevoli, chi di rassegnazione, chi d’ignavia, chi di gretti calcoli personali (altra triade), puoi dubitare che non abbia in mano, oltre a un paio di napoli vestite, anche i tre tre? Sbaglia? Bastoni. Cos’altro, se non bastoni? Capite bene che il profano che ardisca metter becco va in cerca di un cappotto di quelli da andar via muto in sospiri. Meglio lasciar la briga agli specialisti d.o.c.g. e agréés. Se credono.
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Tutt’altra musica, ma proprio tutt’altra, i diari di Daniele Ponchiroli (1924-1979), un filologo originario di Viadana. Ponchiroli, lo sanno tutti ma è meglio ricordarlo, per oltre vent’anni ha lavorato alla Einaudi come redattore. I suoi diari? No introspezione. Solo resoconti di quel che sente e vede. “Quasi mai Ponchiroli scrive di sé. È incline al ritratto ma refrattario all’autoritratto”5. E come scrive! In velocità, di tocco. Una prosa che, fosse pittura o cinema, verrebbe da sistemarla a metà tra De Pisis e Buster Keaton, impastata com’è di impassibilità clinica, affetto e ironia. Una gemma6. Grazie alla grazia di Ponchiroli la redazione di via Biancamano, quella famosa redazione mille volte descritta, anche quando squassata dall’insurrezione ungherese del 1956, o dalle dispute metafisiche innescate dal lancio dello Sputnik (magnifica una quaestio tra Aiace Telamonio e David Hume [nomi di fantasia in osservanza della legge sulla privacy] a base di Weltgeschichte e mariologia), vi risulterà allegra, luminosa, accogliente. Mezza Camelot e mezza Freedonia, o, se preferite, una piola gourmet, ideale per le riunioni del Circolo Pickwick; lontanissima (distanze spaziali) dai santini che ce la presentano come una dipendenza del sacrario di Montsalvat7. A proposito di Camelot/Freedonia. Indovinate chi fa la parte di re Artù/Rufus T. Firefly.
Miracolosa nella scrittura di Ponchiroli la capacità di ottenere effetti comici senza concedere un millimetro al dileggio o allo sberleffo.
Il suo diario è uscito lo scorso aprile. Ad altri il recensirlo. A me non riesce altro che raccomandarvelo con tutto il cuore.
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Bruno Trentin (d’ora in avanti T) tenne un diario per buona parte della sua vita. L’editore ha trascelto i quaderni relativi al periodo che va dall’agosto del 1988 all’agosto del 1994, quello in cui T tenne la carica di segretario confederale della CGIL (si dimise alla fine di giugno)8.
Prendiamola alla larga. Chi scriva della sua vita esclusivamente per sé, propriamente parlando, non può essere considerato l’autore di un libro. Il libro è un prodotto sociale. Non c’è libro quando emittente e destinatario, perdonate il gergo desueto, coincidono. Perché quella scrittura diventi libro occorre la convergenza di volontà diverse. In primis il consenso dell’erede del manoscritto9. Poi quello di un editore. A questo punto occorre qualcuno che si faccia carico di preparare il testo per la stampa. In questo caso Iginio Ariemma. Quello del curatore di solito è un lavoro ingrato, poiché solitario, gravoso, poco redditizio. Fortunatamente Ariemma ha avuto diversi collaboratori. Della trascrizione si è occupata Magda Skuthanova. Della ricerca di materiali di archivio cartaceo e fotografico si è fatta carico Ilaria Romeo. Il lavoro redazionale e grafico è stato sbrigato da Marilù Romandini e Antonella Lupi. Imparo da Google che Magda Skuthanova, praghese di nascita, dal 2008 lavora alla Fondazione Di Vittorio. Prima era alla CGIL, dove fu per un decennio segretaria di Sergio Cofferati. Ilaria Romeo è la “Responsabile dell’Archivio storico CGIL nazionale” (p. 485). Per maggiori informazioni su di lei si veda www.storialavoro.it. Antonella Lupi è una grafica professionista che vanta una lunga collaborazione con la Ediesse s.r.l. Come si ricava dal colophon, la “copertina e il progetto grafico” sono suoi. Su Marilù Romandini la rete è avara10. Avendo lavorato a lungo come segretaria di redazione del periodico “La rassegna sindacale” presumibilmente è toccato a lei di preparare il testo per la stampa.
Insomma è verosimile che quella di Ariemma sia stata piuttosto una supervisione coordinatrice che una curatela vera e propria. Ariemma si è inoltre fatto carico di riassumere e, talora, di interpretare le annotazioni di T. Risultato di questo impegno sono una quarantina di pagine. Quattordici di Prefazione e ventisei distribuite in sette Introduzioni. Una per anno.
Quello di T è un Journal intime nel senso più pieno del termine. Al centro c’è lui, poche gioie e molti dolori. Il basso continuo è costituito dalla denuncia delle sue stanchezze (frequenti), delle sue esasperazioni, della sua insofferenza per il troppo di troppo umano con cui gli toccò di avere a che fare quasi ogni giorno per sette anni filati. Esemplare di questa tonalità la nota datata 13 agosto 1992. Cosa sono state le ultime due settimane seguite al 31 di luglio? “Sono stati giorni d’inferno”, “nella stampa, nel PDS nel sindacato”, ma soprattutto di “un inferno dentro me” (p. 305). L’elenco delle cause della “contraddizione nella quale mi sono trovato” è esemplato sulla falsariga di un monologo di tragedia. Nel giro di tredici righe la parola miseria viene ripetuta per sei volte. Saranno qui e altrove rosari di parole amare, quali miserie, narcisismo, meschinità, mediocrità, ambiguità, velleità, incertezze, improvvisazioni, stanchezza, soffocamento, fatica, desideri di fuga. Gli aggettivi giocati ton sur ton: ammorbante, faticoso, frustrato, spaesato, stanco. Niente ironia, semmai, all’occorrenza, sarcasmi acri. Un esempio? Nel settembre del 1991 definì la segreteria della CGIL la “stanza dei bottoni” (p. 241), riprendendo una celebre quanto poco profetica espressione di Pietro Nenni alla vigilia del centrosinistra. Uno sberleffo a quanti all’epoca, a suo giudizio, non facevano che inventarsi “una ragione cosmica che renda insostituibile” la loro presenza “nella miserabile plancia di comando – nella stanza dei bottoni – costituita dalla burocrazia confederale. Alla faccia di tutti gli inni al decentramento dei poteri…”. Altro esempio “Il genio politico di Bertinotti non conosce soste” (p. 451). Disagi e insofferenze che sono probabilmente alla base del subitaneo ritorno di fiamma del 1992 per i Saggi di Montaigne11.
Si badi a questo passo in data 13 maggio 1992:
Ho scritto un saggio sotto forma di sfogo autobiografico sull’etica del sindacato e sul senso dell’onore. Non so che cosa vale. Ma mi è uscito di getto e ho sentito di compiere un dovere.
Etica, senso dell’onore, dovere. Prima ho menzionato Camelot. Qui par di essere in mezzo ai paladini durante uno di quei convulsi consigli di guerra che precedettero la disfatta di Roncisvalle, il tristo giorno che Rollant soffiò nell’olifante fino farsi uscire dalla bocca “li cler sancs”12.
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Mettiamo subito le cose in chiaro. Quantunque non possa negare di avere una modesta esperienza di editore di testi, i rilievi che verrò proponendo sono frutto dell’insoddisfazione di un lettore pagante. Perché renderli pubblici? Perché credo che il primo segno di rispetto per la memoria di un dirigente del movimento operaio preveda, quando ci si occupi dei suoi scritti, di curarli al meglio. Non mi occuperò invece delle vicende narrate o alluse nei Diari. Non ne so abbastanza.
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- P. Calderon de la Barca, La vida es sueño, Jornada segunda, vv. 2182. [↩]
- D. Ponchiroli, La parabola dello Sputnik. Diario 1956-1958, a cura di T. Munari, Pisa, Edizioni della Normale, 2017. Su Ponchiroli si è scritto molto. La storia della casa editrice Einaudi, come è noto, costituisce una branca specifica della contemporaneistica italiana, oltre a essere una sorgente sempre viva di memorialistica assortita. Qui rinvio soltanto alla recensione appassionata e partecipe di A. Grasso, C’è un libro nel pollaio, “La lettura” [del “Corriere della Sera”], 28 maggio 2017, pp. 20-21. C’è anche chi, sulla base dell’indicazione di Munari secondo cui presso la Fondazione Ponchiroli “si trovano altri suoi scritti inediti” (p. 13), ha avanzato l’ipotesi che a Viadana potrebbero esserci diari relativi ad altri periodi. Mi darò la pena di citare il contributo non appena la congettura dovesse trovare conferma. [↩]
- Pensare la libertà. I quaderni di Antonio Giuriolo, a cura di R. Camurri, Venezia, Marsilio 2016, p. 186. [↩]
- Si veda www.univr.it ad vocem. [↩]
- T. Munari, Introduzione, in Ponchiroli, La parabola cit., p. 13. [↩]
- Per una verifica sperimentale si veda ivi, pp. 44-45 il resoconto relativo all’invio di un telegramma all’ONU per conto di Giulio Einaudi. Va confrontato, con quello di C. Fruttero, Mutandine di chiffon, Milano, Mondadori, 20112, pp. 100-110, perché la fonte di quello di Ponchiroli (La parabola cit., p. 45: riferisce uno “spassoso racconto di Fruttero”). [↩]
- Apprendo da un articolo comparso su “il Venerdì di Repubblica” del 16 giugno 2017, S. Fiori, Amanti, cognac e colpi bassi: una giornata all’Einaudi, che la mancata pubblicazione del diario da parte della Einaudi si deve al desiderio che esso fosse pubblicato il prima possibile. “Nessun giudizio di merito. Ma avendo noi pubblicato tanti libri sulla casa editrice, anche di recente, ci appariva eccessivo mettere in cantiere il diario di Ponchiroli, che avrebbe subìto una lista di attesa molto lunga”. Così Ernesto Franco, direttore editoriale della Einaudi, in un virgolettato della Fiori. Nessuna notizia in merito alle ragioni del rifiuto opposto dalla Rizzoli. [↩]
- B. Trentin, Diari 1988-1994, a cura di I. Ariemma, Roma, Ediesse, 2107. Le pagine relative al periodo successivo alle dimissioni sono poco più di una quindicina. [↩]
- In questo caso esso è venuto da Marcelle (Marie) Padovani (cfr. p. 9), già moglie di Trentin. Per conto mio non si sarà mai abbastanza grati a Marcelle Padovani. Coi diari succede spesso che gli eredi, fatti due conti, preferiscano tenere tutto in famiglia per almeno qualche decennio. [↩]
- Se si fa eccezione per la banca dati professionali della Camera dei deputati che rinvia a un suo articolo pubblicato nel 1989 sul fascicolo 10 di “La rassegna sindacale” tutto il pochetto che si peschi in rete relativamente a Marilù Ramondini attesta il suo pluriennale servizio come segretaria di redazione de “La rassegna sindacale” (cfr. http://files.rassegna.it/userdata/sites/rassegnait/attach/2016/03/2-muro_2677.pdf; un risultato degli anni Novanta qui: http://koha.cdltre.it/cgi-bin/koha/opac-main.pl). Vorrei poter dire di più ma le biblioteche del sistema bibliotecario bellunese non possiedono la raccolta del periodico suddetto. [↩]
- T, in data Parigi, 2 aprile 1992, a proposito di Montaigne scrive del suo “desiderio di riprendere letture frettolose dell’adolescenza” (p. 281). Sul tema vedi l’interessante articolo di A. Olivetti, Bruno Trentin lettore di Montaigne, “il Manifesto”, 23 giugno 2017. [↩]
- Chanson de Roland, vedi per esempio le lasse XIII-XXVI, LVIII-LXIII. Per l’olifante cfr. lassa CXXXIII. [↩]