di Piero Brunello
Pubblichiamo il discorso tenuto da Piero Brunello il 25 maggio 2013, a Forte Mezzacapo (Zelarino, Mestre), in occasione della festa per i 25 anni di storiAmestre.
Questo discorso è volto a promuovere la diffusione e la vendita del Quaderno 12 di storiAmestre, Rivolta e tradimento. Sudditi fedeli all’imperatore raccontano il Quarantotto veneziano (2012). Se non ne fossi coinvolto come curatore, non avrei difficoltà a dichiarare che è un bel libro, oltre che per le questioni che discute, anche per le storie che presenta. Accenno a una, che nel libro non è centrale, e che io invece porto qui in primo piano. Il 22 marzo 1848, il conte Zichy, governatore militare di Venezia, firma la resa davanti a un gruppo di borghesi senza far intervenire l’esercito; come sbarca a Trieste, viene mandato alla corte marziale. Perché si comporta così? Tra le varie ipotesi che allora si fecero, si disse che amava una donna italiana – lui, un alto dignitario ungherese (ungaro-austriaco come lo definisce Luca Pes nel suo saggio). La congettura non gli faceva onore, né agli occhi dei suoi, né a quelli dei veneziani, che pure mostrarono più comprensione (almeno Niccolò Tommaseo).
Questo esempio mi permette di formulare la domanda a cui vorrei rispondere nei pochi minuti che ci siamo dati: che rapporti ci sono tra uomini e donne nel Quarantotto veneziano? E la rivoluzione – veneziana, italiana ed europea – cambia qualcosa sotto questo aspetto? Se prendiamo una stampa del Quarantotto veneziano – una delle tante –, ci accorgiamo che in piazza ci sono solo uomini. Secondo la storiografia questo significa che, nel momento in cui si costruisce uno spazio politico basato sulla rappresentanza, le donne ne sono escluse. Non è che sia un’osservazione sbagliata, solo che è imprecisa: e soprattutto induce a ricostruire le tappe successive con cui la donna, rimediando all’esclusione, prende posto un po’ alla volta nello spazio pubblico (in primo luogo con il voto), invece di invitare a riflettere su come questo stesso spazio definisce i ruoli maschili e femminili. Il Quarantotto – questa è la tesi che propongo – è un’occasione in cui gli uomini adulti stanno tra uomini e occupano lo spazio pubblico, ma in modo da essere visibili agli occhi delle donne. In altre parole, grazie alla partecipazione politica gli uomini si aspettano di ottenere comprensione dalle madri, ammirazione o invidia dalle sorelle, sostegno dalle mogli e dalle amanti, e infine di far colpo sulle coetanee. Le riunioni di uno dei club politici repubblicani a Venezia, il Circolo italiano, era aperto solo agli uomini, ma con una speciale piattaforma da cui le donne potevano guardare e ascoltare. Si può parlare semplicemente di “esclusione”?
Non che questa modalità di rapporto tra uomini e donne sia una novità: il Quarantotto però la ribadisce e la rafforza, tramandandola alle forme della politica dei decenni successivi e dello Stato nazionale. La scrittrice francese George Sand, in visita a Venezia, racconta che giovanotti vestiti con eleganza si avvicinavano remando sotto il balcone del suo albergo: dirigevano la gondola contro il muro del palazzo e all’ultimo momento la fermavano con un rapido e vigoroso sforzo all’indietro del remo (in veneziano si dice siàr). Le guide turistiche di quegli anni scrivevano che questo era un modo con cui gli uomini intendevano richiamare l’attenzione delle signore che prendevano il fresco alla sera. È chiaro che si deve essere molto cauti nel generalizzare, ed è anche evidente che qui c’è di mezzo l’immagine di se stessi che i veneziani volevano dare ai foresti: ma, per quello che interessa il nostro tema, questo rito sembra dirci che agli uomini piaceva farsi notare dalle donne compiendo qualche prodezza considerata virile. Nella primavera del Quarantotto i giovani volontari che sfilano per le strade con il loro fucile in spalla e con la piuma sul cappello sapevano di essere visti dalle donne che agitavano fazzoletti bianchi dalle finestre: e non è per caso che lo facevano per questo motivo? Si spiegherebbe così l’abbigliamento ricercato degli uomini nel 1848, con tanto di giacche, cappelli, mostrine, piume, sciarpe a tracolla, sciabole al fianco: non tanto divise militari, come di solito dicono i libri di storia, quanto piuttosto un abbigliamento maschile alla moda sottoposto all’approvazione femminile.
I sentimenti come sempre sono ambivalenti. Sto sottolineando l’importanza del sentirsi addosso (parlo degli uomini) lo sguardo femminile, ma dovremmo contemporaneamente saper cogliere il piacere che gli uomini provavano nel fare guardie e ronde, discutere di politica al caffè, prendere parte ai club, pubblicare giornali, fumare il sigaro in compagnia, eseguire parate e manovre militari: non è per caso che gli uomini facevano tutto questo proprio per stare tra uomini? Neanche questa è una novità: a Venezia, attorno alla metà dell’Ottocento, i luoghi d’incontro tipicamente borghesi – come il Gabinetto di lettura, l’Ateneo veneto e l’Istituto veneto di scienze lettere ed arti – riunivano uomini delle professioni, separandoli dalle donne. Ma la rivoluzione e la difesa della città dall’assedio austriaco consentirono agli uomini di stare tra uomini sotto lo sguardo complice di donne, e pertanto senza sentirsi addosso il sospetto di omoerotismo maschile, che era considerato un pericolo per l’ordine sociale.
Per certi versi l’atteggiamento degli uomini che qui sto descrivendo è una risposta alla minaccia che gli uomini avvertivano nella donna che parlava, scriveva, pubblicava libri, si occupava di faccende culturali e politiche. Non parlerò di queste donne, che pure c’erano, ma mi limito, per così dire, a indagare il punto di vista maschile, che credo di conoscere un po’ meglio. Ho detto che la modalità del rapporto tra uomini e donne stabilitasi nel Quarantotto – ripeto, proprio a causa dei conflitti tra i generi su questo terreno – assegna agli uomini la voce e alle donne lo sguardo. Naturalmente questa non è la descrizione di una realtà sociale ma è un’aspettativa, un modello di comportamento, secondo cui gli uomini dovrebbero parlare in pubblico e le donne guardare e ascoltare.
Neanche questa è una novità: ma il Quarantotto la rafforza. A Venezia i canti popolari erano cantati e trasmessi a voce dalle donne. Tutti gli studiosi di canti popolari nell’Ottocento, ma anche nel Novecento, raccolgono le “canzonette”, come allora si chiamavano, dalla voce di donne, che a loro volta le avevano imparato da altre donne. Eppure nei primi anni dell’Ottocento si forma l’idea che il canto tipico veneziano è quello del gondoliere, cioè maschile. Quando un’opera lirica ambientata a Venezia deve suggerire il colore locale, inserisce una barcarola cantata da gondolieri: come si farebbe con la tarantella a Napoli. L’uomo canta continuando a remare, nella cornice di una città immaginata come una donna affiorante sull’acqua. L’uomo canta, preferibilmente in un notturno, e la donna ascolta: nell’opera lirica il canto dell’uomo è un intermezzo sereno che si contrappone al tumulto delle passioni provate dall’eroina femminile. Aleggiava l’immagine di Venezia città libertina e dell’amore: John Ruskin, studioso dell’arte veneziana che arrivò in città subito dopo la rivoluzione del Quarantotto, pensava che la Venezia medievale, irrimediabilmente scomparsa, fosse una vergine, e che la Venezia rinascimentale, da cui era cominciata una irreversibile decadenza (per non parlare del Settecento), fosse una donna perduta, per usare un eufemismo dell’epoca.
Ma non mettiamo piede nel notturno dei sogni maschili, e rimaniamo al nostro argomento: lasciamo perdere cioè quello che avviene nel retroscena e continuiamo a indagare quello che avviene sulla scena. Sebbene la voce maschile tenda a mettere da parte la voce femminile, le donne continuano a cantare: da sole o in coro all’aperto, facendo lavori domestici o impirando perle, o nelle feste. È grazie a questa abitudine che molte canzoni popolari si sono tramandate fino a noi. Il fatto è che nel Quarantotto i repertori femminili sono ritenuti inadatti a esprimere i sentimenti patriottici che si andavano allora diffondendo. Le donne cantavano l’amore, oppure prendevano in giro le donne degli altri sestieri; usavano il dialetto veneziano o un italiano modellato sul dialetto; e spesso le loro canzoni avevano un registro basso, doppi sensi e allusioni sessuali. Il canto maschile viceversa era in italiano ed era contrassegnato da un tono colto e da un registro alto. Gli inni politici e militari e i pezzi d’opera misero da parte le canzonette, i cori maschili soppiantarono quelli femminili; gli elmi di Scipio e le ali dorate scalzarono le pute de San Stae (povere e desfortunàe) e l’amor del barcariolo (e’l so ninziòlo): in altre parole compagnie di uomini si ripresero lo spazio pubblico, e alle donne venne attribuito il ruolo di figlie, di mogli e di madri.
Come si vede, entrambi i ruoli – sia maschili sia femminili – si riconoscevano nei valori prescritti dalla Chiesa cattolica. Perciò lo spazio pubblico e maschile, al pari di quello femminile, non è autonomo, ma subordinato alla Chiesa: il potere civile in altre parole accetta la superiorità, sul piano morale, del potere religioso. Tutto iniziò con manifestazioni d’entusiasmo a favore di Pio IX, in cui gli uomini – mariti e padri di famiglia in casa – si riconoscevano figli del Santo Padre nella famiglia della nazione (oltre che fratelli tra di loro). A questo punto chi leggerà il Quaderno capirà meglio perché la resa degli Austriaci fu interpretata a Venezia come segno di un miracolo della Madonna.
L’idea era questa: che Venezia fosse decaduta a causa della corruzione dei costumi (cicisbei e tutto il resto), e che quindi per riscattarla dalla decadenza politica fosse necessario ristabilire i valori morali, o se si preferisce la rispettabilità, basata sulla divisione dei ruoli tra uomini e donne. Ma come ho fin qui suggerito, i due ambiti di relazioni – quello maschile e quello femminile – non erano separati. Agli uomini, come ho detto, piace stare tra uomini, ma spiare nelle donne l’effetto che fa. Anche il conte Zichy, sempre che sia vera la storia, si comportò così: almeno sotto questo aspetto, tra italiani e austriaci, o ungaro-austriaci, non fa molta differenza. A distanza di un secolo e mezzo, possiamo riconoscerlo, no? Rivolgo naturalmente questa domanda agli uomini. Occhio prima di rispondere: le donne ci guardano.
Rosanna Trolese dice
Bello bello, da allora le donne sono state relegate in casa? Anche se, nel caso delle veneziane, non mi sembra si siano lasciate zittire (v. Impiraresse ecce…)