Piero Brunello risponde a un commento che Rosanna Trolese ci ha inviato qualche mese fa, e torna così sull'intervento che aveva tenuto in occasione della festa per i 25 anni di storiAmestre. In discussione ci sono i rapporti tra uomini e donne sulla scena pubblica, in primo luogo durante la rivoluzione veneziana del 1848, ma non solo.
Cara Rosanna,
seppure in ritardo vorrei rispondere al tuo commento al mio Tra uomini – discorso che ho tenuto alla festa di storiAmestre –, in cui scrivevi: «Bello bello, da allora le donne sono state relegate in casa? Anche se, nel caso delle veneziane, non mi sembra si siano lasciate zittire (v. Impiraresse ecc…)». Ti ringrazio per averci scritto, anche perché queste poche righe sintetizzano chiaramente un punto centrale del rapporto tra uomini e donne, visto dalla parte delle donne.
Devo dirti che inizialmente avrei voluto fare due brevi discorsi: uno intitolato Tra uomini, e subito dopo uno che doveva fare da replica al primo, e intitolato qualcosa come Tra uomini parte seconda, sembrandomi azzardato intitolarlo Tra donne. Avevo già scritto tutto, e pensato a una specie di scenetta: appena terminato il primo discorso mi sarei cioè spostato di sedia per rivolgermi al socio Brunello che aveva appena parlato, replicando punto su punto. Poi ci ho rinunciato, non volevo tirarla per le lunghe, avevamo concordato interventi brevi. Oltretutto dopo il mio discorso avresti dovuto cantare tu: pensavo così che i due punti di vista, maschile e femminile, sarebbero stati ben simboleggiati, ma purtroppo all’ultimo minuto non sei potuta venire…
Nel discorso Tra uomini indicavo come la politica e lo spazio civico si siano venuti costruendo attraverso la preferenza degli uomini per le compagnie maschili, attraverso la censura della parola e della scrittura in pubblico della donna, e infine attraverso la riduzione della donna allo sguardo. Per fare questo distinguevo una scena e un retroscena, sempre dal punto di vista maschile, mostrando attraverso quali cancellazioni e occultamenti si fosse costruito lo spazio che definiamo pubblico e quello che definiamo privato. Tu giustamente rispondi che questa distinzione non è affatto pacifica, e che molte donne non l’hanno mai accettata. Hai ragione. Era un po’ quello che avrei voluto dire nel discorso che non ho pronunciato ma che era rimasto nel computer e ora ti mando.
Stammi bene. Spero di vederti e di ascoltarti cantare a una prossima festa o iniziativa di storiAmestre. Un abbraccio,
Piero
Tra uomini. Una replica, di Piero Brunello
Ascoltando l’intervento tenuto da Brunello, mi sono meravigliato che uno che si occupa di storia possa essere a tal punto vittima dei pregiudizi di genere (nel suo caso maschili) senza nemmeno rendersene conto, anzi facendosi un vanto di parlare «tra uomini». Nessun rilievo, per carità, sul Quaderno 12 di storiAmestre, che anch’io trovo ben fatto, e che vorrei fosse conosciuto e diffuso come merita, ma è su quel che Brunello ci ha appena detto che ho riserve di fondo. Non è che le cose che dice siano di per sé sbagliate, ma mancando di un’analisi del contesto, sono fuorvianti.
Per cominciare, Brunello dice di voler ignorare la «realtà sociale» e di mettere a fuoco «un’aspettativa, un modello di comportamento, secondo cui gli uomini dovrebbero parlare in pubblico e le donne guardare e ascoltare». Ma in questo modo, tralasciando cioè l’analisi storico sociale per seguire le mode della storia culturale, lascia presumere che i rapporti tra i generi seguono regole di reciprocità e di simmetria. In parole povere, se non si dice come stavano le cose, e che cioè la situazione era segnata da forti disuguaglianze, si dà l’impressione di essere di fronte a un gioco di società, che «assegna agli uomini la voce e alle donne lo sguardo» in un sostanziale equilibrio di diritti e di opportunità.
Lascio perdere la disparità giuridica tra uomini e donne di metà Ottocento, che più o meno tutti conosciamo, e mi concentro sugli usi sociali. È noto che i viaggiatori stranieri a Venezia nei primi decenni dell’Ottocento (almeno gli inglesi e gli americani) notavano con fastidio il fatto che gli uomini di ogni età fissavano ostentatamente per strada le donne che incrociavano, voltandosi al loro passaggio senza togliere loro gli occhi di dosso. Certo, le donne delle classi alte sono un po’ più protette dal loro status, ma la situazione è generale: a Venezia le donne giovani, anche quando si muovono per la città con un accompagnatore o con una domestica (e se sono di ceto elevato non possono farne a meno), sono seguite da commenti espliciti e da sguardi insistenti degli uomini. Gli uomini si mettono fuori della chiesa o fuori dai teatri proprio per osservare le donne, oppure le scrutano da un tavolo di caffè in piazza San Marco: ma viceversa non può succedere. Sarà anche vero, come suggerisce Brunello, che gli uomini vogliono lo sguardo complice delle donne quando si muovono nello spazio politico: ma non bisogna dimenticare il contesto in cui tutto ciò avviene.
Oltre a ignorare il contesto, Brunello dichiara di tralasciare «quello che avviene nel retroscena» e di «indagare quello che avviene sulla scena». Ma chi decide qual è la scena, e quale il retroscena? In base a quale criterio un bordello (dove avveniva perlopiù l’educazione sentimentale degli uomini), un ufficio di polizia o un reparto di manicomio fanno parte del retroscena, e una funzione in chiesa, un atto di governo o un articolo di giornale fanno parte invece della scena? È il Quarantotto a stabilire questa distinzione nel momento stesso in cui fonda lo spazio pubblico: ma gli storici non dovrebbero prenderla sul serio, bensì farne un oggetto di analisi. In questo modo vedrebbero per esempio che il Quarantotto è una rivoluzione (che avviene sulla scena) che però mantiene inalterati lo spazio domestico e gli assetti e il funzionamento degli apparati statali (che si mantengono intatti nel retroscena). Del resto questo è un paese, magari pieni di rivoluzionari e ancor più di retorica rivoluzionaria, in cui però non è mai avvenuta nessuna rivoluzione.
«Non mettiamo piede nel notturno dei sogni maschili», scrive Brunello. Perché? Per la difficoltà di trovare buone fonti o perché è indiscreto? Ammettiamo pure che sia difficile conoscere che cosa sognavano gli uomini di metà Ottocento, ma non mancano certo indizi per capire qualcosa di quello che chiamiamo l’immaginario maschile. Per decenni, prima del Quarantotto, le donne greche si suicidano a teatro e nel melodramma, pur di non cedere alle voglie lascive del turco dominatore, cosa che non succede mai alle odalische, che infatti continuano a vivere schiave nell’harem. Ecco le due facce del desiderio maschile: la donna greca (e italiana) «libera e immacolata», come allora si diceva, e l’odalisca «schiava e contaminata». Vienna, Trieste, Venezia, Milano, Parigi: il mercato richiedeva ritratti di odalische, e i pittori rispondevano alle richieste. Se ci limitiamo al Lombardo Veneto, era un soggetto in voga, diffuso fin nelle città di provincia grazie a quadri, incisioni e stampe. E per limitarci a Venezia, si pensi ai viaggi in Oriente (Egitto, Palestina, Siria, Istanbul) dei pittori dell’Accademia delle belle arti negli anni Quaranta, e ai soggetti esotici – carovane nel deserto e ninfe al bagno – che nacquero da quell’esperienza. Donna immacolata e donna contaminata: non è difficile riconoscervi la simbologia cattolica, a cui lo stesso Brunello del resto rinvia. Ma per analizzare questo universo è necessario scoprire le trame che legano ambiti che si presumono separati, e vogliono rimanere tali, come ragione e sentimenti, pubblico e privato, politica e religione. Il privato è ancora politico, come si diceva una volta?
Brunello fa intuire una situazione segnata da una forte separazione di ruoli tra uomini e donne. Anche qui non è che sia sbagliato, ma non bisogna esagerare: il melodramma, se proprio vogliamo prenderlo a schema di comportamento, prevede continui duetti tra uomo e donna, senza parlare dei concertati in cui tutti i personaggi cantano assieme al coro. E poi per esprimere un giudizio ci sarebbe bisogno di una comparazione: per esempio con una città di porto in Italia o in Europa sui centomila abitanti o poco più, cioè delle stesse dimensioni di Venezia; oppure, ipotizzando un’importanza decisiva della religione, con una città protestante in Inghilterra o in Germania, o nel Mediterraneo ottomano. Ma non si tratta solo di una questione di metodo. Accentuare la separazione dei ruoli di genere è un modo infatti per giustificare gli uomini che non prendono sul serio le donne: in fondo gli uomini vivono tra uomini, cos’altro ci si può aspettare? Brunello dice di non voler prendere in considerazione la donna che «parlava, scriveva, pubblicava libri, si occupava di faccende culturali e politiche», giustificandosi con il fatto di limitarsi a «indagare il punto di vista maschile, che credo di conoscere un po’ meglio». Ma così, rimanendo dentro le aspettative maschili, le donne non hanno che una sola possibilità: guardare gli uomini. Le parole che chiudono il discorso di Brunello sono significative. Dopo aver rivolto una domanda agli uomini, aggiunge: «Occhio prima di rispondere: le donne ci guardano». La conclusione doveva essere un’altra: «Aspettiamo prima di rispondere: le donne parlano, le donne cantano», o una frase del genere.