a cura di Piero Brunello
Torniamo di nuovo al Quarantotto: la lettura del verbale di una seduta dell’Assemblea veneziana dei rappresentanti del febbraio 1849 è stata stuzzicata dalle discussioni che si ascoltano in questi giorni (fine ottobre 2013) a proposito delle modalità di una votazione nel Senato della Repubblica italiana.
Nota preliminare. Nell’Assemblea dei rappresentanti di Venezia del Quarantotto, votata a suffragio universale maschile su base parrocchiale, si discusse se adottare il voto palese o il voto segreto. A intervenire sono quasi tutti avvocati (professione del resto ben rappresentata all’Assemblea). La prima proposta si appella al diritto del popolo di controllare i propri rappresentanti; la seconda, al fatto che il rappresentante è eletto non per rendere conto al popolo, ma per fare il bene del popolo secondo coscienza. Chi è a favore del voto palese accusa il voto segreto di essere la maschera del suddito, mentre il cittadino si assume le proprie responsabilità alla luce del sole; chi sostiene il voto segreto risponde che il popolo non sempre riesce a capire come stanno le cose, e afferma che l’opinione pubblica non riflette le convinzioni del popolo (che oltretutto non dovrebbe occuparsi di politica ma pensare ad altro) bensì la faziosità dei partiti. In particolare a Venezia i sostenitori del voto segreto si appellano all’uso della Serenissima: cioè un’oligarchia aristocratica, ribattono i sostenitori del voto palese. Peraltro, tutti, indistintamente, escludono che il rappresentante del popolo possa essere influenzato da altri interessi che non siano il bene del popolo e la propria coscienza; si tratta di trovare, dicono, la garanzia migliore per assicurare tale condizione.