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Venezia

È o non è il fiore del partigiano? Una lettera su boccioli e feste del 25 aprile

23/04/2017

di Antonio Di Maggio

Riceviamo e pubblichiamo una lettera del nostro amico Antonio Di Maggio che comincia con una coincidenza e con una poesia del 1882 dedicata alla tradizione veneziana di regalare un bocciolo di rosa a una donna per il 25 aprile, giorno di san Marco. E la Liberazione?

Venezia, 22 aprile 2017

Cara redazione,

anche nel 1882, come quest’anno, il 23 aprile cadeva di domenica. Guardate che poema si poteva leggere quel giorno sul Barababao “Zornal umoristico co caricature el vien fora tute le domeneghe”:

[Leggi di più…] infoÈ o non è il fiore del partigiano? Una lettera su boccioli e feste del 25 aprile

Archiviato in:Antonio Di Maggio, La città invisibile Contrassegnato con: 25 aprile, intervento, Liberazione, riti, San Marco, Venezia

“Perché Valussi mi sembra illuminante”. Una lettera a storiAmestre

29/01/2017

di Alessandro Casellato

Pubblichiamo la lettera che ci ha mandato Alessandro Casellato, docente di storia dell’università Ca’ Foscari di Venezia e coordinatore del progetto e della mostra “Ascari e schiavoni. Il razzismo coloniale e Venezia”. Casellato parte dai commenti ricevuti sulla pagina facebook della mostra e dalla discussione in corso sul nostro sito (si vedano i commenti in calce al testo di Pacifico Valussi, presentato da Piero Brunello).

L’articolo di Pacifico Valussi presentato da Piero Brunello ha suscitato, oltre ai commenti sul sito di storiAmestre, alcune reazioni stizzite nella pagina facebook della mostra “Ascari e Schiavoni. Il razzismo coloniale e Venezia”. A me invece sembra illuminante, perché rivela che già a metà Ottocento il termine Schiavoni era sentito come fastidioso (“suona male”) alle orecchie di 18 Dalmati che vivevano a Venezia, e a quelle di “più d’uno Slavo colto” che Venezia frequentava come “amico all’Italia”, oltre che – evidentemente – a quelle di Pacifico Valussi, che slavo non era.

[Leggi di più…] info“Perché Valussi mi sembra illuminante”. Una lettera a storiAmestre

Archiviato in:Alessandro Casellato, La città invisibile Contrassegnato con: colonialismo, fascismo, intervento, razzismo, storia di Venezia, storiografia, uso pubblico della storia, Venezia

Da “Riva degli Schiavoni” a “Riva degli Slavi”. Venezia, marzo 1849

19/01/2017

di Pacifico Valussi, a cura di Piero Brunello

In questi giorni ha aperto a Venezia la mostra “Ascari e Schiavoni, il razzismo coloniale e Venezia”, organizzata in occasione dell’ottantesimo anniversario della prima legge razziale italiana, emanata nel 1937.

Per l’occasione Piero Brunello presenta un articolo di Pacifico Valussi che nel marzo 1849 annunciava il cambiamento del nome di Riva degli Schiavoni in Riva degli Slavi, in nome della fratellanza tra i popoli. Si trattava in realtà di una richiesta, promossa da diciotto Dalmati che vivevano a Venezia, e che il governo di Manin decise di non prendere in considerazione.

Alla fine di marzo 1849 Pacifico Valussi, un friulano accorso alla difesa di Venezia, scrisse una lettera aperta a Ernest von Schwarzer, giornalista viennese conosciuto anni prima a Trieste nella redazione del Giornale del Lloyd austriaco. La lettera uscì nel quotidiano L’Italia nuova il giorno dopo l’arrivo della voci ancora confuse sulla sconfitta di Carlo Alberto a Novara. La notizia fu accolta con sgomento: Venezia si ritrovava sola, le truppe austriache accampate a Mestre si preparavano all’assalto finale contro Forte Marghera e al bombardamento della città.

[Leggi di più…] infoDa “Riva degli Schiavoni” a “Riva degli Slavi”. Venezia, marzo 1849

Archiviato in:La città invisibile, Pacifico Valussi, Piero Brunello Contrassegnato con: 1848, documenti, leggi razziali, nazionalismo, razzismo, riva degli Schiavoni, Venezia

Quando arriva Prometeo. Sulla storia di Venezia nel periodo austriaco

18/09/2016

di Adolfo Bernardello

Presentiamo alcune delle prime pagine del nuovo libro di Adolfo Bernardello, Venezia nel Regno Lombardo-Veneto. Un caso atipico (1815-1866). Dove si illustrano le ragioni per rileggere la storia della Venezia ottocentesca abbandonando i miti della città romantica, arretrata e decadente. Con un elogio della frequentazione gli archivi, un invito a soffermarsi su fatti economici e avvenimenti e non solo su “simboli, rituali, figure retoriche”, a praticare una storia sociale che dia spazio alle classi popolari, e a esporre i risultati della ricerca con una scrittura chiara e narrativa.

Accingendomi anni fa allo studio del Lombardo-Veneto nel XIX secolo, mi sono sempre proposto di portare alla luce, per quanto possibile, a mano a mano che scorrevo buste e faldoni, aspetti inediti o poco indagati sulla Venezia dell’Ottocento, come il minatore che scava cunicoli sotterranei volendo trovare vene nuove. Gli storici hanno sempre preferito occuparsi dei ben più celebri secoli precedenti, per cui al periodo della dominazione austriaca è spettato uno spazio, malgrado non manchino le opere di pregio, tutto sommato modesto. Mettendo le mani avanti per rispondere a possibili obbiezioni, dirò subito che questo libro se ha un difetto è quello di muovere da un’angolatura tutta veneziana nella pretesa di aggiungere o raccogliere o modificare alcuni aspetti che mi sono apparsi bisognosi di studi ulteriori. Rifuggendo dalla torpida pratica, molto spesso tutta ideologica, di rimestare nel calderone di quanto ormai è assodato e digerito, mi sono proposto fin dall’inizio di metter mano alla ricostruzione particolareggiata di fatti e avvenimenti (per quanto è umanamente possibile scoprire e recuperare) occupandomi preferibilmente delle condizioni economico-sociali della città e della regione, nella convinzione maturata negli anni della loro rilevanza nelle vicende di una comunità, di un popolo, di un territorio. In questo sono consapevole di andare piuttosto controcorrente rispetto alle tendenze affermatesi nei dibattiti storiografici in questo ultimo decennio, che hanno sottolineato fortemente piuttosto gli aspetti ideali e simbolici nell’agire di individui disposti al sacrificio estremo di sé per la patria, privilegiando i ceti in possesso di un certo livello di alfabetizzazione, una sorta di Risorgimento delle persone istruite, dei lettori di testi ispiranti gesta magnanime fino al martirio. Nell’imboccare i nuovi indirizzi aperti dai fondatori di questo recente revisionismo storiografico, come spesso accade per l’affermarsi di novità se non di mode, da parte dei seguaci si è fatto a gara per superare i maestri nello sfoggio di un periodare zeppo di un lessico complicato e spesso ermetico, quasi da adepti di un neo idealismo strutturato su un profluvio di rimandi semiologici e semantici, di veri e propri sistemi morfologici in cui si si notano la preminenza anzi il monopolio dati a novelle grammatiche riboccanti di simboli, rituali, figure retoriche.

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Archiviato in:Adolfo Bernardello, La città invisibile Contrassegnato con: pagine scelte, storia sociale, storiografia, Venezia, XIX secolo

Di che cosa parliamo quando parliamo della condanna di Roberta Chiroli. Una rassegna di voci con qualche considerazione

11/09/2016

di redazione sito sAm

Il 22 giugno siamo intervenuti a proposito della condanna subita da Roberta Chiroli per “concorso morale” a un’azione di protesta in Val di Susa ritenuta penalmente rilevante, pubblicando una nota “a difesa del resoconto etnografico”, accompagnata da alcune pagine che Guido Lanaro ha pubblicato sul movimento No Dal Molin nella collana dei Quaderni di storiAmestre. Il 12 luglio abbiamo ospitato un intervento della stessa Chiroli. Durante l’estate abbiamo continuato a seguire e a discutere questa vicenda, e riprendiamo ora la parola in vista dell’incontro del 12 settembre Dall’Egitto alla Val di Susa. La ricerca in campo organizzata da alcuni amici di Ca’ Foscari. Questo è il nostro contributo a distanza.

Fraintendimento e attacco alla libertà di ricerca

Le prime voci a difesa di Roberta Chiroli, a metà giugno, hanno sostenuto che la condanna penale è frutto di un fraintendimento: descrivendo nella sua tesi l’azione incriminata, Roberta Chiroli ha usato la prima persona plurale (il “noi partecipativo”) e il giudice, accogliendo la tesi del PM, e ignorando entrambi gli usi della disciplina, ha visto in un espediente narrativo proprio dell’antropologia la prova del contributo all’azione. Così scrivono i quotidiani al momento in cui la condanna diventa pubblica, tra il 15 e il 16 giugno 2016, e così viene ripresa la notizia nei giorni successivi.

[Leggi di più…] infoDi che cosa parliamo quando parliamo della condanna di Roberta Chiroli. Una rassegna di voci con qualche considerazione

Archiviato in:La città invisibile, redazione sito sAm, Senza categoria Contrassegnato con: Ca' Foscari, intervento, No Tav, Roberta Chiroli, Torino, Venezia

Ma Venezia è unica? Una lettura

13/03/2016

di Giacomo Corazzol

Il nostro amico Giacomo Corazzol ha recensito per un giornale israeliano un’antologia su Venezia curata dallo scrittore e traduttore Reuven Miran, pubblicata in Israele nel 2015 (Venezia, una storia d’amore, Nahar Books, Binyamina 2015, 267 p.). Riprendiamo qui la versione italiana del testo apparso in ebraico nell’inserto Sefarim (“Libri”) del quotidiano Haaretz l’11 marzo scorso. Dove ci si interroga sul modo di vedere le cose e di come sia facile perdere di vista la realtà. Forse per troppo amore?

Il nome di Reuven Miran è noto al pubblico dei lettori israeliani1. Laureatosi in filosofia alla Sorbona, Miran è autore di racconti, di sceneggiature e di traduzioni dal francese. Nel 2003 ha fondato la casa editrice Nahar Books. Nahar Books ha tra i suoi principali scopi la diffusione di voci appartenenti a minoranze discriminate e la promozione di valori umanistici universali.

[Leggi di più…] infoMa Venezia è unica? Una lettura

  1. In italiano è disponibile il suo Memorie di una stagione morta, trad. di Barbara Passarella, Chambra d’Òc, Roccabruna (CN) 2011, 147 p. ndr [↩]

Archiviato in:Giacomo Corazzol, Letture Contrassegnato con: pagine scelte, Reuven Miran, Venezia

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