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Venezia-Mestre

Che figata sarebbe, il prossimo anno. Pisa-Unione, 3 Giugno 2007

06/06/2007

di Matteo Di Lucca

Prologo

Pisa dista 300 Km. La partita sarà trasmessa in diretta su Raitre per il Veneto. L’1-1 dell’andata non promette nulla di buono visto che l’Unione è costretta a vincere all’Arena Garibaldi per andare in finale play-off. Euri da spendere. Ha piovuto per tutta la settimana. La Vale ha tutte le ragioni per essere titubante.

Mercoledì decidiamo di andare a Piazzale Roma e comprare i biglietti. Certe partite non si possono vedere a casa davanti alla televisione perdendosi l’odore dell’erba appena tagliata, il frastuono degli spalti, i volti e le espressioni delle persone che ti stanno accanto, la condivisione di gioia e dispiaceri, la visione dalla curva che ti regala una prospettiva diversa ma personale.

1. Partiamo in macchina verso le undici del mattino. Fermandoci a fare rifornimento al primo autogrill dopo Padova vediamo passare i quattro pullman organizzati dai ragazzi di “A sostegno di un ideale” scortati da due volanti della polizia. Quando li raggiungiamo e sorpassiamo in autostrada la Vale li saluta con la sciarpa fuori dal finestrino. Il viaggio è tranquillo, lungo ma senza intoppi. Ci fermiamo per prendere qualcosa da mangiare all’autogrill prima dell’uscita di Pisa Nord dove incontriamo altri tifosi unionisti che come noi hanno deciso di fare una trasferta “cani sciolti” in macchina.

Entrati in città veniamo sorpassati dal pullman della squadra di casa preceduto da una volante della polizia a sirene spiegate e seguito da una decina di persone in motorino che sventolano le bandiere pisane. Decidiamo allora di seguire il pullman ma ci accorgiamo subito che ci stiamo infilando verso la curva pisana. Retromarcia veloce e richiesta di aiuto ad alcuni poliziotti che ci indirizzano verso la curva ospite. Le indicazioni però risultano errate e dopo aver sbagliato nuovamente strada ed essere circondati da una marea di tifosi di casa riusciamo finalmente a trovare il parcheggio per i tifosi ospiti. Per fortuna che la macchina della Vale è targata Forlì!

Il luogo del parcheggio si rivela essere l’intera strada che avevamo percorso in precedenza e che ora è stata interamente chiusa al traffico per le macchine dei tifosi ospiti. La strada fiancheggia le mura della città vicine a piazza dei Miracoli e alzando gli occhi sopra di esse riesco a scorgere la torre pendente. Insieme ad altri tifosi ci avviamo verso la curva e una volta arrivati all’ingresso ci accorgiamo che i pullman organizzati dei nostri non sono ancora arrivati. Dopo aver parlato con un tifoso dello Spezia, acerrimo nemico dei pisani che seguirà con noi la partita, decidiamo di entrare in anticipo per vedere il riscaldamento della squadra. Lo stadio è molto bello sullo stile di quello di Firenze, senza pista e con solo un breve tratto di erba che distanzia la porta dalla curva. 

2. La curva pisana è già piena, ribolle di entusiasmo e con una serie di cori ci fa notare che siamo “quattro gatti”. Effettivamente la nostra curva è ancora vuota. In mancanza dei gruppi organizzati saremo in una cinquantina e l’età media è piuttosto alta. Tra gli altri in curva vediamo e scambiamo quattro parole con la signora che salutiamo sempre al Penzo. La squadra nel frattempo è già entrata in campo e i pochi presenti la salutano cercando di incitare i giocatori che si scaldano a pochi metri da noi. 

Mentre osservo i giocatori per capire la formazione, dai cancelli d’ingresso della curva si sentono delle urla. Mi alzo e mi accorgo che sono arrivati i gruppi della Curva Sud. Circa un centinaio di persone, molte teste rasate e molti con la maglietta nera con scritta “Vecchi Ultrà”. Una volta passato il cancello si radunano all’ingresso del tunnel che porta alla curva. Poi escono tutti insieme urlando “Pisano pezzo di merda”. Alcuni di loro si lanciano verso il settore dei distinti, occupato dai pisani, per insultarli. Altri appendono al vetro di plexiglass due tricolori. Non si capisce dove vogliono stare, e a ogni loro movimento io e la Vale ci spostiamo dalla parte opposta. Poi decidono di fermarsi in basso al centro della curva. Finalmente arrivano anche i ragazzi del “settore”, circa trecento, colorati di arancioverde e festanti. Entrano alla spicciolata, uno alla volta, e poi si sistemano senza esitazioni nella porzione della curva più vicina alla tribuna. Alcuni ragazzi attaccano al plexigrass due bandieroni arancioverdi. Una volta raggruppati in maniera compatta il capocoro inizia subito a chiamare i cori per incitare la squadra che sta ultimando il riscaldamento. Si susseguono: “Noi ci crediamo / ragazzi noi ci crediamo”, “Noi tifiamo Veneziamestre” e poi un bel “Pope”. Osservo la reazione ai nostri cori dei gruppi della Curva Sud: stanno zitti e vedo solo un gruppetto di loro che, alzando il braccio a modo di saluto fascista, canta qualcosa contro i pisani. Nel frattempo entrano in curva anche i presidenti del Venezia che hanno deciso di guardare la partita insieme ai tifosi. Se ne stanno in disparte in alto dalla parte opposta alla nostra.

3. Man mano che si avvicina il fischio d’inizio l’atmosfera diventa sempre più elettrica e anche la curva pisana incomincia a farsi sentire. All’uscita in campo delle squadre noi intoniamo ancora “Pope” mentre la curva di casa è tutto uno sventolio di bandiere rosse con lo stemma della città. Poi dalla curva pisana si alza un boato frastornante e tutti simultaneamente lanciano pezzi di carta colorando la curva di bianco come se fosse esploso un fuoco d’artificio. L’inizio del nostro tifo è splendido: tutti urlano a squarciagola cercando di sostenere la squadra, che nei primi cinque minuti è pressata e rischia subito di prendere un gol: un colpo di testa ravvicinato parato d’istinto da Aprea. I due gruppi nella nostra curva in sostanza si ignorano, anche se nei diversi cori si percepisce una certa rivalità. Loro scandiscono “Vincere”, mentre noi “Noi vogliamo questa vittoria”. Quando noi intoniamo “A sostegno di un ideale”, loro intonano “Noi siamo la curva Sud”. Mentre loro incentrano i cori sull’insulto verso i pisani, noi continuiamo solo a incitare il più possibile l’Unione. 

Sul campo la squadra ha incominciato a macinare il suo consueto gioco, crea occasioni e dimostra una certa superiorità tecnica. Verso il ventesimo, Collauto batte un calcio d’angolo a rientrare direttamente verso la porta. Il portiere del Pisa smanaccia la palla proprio sulla linea, un difensore allontana come può di testa la palla che finisce nella zona del dischetto dove c’è Moro: gran tiro al volo che finisce all’incrocio dei pali. La curva esplode in una gioia incredibile. Io mi lancio giù dalla gradinata, scavalco spintonando la gente festante, raggiungo il plexiglass e con gli occhi sbarrati batto sul vetro verso i giocatori che sono venuti a festeggiare verso il settore. Incredulo salgo affannosamente i gradini abbracciando tutti e una volta raggiunta la Vale continuo i festeggiamenti. Sono ancora con la schiena rivolta verso il campo quando improvvisamente sento il boato dello stadio intero, mi giro di scatto e vedo la palla dentro la nostra porta. Non ci posso credere il Pisa ha pareggiato. Impreco, chiedo come è successo, impreco di nuovo. Ho goduto trenta secondi!

4. Il rammarico rimane fino alla fine del primo tempo soprattutto per il fatto che l’Unione ha giocato alla grande. Nell’intervallo accompagno la Vale in bagno, ma non si sa per quale motivo l’unico luogo adibito è unisex, senza porte, con la turca e con uno strato d’acqua in terra che nemmeno a San Marco nelle giornate di acqua alta. La Vale si unisce ad altre ragazze e signore più anziane, ma di un bagno per le donne nemmeno l’ombra. Uno sprovveduto “steward” (è la moda 2007, credo in omaggio a un decreto: l’inserviente dello stadio, adesso porta una pettorina fluorescente con scritto “steward”) cerca di difendersi: “Una volta erano qua, ma adesso…”. Poi inondato dagli insulti delle ragazze inferocite: “Di solito in curva ospiti vengono non più di venti persone e non ci sono ragazze”. La Vale decide di seguire le altre ragazze e fa un tentativo nei bagni putridi. Io risalgo le gradinate a partita già iniziata proprio quando Moro con un tiro rasoterra scheggia il palo a portiere battuto. 

La Vale torna in tempo per cantare e godersi il bel primo quarto d’ora del secondo tempo, quando l’Unione ha quattro occasioni per passare in vantaggio. Come si dice, nel calcio chi sbaglia paga: non ci vuole molto prima che il Pisa ci punisca in contropiede, passando in vantaggio. Sconforto. Ancora di più cinque minuti dopo, quando sullo sviluppo di un calcio d’angolo, il Pisa segna di nuovo. È andata. 

Mi siedo sconsolato ma, quando il capocoro incita il settore a cantare ancora, mi alzo e canto più forte di prima. Si ringrazia la squadra: “Grazie ragazzi”, “Di Costanzo show”, “Lo squadrone ce lo abbiamo noi”, “Noi non ti lasceremo mai”. I gruppi della curva Sud sono ammutoliti mentre noi cantiamo divertendoci incitando talmente la squadra che i pisani non si sentono. Così scatta lo strafottente: “3 a 1 e non cantate/ 3 a 1 e non cantate”.

La partita e la speranza di fare la finale play-off finiscono ma chiamiamo la squadra sotto il settore. I giocatori ci raggiungono sconsolati per il risultato e per non averci dato un’altra grande soddisfazioni. Capitan Collauto e Romondini sono in lacrime. Tutti lanciano le maglie. Paolino Poggi si spoglia completamente e resta a parlare con alcuni ragazzi. Nello Di Costanzo è ancor più rammaricato dopo l’ennesimo “Di Costanzo show”. Si avvicina al settore con gli occhi lucidi poi si allontana con le spalle ingobbite. Un momento fantastico con tutto il settore che ringrazia la squadra per il grande campionato nonostante la sconfitta. 

Epilogo

Dopo aver aspettato una decina di minuti, la polizia apre i cancelli e incominciamo a sfollare. Nessuno è deluso. La maggior parte delle persone, pur rammaricate, sorride consapevoli della grande prestazione della squadra. La colonna di macchine e pullman “unionisti” raggiunge l’autostrada scortata dalla polizia. Nonostante una marea di pisani che insulta e lancia oggetti, tutti tengono bandiere e sciarpe fuori dal finestrino. Nella strada del ritorno, io e la Vale concordiamo che è andata bene così. La serie C resta ancora la realtà giusta per l’Unione; per la società; per le due città che anche in un’occasione così importante si sono dimostrate poco coinvolte; per i ragazzi del “settore” che possono avere ancora un anno da trascorrere “tranquilli”, senza le complicazioni di regolamento che la B avrebbe senz’altro portato, a parte le partite in tutti i giorni della settimana. Poi ci saranno altri due derby con il Padova. Visto che da due anni consecutivi la squadra che vince il campionato di serie C1 festeggia la promozione all’Euganeo, speriamo di giocare il derby all’ultima giornata. Che figata sarebbe festeggiare la promozione a Padova! 

Al prossimo anno.

Archiviato in:La città invisibile, Matteo Di Lucca Contrassegnato con: calcio, cronaca, Unione, Venezia-Mestre

Emozioni. Unione-Pisa, 13 Maggio 2007

16/05/2007

di Matteo di Lucca

L’imponderabile

Come quei film thriller in cui nei primi fotogrammi viene svelato l’omicidio per poi cominciare un lungo flash-back, anche questa cronaca deve iniziare dalla fine. Sono le 16.50, la partita è ancora sullo 0-0 ed è già un pezzo che l’arbitro ha segnalato i minuti di recupero. Romondini viene servito al limite dell’aria e con le ultime forze rimaste scaglia verso la porta un tiro che non sembra irrefrenabile. Il portiere del Pisa si butta sull’angolino alla sua destra, con la mano aperta tocca la palla che però lo scavalca e va in rete. Apoteosi.

1. Oggi si gioca l’ultima partita di campionato e c’è da seguire la partita nostra e delle altre squadre, e fare di continuo conti in classifica. L’Unione spera ancora in una congiuntura astrale che la porti ai play-off; il Pisa può ancora sperare nella promozione diretta. Tra scontri diretti e classifiche avulse, la situazione intricatissima. Per l’Unione una partita da dentro o fuori.

Io e la Vale decidiamo di partire intorno alle 12.30, in anticipo rispetto al solito visto che lo stadio sembra essere tutto esaurito e si prevede un vero e proprio “esodo” di pisani in laguna. La Vale si presenta con l’abbigliamento portafortuna: pantaloni verde militare, maglietta arancione e sciarpa arancioverde (versione estiva: di maglia, fatta a mano da mia mamma) che le copre la fronte raccogliendole i capelli. Visto che aveva portato bene contro il Sassuolo, decidiamo di andare in stazione a Mestre e andare in treno a Venezia. Parcheggiata la macchina vicino all’entrata della stazione (lato Marghera) corro a fare i biglietti. In stazione sembra tutto tranquillo: si vede solo un tifoso con la maglia dell’Unione che pare molto teso, tanto che saliti sul treno nello stesso scompartimento ci accenna un “Ma voi siete tranquilli?”. Scesi dal treno poi si allontana di buona lena esclamando: “Buon pomeriggio”. Io rispondo “Anche a te” e raggiungiamo l’imbarcadero per prendere il vaporetto verso Sant’Elena. 

Anche all’imbarcadero ci sono pochi tifosi dell’Unione mentre ci ritroviamo intorno almeno una ventina di tifosi pisani che chiedono informazioni per raggiungere Sant’Elena. Salgono tutti nel nostro stesso vaporetto e giunti all’imbarcadero di piazzale Roma, colmo di tifosi unionisti, l’equipaggio non fa salire nessuno probabilmente per motivi di ordine pubblico. Immaginatevi le eresie di quelli restati a terra. I “cani sciolti” pisani sono visibilmente alticci e incominciano a farci una serie di domande sulla nostra tifoseria, a dichiarare con sicurezza che vinceranno e andranno dritti in B. Molti portano una maglietta rossa con la croce bianca simbolo di Pisa e con scritto sulla schiena “Per fortuna non sono un livornese”. Alcuni di loro fumano, facendo imbufalire alcune persone sul vaporetto; altri bevono delle bottiglie di birra che una volta finite lanciano in laguna; altri ancora cercano di attaccare bottone le ragazze salite sul vaporetto, direzione Lido per sfruttare la bellissima giornate di sole. Poi tutti insieme intonano un coro della serie “Solo la nebbia / avete solo la nebbia”: peccato che proprio in quel momento stiamo passando davanti a piazza San Marco sotto un sole estivo. Già prima un pisano mi aveva detto con il suo classico accento: “Non sono mai venuto a Venezia, ma mi sembra caruccia”. La Vale parla con loro ma mostra un certo malumore e disgusto soprattutto quando uno di loro cerca di convincerla che l’uomo è superiore alla donna. Il pisano mi guarda perplesso e alla fine esce sconfitto dal duello. Come previsto. A parte questi episodi, il viaggio in vaporetto è tranquillo e giunti a Sant’Elena ci affrettiamo ad entrare allo stadio. 

2. Nei pressi dello stadio sembra tutto tranquillo. Ci sono molte più forze dell’ordine del solito, una parte in tenuta antisommossa. Raggiungendo l’ingresso dei distinti, scorgo, attraverso i varchi della curva Sud, che la Nord opposta è già colma di pisani. Entrati nel settore distinti il colpo d’occhio è straordinario e mi ricorda gli anni in cui l’Unione partecipava a campionati più importanti e lo stadio era sempre pieno. Mi accorgo subito che i pisani non occupano solo la curva Nord ma anche il terzo dei distinti più vicino alla curva ospite e molte bandiere nerazzurre sventolano anche in tribuna. Saranno almeno in quattromila. Anche il nostro settore pur mancando ancora mezz’ora al fischio d’inizio è già bello pieno e l’atmosfera è quella delle grandi occasioni. Salendo le gradinate per raggiungere i soliti posti sentiamo un boato impressionante dalla curva pisana: mi giro verso il campo e mi accorgo che la curva pisana sta salutando l’ingresso in campo della sua squadra per il riscaldamento. Tutta la squadra del Pisa va sotto la curva a salutare i tifosi e dalla curva Nord sale un rumore assordante, che ci fa presagire una domenica difficile anche per noi che cantiamo. 

Quando i “nostri” scendono in campo il saluto è un po’ più freddo: la curva infatti non si è ancora riempita e nel settore sembrano ancora tutti piuttosto distratti. Si vedono passare molti pisani sotto il settore tranquillamente mescolati con i fioi e con i vecchietti veneziani che solitamente occupano l’altra zona dei distinti. La Vale sbotta: “Ma come! rompono i coglioni per delle magliette con su scritto Ultras e poi mettono diverse tifoserie nella stessa zona dello stadio?”. Il pensiero viene spontaneo, ma il clima è veramente rilassato. Sulle gradinate si nota, già schierato, cordone di polizia che separerà le due tifoserie nel momento in cui ognuno prenderà i propri posti (sarà per la serie: “l’affrontamento simbolico”?). 

Leggendo la fanzine autoprodotta da “A sostegno di un ideale” scopro che il gruppo non è gemellato con i pisani, ma le tifoserie si rispettano e portano avanti insieme alcuni progetti come quello del “Futbol rebelde” o la contestazione contro il decreto Amato. Le cose non vanno altrettanto bene, anzi al contrario, tra pisani e i gruppi rimasti in curva Sud; è per questo che i “capi” della curva pisana hanno invitato i propri concittadini a non girare per Venezia con i vessilli pisani. 

Man mano che si avvicina l’inizio della partita la tensione incomincia a salire. Mentre il settore rimane ancora in silenzio, dalla curva Sud iniziano una serie di cori contro i pisani (che puntualmente replicano) e si alzano al vento molte bandiere ufficiali del Venezia Calcio gentilmente offerte dalla società per creare una coreografia in curva. Proprio in quel momento il nostro capocoro sale sulla balconata avvisando che saranno distribuiti palloncini arancio-bianco-verdi da gonfiare e sventolare al momento dell’ingresso in campo delle squadre. Il settore è stato diviso con del nastro in tre zone per delimitare i colori. A noi che siamo sulla sinistra del settore capita il verde, ai ragazzi che occupano gli scalini solitamente usati per salire tocca il bianco, mentre a quelli più a destra l’arancione. Tutti si affrettano a gonfiare i palloncini e una volta entrate in campo le squadre tutti li sventolano intonando il classico “Un grido sarà quando le squadre scenderanno in campo…”. Una coreografia riuscitissima e col pregio di essere autoprodotta. Quando la partita sta per iniziare tutti lanciano i palloncini in aria e per un momento il cielo si colora di arancioverde. I palloncini che finiscono in campo costringono l’arbitro a iniziare la partita con qualche minuto di ritardo. 

3. Il settore si è riempito più del solito e per tutto il primo tempo il tifo è straordinariamente caldo. Soprattutto nel primo quarto d’ora c’è una vera torcida brasiliana e i cori della curva pisana sono sovrastati, anche se loro sono più numerosi di noi. Io e la Vale cantiamo talmente forte che già ci manca la voce. Si sciorinano i classici cori di quest’anno e dall’eco si capisce come le calli di Sant’Elena risuonano dei nostri canti. 

La tensione all’interno del terreno di gioco non produce effetti altrettanto belli: la partita offre poche emozioni. L’Unione gioca meglio e tenta più spesso la via del gol ma non riesce a concretizzare la mole di gioco anche perché solo dopo dieci minuti capitan Collauto è costretto a lasciare il campo dopo un intervento omicida di un difensore toscano (per lui cinque punti di sutura al collo del piede). 

Il caldo è allucinante e durante l’intervallo, per evitare la disidratazione, cerco di recuperare un po’ di acqua ma al bar c’è una coda infinita. Così dopo aver visto i nuovi gadget estivi dei ragazzi di “A sostegno di un ideale”, risalgo le gradinate mentre le squadre stanno facendo il loro rientro in campo. Quando inizia il secondo tempo il tifo nel settore non si è ancora organizzato e ci vogliono cinque minuti perché riprenda. Sarà il gran caldo, la tensione della partita, il fatto che l’Unione non riesce a sbloccare il risultato, ma il tifo nel secondo tempo è meno intenso rispetto al primo. La Vale è talmente tesa che, per calmarsi, ogni tanto deve sedersi (non ho mai specificato una cosa ovvia: la partita si segue in piedi). Cantando assisto alla partita e anche se il tempo passa inesorabile ho come l’impressione che prima o poi qualcosa accadrà. Le squadre si sono allungate talmente tanto che è un continuo susseguirsi di occasioni da una parte e dall’altra. 

Il nostro Rebecca, entrato da poco, dopo aver saltato tre/quattro avversario tenta un tiro improbabile invece di servire Paolino Poggi, liberissimo. Marea di eresie. Pradolin si immola sulla linea di porta respingendo un tiro a colpo sicuro di un attaccante pisano. Ovazione generale. Poggi dopo una bella azione personale calcia di poco a lato. Urlo smorzato in gola. Ormai le speranze sono ridotte al lumicino. Qualcuno nei distinti già esce per non fare coda al vaporetto.

4. Poi l’imponderabile. L’“omicidio” di Romondini e il delirio collettivo. Io mi getto verso la Vale e mi ritrovo con lei sopra disteso su un seggiolino urlando a squarciagola. La Vale abbraccia tutti quelli che stanno accanto a lei. Quando riesco ad alzarmi un ragazzo ci viene incontro e ci abbraccia urlando insieme a noi. Prendo il telefono e chiamo un amico che so che sta soffrendo davanti al televideo (al televideo!). Quando risponde urlo “GOOOOOOOOOOOOOOOOOL” e metto giù. Il delirio è totale tanto che nessuno ha capito che l’arbitro ha fischiato la fine della partita senza nemmeno rimettere la palla al centro del campo. 

Quando il settore lo capisce è un’altra indescrivibile gioia. Ma non è ancora finita. Bisogna aspettare i risultati dagli altri campi. Lo speaker prima annuncia i risultati poi non dice più nulla e nessuno capisce perché. Tutti aspettano una reazione dai giocatori che sono rimasti in campo in attesa del verdetto. Poi quando uno di loro alza le mani in cielo in segno di vittoria è un’altra ovazione collettiva. I giocatori si spogliano, lanciano le magliette – chi in curva chi nel settore –, vengono sotto il settore festanti. Partono i cori della vittoria: “Ce lo abbiamo noi / ce lo abbiamo noi / lo squadrone ce lo abbiamo noi”; “Di Costanzo show” con il mister che festeggia sotto il settore visibilmente emozionato; “Un capitano/ c’è solo un capitano” in onore dello sfortunato capitan Collauto. E poi: “Chi non salta è un padovano”. Anche i presidenti della società scendono in campo e vengono sotto il settore a esultare insieme a noi. Dieci minuti bellissimi. Poi una volta usciti i giocatori, mi siedo in disparte e richiamo il mio amico – che mi immagino tramortito dalla mia precedente chiamata – spiegandogli cosa era successo e rassicurandolo sul nostro passaggio ai play-off. Una volta usciti dalla stadio mi affretto a chiamare tutti gli amici padovani possibili e mando un messaggio al “gufatore” ultras padovano per rovinargli la vacanza a Berlino. L’adrenalina è completamente scesa, il caldo si fa sentire, ecco pure la disidratazione all’improvviso: ci accasciamo stremati su una panchina di sant’Elena. Un’emozione incredibile!

Il giorno dopo

Il giorno dopo mi sveglio con il sorriso, vado al lavoro e sfotto il collega padovano, leggo tutte le cronache possibili e l’intervista a mister Di Costanzo che dedica la vittoria e il passaggio ai play-off a Pier e al Bae che meritavano di vivere questa grande emozione. Scopro che alcuni giornalisti padovani urlano allo scandalo sostenendo che la partita era truccata, offro da bere ad alcuni amici. Poi chiamo ancora il mio amico: “Che dire, oggi vivere a Padova è una figata”.

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Perquisizioni pesanti. 15 aprile 2007, Unione-Pro Sesto

16/04/2007

di Matteo Di Lucca

Prologo

Venerdì 13 aprile. Il Padova gioca all’Euganeo l’anticipo contro la Massese. Io e la Vale, dopo aver bevuto in compagnia di amici un paio di spritz, passiamo in macchina accanto allo stadio e intoniamo una serie di cori nella speranza che la squadra toscana faccia uno “scherzetto” ai biancoscudati. La Vale mi avverte che in curva del Padova c’è il ragazzo di una sua collega, che sicuramente incontreremo domani a un matrimonio. La speranza di un passo falso delle “gallinacce” aumenta ma, rientrato a casa dopo la serata, il televideo è brutale: il Padova ha vinto 3-1. 

Sabato 14 aprile. In attesa degli sposi, costringo la Vale e un suo collega ad andare a bere un caffè. Usciti dal bar scorgo in lontananza la collega della Vale e il suo ragazzo, che si avvicina con ghigno impertinente e mi fa a bruciapelo: “+ 3”. Non accenno alcuna reazione e anche per tutto il periodo del pranzo (nota: 5 ore) non reagisco alle provocazioni e alle continue “gufate” del padovano fiducioso che domani una buona prestazione dell’Unione ci riporti appaiati in classifica.

Allo stadio

1. A mezzogiorno siamo già pronti per partire verso Sant’Elena con in mente ancora le parole e gli sfottò dell’ultras padovano. All’ultimo momento si aggregano un nostro amico padovano che insieme alla sua ragazza e a sua sorella vogliono venire a vedere la partita per poi fare un giretto in compagnia a Venezia. Accettiamo con qualche perplessità e incominciamo il solito lungo viaggio per raggiungere il Penzo.

La giornata è splendida e Venezia si mostra in tutta la sua bellezza. Giunti a Sant’Elena corriamo a fare i biglietti e decidiamo di entrare allo stadio con mezz’ora di anticipo. Entrati rimango stupito nel vedere il settore ancora vuoto: i gruppi che occupano di solito la curva sud non hanno fatto il loro ingresso, nessun capo ultras gironzola nei pressi della balconata.

Ipotizzo che sia stato organizzato uno sciopero del tifo mentre la Vale ritiene che il motivo sia il solito ritardo dei vaporetti che portano allo stadio. Ad un tratto dall’ingresso del settore arriva a petto nudo e con la maglietta in mano uno dei capi ultras che, salito sulla balconata tira un calcio fortissimo alla struttura in tubi innocenti. Con lui entra molta altra gente che ha l’aria di essere parecchio “incazzata”. Mentre il settore incomincia a riempirsi, decido di andare a bere un caffè e raggiungendo il bar, posto proprio accanto all’ingresso dei distinti, mi accorgo che molti ragazzi – di cui molti vestono la maglietta del gruppo “Nuova guardia” – si appoggiano uno a fianco all’altro alla rete metallica nella classica posizione di che deve essere perquisito. Non capisco bene che sta accadendo, la gente ha l’aria spaesata se non incredula: molti dei ragazzi sulla rete sono giovanissimi. Gli animi mi sembrano tranquilli e non resto a guardare più di tanto. 2. Quando riprendo posto sulle gradinate, vedo che il settore si è ormai riempito e le squadre stanno per fare il loro ingresso in campo. Il capo ultras sale sulla balconata e a gran voce spiega a tutti quello che è successo all’ingresso dei distinti. Durante le perquisizioni la polizia ha infatti imposto a molti ragazzi di togliersi le magliette recanti scritte come “Nuova guardia”, “Rude Fans” e addirittura “Ultras unisce razzismo divide”. Tutto questo per seguire i dettami della nuova legge Amato contro la violenza negli stadi che dal 30 Marzo di quest’anno vieta l’introduzione all’interno dello stadio di tutti quegli oggetti che possono diventare contundenti come megafoni, tamburi, aste per le bandiere ecc. Inoltre vieta la preparazione di coreografie e l’esposizione di striscioni a meno che non vengano inviate in questura non oltre il venerdì prima dell’avvenimento sportivo le fotografie che ne mostrino il contenuto.

Poiché non ero presente all’ingresso dei distinti durante quei momenti, riporto alcune lettere ricevute e pubblicate dal portale www.vesport.it. Spiegano perfettamente quel che è accaduto.

sono un tifoso che segue il Venezia da 30 anni e sono qui a scrivervi questa mail di protesta perché domenica ho assistito a scene che mai avrei voluto vedere in un contesto di festa come è per me la domenica in stadio!
Sono circa le 2 e 30 e come ogni domenica mi metto in fila, abbonamento in mano, fuori del settore distinti per assistere al match tra Venezia e Pro Sesto; la giornata è delle migliori e infatti la gente che affolla in quell’ora i cancelli d’entrata è molta.
Una volta entrato nel settore però tutto l’entusiasmo che avevo è venuto meno davanti a scene che, a mio dire, hanno veramente dell’incredibile: alla solita perquisizione gli agenti della Polizia di Stato, senza dare più di tante spiegazioni agli interessati (forse perché neanche loro sapevano bene del perchè stavano compiendo quei gesti), incominciavano a costringere i ragazzi che animano da qualche mese il settore distinti a togliersi le maglie sequestrando inoltre loro anche sciarpe e aste delle bandiere.
Ma la cosa che mi ha lasciato veramente stupefatto è vedere come questo nuovo decreto legge venga applicato senza quel “buon senso” che servirebbe in un contesto tranquillo come quello che si è venuto a creare negli ultimi anni a Venezia.
Ho assistito personalmente al sequestro da parte degli agenti di una bandierina e una sciarpa a un bambino che avrà avuto sì e no 10-12 anni che, tutto felice perché andava a vedere una partita di pallone, alla richiesta dell’agente, si riversa in una valle di lacrime perché privato della sua bandierina!
Inoltre, parlando con altre persone, sono venuto a conoscenza anche del fatto che a molte persone, donne incluse, è stato intimato di levarsi o comunque girarsi la maglietta per motivi che non sono stati delucidati con chiarezza.
Ora io mi domando questo: se veramente l’obiettivo è quello di eliminare la violenza negli stadi, perchè creare queste situazioni di tensione […]?
A mio modo di vedere domenica, impedendo alla gente di entrare con sciarpe e bandiere della propria squadra, non fornendo chiare spiegazioni di tali gesti, si è violata la più importante norma che vige nel nostro stato: la libertà individuale!
Antonio

Agli stilisti della Questura di Venezia non piacciono le t-shirt. Non piacciono le sciarpe. Non piacciono le felpe. Insomma non piace il look da tifoso. Preferiscono il blu notte.

De gustibus…..

E così è arrivato il divieto di accesso allo stadio per chi sfoggia le magliette del FUTBOL REBELDE, quelle antirazziste di ULTRAS UNISCE RAZZISMO DIVIDE, quelle dei RUDE FANS e della NUOVA GUARDIA. Non piacciono neppure quelle degli ormai scomparsi ULTRAS UNIONE.

Naturalmente tutto questo rigore estetico viene applicato a singhiozzo. Tu sì e tu no. Tu entri, tu o ti spogli o resti fuori. E via con lo strip alla Full Monty. Potevano almeno attrezzare dei camerini…

Agli stilisti della questura non piacciono neppure le bandierine arancioverdi sventolate da bambini di 7 anni. Quell’astina di plastica di 60 cm è un’arma davvero pericolosa. E poi le coreografie sono sovversive…

Gli stilisti della Questura di Venezia, veri esperti di look da stadio, non sopportano manco i tatuaggi. Peccato non poterli scuoiare ‘sti tifosi…. Questo è accaduto domenica allo stadio Penzo all’entrata del settore DISTINTI. E ci risulta che lo stesso sia avvenuto anche in altri settori.

In base a quale norma sia stata attuata questa umiliazione di massa di centinaia di cittadini non ci è dato sapere. Ci hanno detto che così si combattono violenza e razzismo negli stadi italiani. Quello che si combatte davvero è la libertà dei cittadini. Di pensiero. Di espressione. Di aggregazione. Non abbiamo chiesto permessi per i nostri striscioni. Non chiederemo il permesso per vestirci come ci pare. NON SI CHIEDE IL PERMESSO PER ESSERE LIBERI.

VMFC A SOSTEGNO DI UN IDEALE

[…] ciò che han visto i miei occhi domenica al P.le Penzo di Venezia mi ha fatto ACCAPPONARE LA PELLE!!!

Non ho visto dei celerini in divisa che, in una normale domenica di routine controllano se si introduce allo stadio materiale contundente o accendini pericolosissimi, NO, ho visto poliziotti in assetto di guerra (veramente) che con aria minacciosa vietavano l’ingresso di qualunque tipo di sciarpa, cappellino, MAGLIETTA(!), recante il nome ultras (o sinonimi, badate non sono esperto in materia ma mi sembra di aver letto tipo Nuova Guardia e RudeFans) a ragazzi e ragazzini. “Quella maglietta la deve girare, se no non può entrare!”, COSA!? Ma stiamo scherzando vero??? Ditemi che siamo su scherzi a parte! Vi prego.

[…] Francesco Rigo

3. Ora il capo ultras scaglia parole pesanti contro la legge Amato che vuole ammutolire il tifo e che vuole svilire questa forma di aggregazione e di espressione; contro la polizia; contro la società del calcio Venezia; contro le televisioni che ammazzano il calcio. Molti alzano le magliette incriminate e tutti applaudono. I cori iniziano quando la partita è già iniziata. Per il primo quarto d’ora abbondante sono tutti contro ciò che era accaduto all’ingresso del settore e contro la nuova legge. In successione si canta: “Non ci avrete mai, come volete voi”, “Odio eterno al calcio moderno”, “Il calcio siamo noi”, “I tamburi siamo noi” (accompagnato da un battimani che simula il solito ritmo dei tamburi). Alcuni cori contro i “caschi blu” e il nuovo coro sull’aria di una canzone degli 883: “Se togliete pure noi che rispettiamo le tradizioni, e gli stadi noi riempiamo con i cori e gli striscioni, resterete solo voi con le vostre televisioni, e solo allora potrete capire che il calcio è fatto di emozioni!”. 

I cori di questo stampo si susseguono fino a che, verso il quindicesimo, viene assegnato un rigore all’Unione. Mentre Paolino Poggi si prepara a tirarlo il capo ultras invita tutto il settore a dare le spalle al campo in segno di protesta. Quasi tutti si girano, io mi metto a trequarti, vedo il rigore ed esulto, come altri, al gol. Un gesto non molto apprezzato dai capi ultras ma già da un paio di minuti, pur cantando e sostenendo la contestazione a questi ignobili episodi, avevo esternato alla Vale che secondo me era giunto il momento di sostenere la squadra.

Solo dopo venti minuti dall’inizio della partita inizia il tifo per l’Unione: partono i soliti cori come “Ricordo quand’ero bambino, sognavo una maglia e un pallone, ed ora che sono cresciuto l’Unione è il mio unico amor, se vedo il settore che esplode, sento un brivido al cuore, l’Unione è il mio unico amore, per te canterò fin che vivrò”; “Unione alè, Unione alè, in ogni stadio in tutta Italia siamo accanto a te, quando l’Unione segnerà dal settore s’alzerà, questo canto d’amor, che ci viene da cuor”. 

Proprio mentre stiamo intonando “Pope” la Pro Sesto pareggia con un bel tiro dal limite dell’area, che sbatte prima sul palo e poi finisce in fondo alla rete. Il coro simbolo della tifoseria unionista nonostante il gol avversario non si ferma e il tifo aumenta di intensità a seguito della buona reazione della squadra al pareggio e l’espulsione per doppia ammonizione di un giocatore avversario. Tra tutti i cori, il più riuscito e partecipato è stato quello in cui il settore si divide in due parti uguali che si ribattono: “E siamo qua – siamo qua/ siam sempre qua – sempre qua /ovunque giocherai saremo sempre qua – sempre qua / e canteremo – canteremo /e grideremo – e grideremo / (tutti insieme) VENEZIAMESTRE NOI SIAMO I TUOI ULTRA”.

4. Nell’intervallo mi siedo stremato dal gran caldo, parlo con la Vale e gli amici e leggo la fanzine autoprodotta dai ragazzi di “A sostegno di un ideale”. Quando le squadre rientrano in campo il tifo non si è ancora organizzato e ci impiega un po’ prima di ricominciare. Nel secondo tempo mi concentro più sulla partita in attesa di un gol dell’Unione che ci regalerebbe tre punti importantissimi per la nostra classifica. Tuttavia a parte uno sterile assedio alla porta avversaria la squadra dimostra il suo momento negativo e soprattutto un sensibile calo fisico. Tra un coro e l’altro impreco contro alcuni giocatori, in particolare contro “l’acquisto di gennaio” Cocco che a dieci minuti dalla fine viene finalmente sostituito. Alla sua uscita viene giustamente fischiato dai “vecchietti” dei distinti; lui risponde con un provocatorio applauso. Il suo sostituto, Momentè, altro “acquisto di gennaio” in dieci minuti riesce a sbagliare quasi tutti i passaggi e si mangia un gol quasi a porta vuota. E nonostante il caldo torrido, la Pro Sesto ci fa venire i “brividi” con alcuni contropiedi che con altri avversari ci sarebbero costati sicuramente la sconfitta. Poi quando al quarto minuto di recupero Moro butta fuori di testa l’ultimissima occasione, l’arbitro fischia la fine dell’incontro. I giocatori dell’Unione cadono a terra stremati e delusi. 

Nonostante il risultato, come in altre occasioni, chiediamo alla squadra di venire sotto il settore ma solo pochi di loro vengono a ricevere applausi e sostegno.

Epilogo

Mentre ricominciano i cori contro la legge Amato, ci avviamo sconsolati verso l’uscita. Mi fermo un attimo soltanto per ascoltare gli altri risultati del nostro girone. La gente sfolla delusa e convinta che sarà difficile raggiungere i play-off, visto il calo fisico della squadra rispetto ai primi mesi di campionato. Mentre ci avviamo a piedi verso Rialto per bere uno spritz in compagnia, esprimo tutto il mio disappunto e i miei compagni di viaggio fanno fatica a rincuorarmi. La Vale sostiene che comunque vada bisogna rimanere vicini alla squadra; le do ragione e intoniamo insieme “Noi non ti lasceremo mai/ noi non ti lasceremo mai/ al tuo fianco sempre noi sarem/ Veneziamestre alè”.

Questa domenica è andata così. Certo abbiamo passato una bella giornata e ci siamo un po’ abbronzati. Ma torniamo a casa con l’Unione che si allontana sempre più dai play-off, con la consapevolezza che questa nuova legge invece di frenare la violenza la istiga, grazie anche a certi atteggiamenti della polizia; e con la consapevolezza che i padovani “gufano” proprio bene.

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Unione-Sangiovannese, 11 Febbraio 2007

13/02/2007

di Matteo Di Lucca

1. Macchina da Padova a Marghera; autobus da Marghera a piazzale Roma; vaporetto da piazzale Roma a Sant’Elena passando per Santa Marta, Zattere, San Zaccaria e Giardini. Certo per noi unionisti che viviamo in terraferma più che una partita in casa sembra ogni volta una trasferta. Molti aspettano lo stadio nuovo, ma, quando si sbuca con il vaporetto dal canale della Giudecca di fronte a San Marco, il panorama e l’atmosfera ti investono e ti rincuorano e, almeno per un attimo, fanno dimenticare il viaggio che dura ore. Ricordo ancora divertito il ritorno in vaporetto, dopo la vittoria al Penzo contro la Lucchese, quella coppia di settantenni venuti dalla città toscana per assistere alla partita. Mentre il marito era ancora visibilmente arrabbiato per la sonora sconfitta della sua squadra la signora era in preda al panico e, quando a ogni fermata il vaporetto urtava l’imbarcadero, emetteva un urlo misto tra paura e stupore. Io, ogni volta, le dicevo: “Signora, a Venezia si va così allo stadio”, e lei divertita mi rispondeva nel suo accento toscano: “Ma io a Lucca allo stadio ci vo in bicicletta o al massimo in macchina quando piove!”.

Proprio durante il viaggio in vaporetto, carico di gente con la sciarpa al collo, io e la Vale scambiamo quattro parole con un giovane tifoso sul derby di Padova, sulle altre squadre viste al Penzo e in trasferta, sulla partita di oggi e sui fatti di Catania. Tutti attorno a noi sembrano parlare della stessa cosa: oggi, infatti, è la prima domenica in cui si gioca dopo gli scontri tra ultras e polizia avvenuti l’8 febbraio, in occasione del derby Catania-Palermo, e finiti con la morte di un ispettore. Ne parliamo in maniera così partecipata che non ci accorgiamo nemmeno di essere arrivati a Sant’Elena. Usciamo velocemente dal vaporetto e corriamo verso la biglietteria per il timore – visto che la capienza dello stadio è stata ridotta a causa delle nuove normative – di non trovare più biglietti. Molti ragazzi sono in fila nella biglietteria dei distinti: la società, già da alcune partite, ha imposto un’aggiunta di 2 euro all’abbonamento per tutti quei tifosi abbonati in curva che ora, dopo il rimescolamento della geografia dei gruppi ultras arancioverdi, vogliono seguire la squadra dal settore distinti. Quelli che non sono abbonati, come noi, possono comprare i biglietti di curva (costo: 10 euri gli uomini, 7 euri le donne), ma andare comunque nei distinti. E così facciamo.

Oltrepassato il ponticello di legno che porta allo stadio, mi accorgo che alcuni ultras sostano all’esterno dell’ingresso della curva e uno di questi, con il megafono, annuncia che resteranno fuori dalla curva per i primi quindici minuti della partita per protestare contro le nuove norme entrate in vigore dopo i fatti dell’8 febbraio. Io e la Vale noncuranti proseguiamo verso l’ingresso dei distinti dove troviamo la solita coda formata da una sorta di “melting pot” generazionale: da una parte giovani ragazzi pronti a cantare e a tifare nel settore, dall’altra signori di una certa età, spesso insieme ai nipotini, pronti ad accomodarsi seduti nella loro poltroncina.

2. Una volta entrati, rivolgendo lo sguardo verso la curva deserta, ci accorgiamo che tra i vari gradini sono stesi in orizzontale una serie di striscioni. Nella parte destra della curva dall’alto verso il basso dicono: “Norvegia 05: vietato esporre bandiere… identificati”; “Scozia 05: vietato bere 1 birra fuori dallo stadio… arrestati”; “Germania 06: vietato fumare 1 sigaretta dentro allo stadio… identificati!!”; “…è questo il modello inglese?”. Mentre nella parte sinistra: “Punire i colpevoli no alla repressione”; “Stadio senza ultras = cimitero vivente!!”; “– business + calcio…vergogna!”; “giù le mani dalle trasferte”. Poi, appeso sulla rete metallica proprio dietro alla porta, un altro striscione con su scritto: “Catania 08-02-07 contro ogni ideale ultras. Vergogna!”. 

Il clima nel settore distinti è invece molto rilassato. Alcuni ragazzi sono impegnati a concludere gli ultimi preparativi; altri entrano in campo per appendere sulla rete metallica lo striscione “A sostegno di un ideale” che solitamente veniva tenuto per tutta la partita ben visibile da alcuni ragazzi delle prime file. Saliamo le gradinate mentre alcuni anziani signori dei distinti, passando sotto il settore, si lamentano del fracasso provocato dai megafoni dei capi ultras. L’età media del settore è abbastanza bassa fino a che non arriva una signora che come al solito si siede nella nostra stessa fila e ci saluta calorosamente. Io e la Vale ci guardiamo divertiti e ci sentiamo meno vecchi. Ci accorgiamo che, a differenza delle ultime partite, il settore si sta riempiendo molto lentamente e che i preparativi sono meno caotici. In un clima così “freddo” non mi accorgo nemmeno che le squadre stanno facendo il loro ingresso in campo. Proprio in quel momento il capo ultras sale sulla balconata annunciando che anche noi staremo in silenzio per 10 minuti. Dopo il minuto di silenzio – in memoria dell’ispettore Raciti, ucciso a Catania, e del dirigente di una squadra calabrese morto dopo una rissa in un campo di terza categoria – e il fischio d’inizio della partita, sotto di noi vengono innalzati una serie di striscioni con scritto a caratteri cubitali: “Scandali pay TV leggi speciali doping affari sporchi razzismo il calcio industria inquina”. 

La squadra in campo sembra spaesata dalla mancanza del tifo e inizia la partita lentamente, come se volesse aspettare l’inizio dei cori prima di incominciare a giocare davvero. In questi minuti di silenzio si sentono – cosa che di solito succede solo in rari casi – soltanto le voci in campo dei giocatori e i cori dei tifosi della Sangiovannese. Finché uno dei capi ultras sale nuovamente sulla balconata e dal megafono urla come questa sia una domenica particolare per la tifoseria arancioverde: non solo perché dopo i fatti di Catania inizia una nuova era per tutto il movimento ultras ma anche perché oggi ricorre il sesto anniversario della morte del Bae. Inoltre sottolinea la solidarietà nei confronti dell’ispettore di polizia ucciso a Catania, la completa dissociazione da quegli ultras che usano metodi violenti fuori e dentro allo stadio, il rigetto da tutto ciò che concerne l’industria del calcio moderno, il desiderio di voler iniziare proprio dal nostro settore un nuovo modo di tifare e l’importanza di riflettere su tutti questi argomenti in questi pochi, ma significativi, minuti di silenzio dal tifo. Si rivolge in particolar modo a tutti i ragazzi più giovani presenti nel settore che devono essere i primi ad adottare e dimostrare questa mentalità, cercando di portare avanti gli ideali sani del tifo come l’amicizia, l’aggregazione tra persone, la partecipazione, l’antirazzismo e soprattutto il divertimento. Tutto il settore applaude, ringrazia per le parole e, quando inizia “Un grido sarà quando le squadre scenderanno in campo…”, esplode nel tifo. Le prime file alzano un altro striscione con su scritto “A sostegno del nostro vecchio calcio”. 

Nel frattempo anche i gruppi che occupano la curva Sud sono entrati e dopo qualche minuto di silenzio iniziano a cantare. Noto che, a differenza delle prime partite seguite alla separazione tra i gruppi, in generale nel settore dove siamo si rivolge meno attenzione nei confronti dei comportamenti e del tifo prodotti dai gruppi della Sud. Sembra quasi che in queste poche partite si sia creata nel settore la consapevolezza che il nostro tifo deve essere rivolto più alla squadra e a noi stessi che alla dimostrazione di superiorità nei confronti degli altri gruppi rimasti in curva.

3. Anche se una preoccupante nebbia incomincia a scendere sul Penzo, tutto il primo tempo è un susseguirsi di divertimento collettivo. Si divertono i capicoro sempre sorridenti e compiaciuti per il grande tifo del settore, ci divertiamo noi ad osservarli, si divertono tutti lanciando in aria per tutto il settore una parrucca da carnevale gialla che ogni tanto finisce nella testa dei capi ultras, si diverte il ragazzo che si sposta in tutto il settore per far sventolare ogni volta in un posto diverso il bandierone arancioverde. Ci divertiamo ancor di più quando, intorno al ventesimo minuto, un cross da destra di Romondini – acquisto di Gennaio per la prima volta in campo dal primo minuto – incoccia nel movimento sul primo palo di Moro che di testa insacca sul palo opposto. L’Unione è in vantaggio e dopo il gol il tifo sale ancor più d’intensità. I classici cori si susseguono. Dopo un saluto agli ultras del Rapid Vienna per l’ennesima volta presenti nel settore, tutti con la sciarpa in alto a fare con movimento simultaneo “Tutti avanti, tutti indietro, tutti a destra, tutti a sinistra alé alé alé / Forza Unione”. Tutti seduti battendo i piedi per “datemi una U-NIO-NE”. Tutti pronti a rispondere alla richiesta del capocoro urlando a più non posso in modo da far sentire l’eco della risposta dalle calli di Sant’Elena: “La gente vuol sapere… chi noi siamo… siamo l’armata arancioverde e mai nessun ci fermerà…”. Questi cori si mescolano ad altri di diverso indirizzo come “A sostegno di un ideale” e “Odio eterno al calcio moderno”. Il primo tempo finisce proprio quando sta per iniziare il coro più “amato” dalle Vale: “Arancioverdi alé, alé l’Unione, sempre insieme a te, comunque vada, devi sapere che, noi non ti lasceremo mai da sola”. Lei rimane un po’ delusa dalla fine anticipata del coro e mi manda a prendere da bere al bar. Dopo una coda infernale e dopo aver speso la bellezza di 6,50 euri per due panini mignon al salame e una bottiglietta di coca cola, risalgo al mio posto proprio quando l’arbitro dà inizio al secondo tempo.

4. La nebbia è scomparsa e un sole oserei dire primaverile riscalda le tribune. Forse il sole è uscito proprio in questo momento per rendere ancora più visibile il grande striscione a larghe righe verticali arancioverdi: “Per il comandante Bae” alzato dalle prime file del settore per commemorare il sesto anniversario dalla sua morte. Il tifo inizia un po’ in sordina e il capocoro, accortosi del calo d’intensità, afferma facendo ridere tutti: “Ma xé colpa del sole… che basa i bei???”. Il tifo ricomincia con un bel “Pope”, da sempre l’inno unionista. La partita non è brutta e diventa ancor più bella quando, dopo una respinta della difesa, parte il nostro contropiede. Capitan Collauto dalla fascia destra prima di raggiungere il centrocampo taglia il campo con una sciabolata che raggiunge sulla fascia opposta il liberissimo Bono che si invola verso l’area avversaria. Aspettando i rinforzi decelera la corsa e giunto al limite dell’area appoggia la palla all’accorrente Romondini che dribbla sontuosamente due avversari. Una volta entrato in area affrontato dall’ultimo avversario cede la palla sulla sua sinistra al liberissimo Pradolin che solo davanti al portiere incrocia il tiro che sbatte prima sul palo e poi finisce in rete. Raddoppio dell’Unione. Nel settore è delirio. Guardo in basso e vedo un groviglio di persone che esulta, si abbraccia, si spintona, cade sui gradini o su qualche suo vicino, si rialza frastornata e ricomincia festante a cantare. Ormai la vittoria è a portata di mano anche se l’arbitro ci mette del suo e concede un rigore molto dubbio ai nostri avversari che accorciano le distanze. La partita è riaperta ma l’Unione continua ad attaccare sfiorando in un paio di circostanze il terzo gol e raggiungendo una meritata vittoria che ci consolida al primo posto. Mentre i giocatori fanno il solito balletto post-vittoria in mezzo al campo, li invitiamo a venire sotto il settore. Inizia il coro “lo squadrone ce lo abbiamo noi” e la squadra inizia il rito della scivolata sotto i tifosi. Come al solito si dirigono verso la bandierina per accontentare sia noi che siamo nei distinti sia gli altri gruppi che stanno in curva. Si continua con il “Di Costanzo show” e l’allenatore saluta dal campo il settore che intanto incomincia a svuotarsi. Il capocoro richiama l’attenzione per avvisare sul da farsi – viste le nuove normative che impediscono la vendita dei biglietti ai gruppi –nelle prossime due trasferte consecutive dell’Unione e chiama l’ultimo canto in onore del Bae che ci accompagna fino all’uscita dallo stadio.

5. Una volta salito in vaporetto leggo attentamente la fanzine autoprodotta che i ragazzi di “A sostegno di un ideale” hanno distribuito nel settore alla fine del primo tempo e che non ero riuscito a leggere prima. Ecco alcuni stralci:

La morte di una persona è un fatto irreparabile, che ferisce tutti gli uomini di cuore e buonsenso. Ma gli uomini di buon senso non sopportano l’ipocrisia, che puzza più della morte. Il dolore è di chi piange il proprio caro, agli altri spetta un rispettoso silenzio. Ma certe persone non si fermano neppure dinnanzi al più nefasto degli accadimenti. E parlano, parlano, per cercare di trarre qualche vantaggio da una tragedia. […] Noi chiediamo giustizia e verità, per tutti. Giustizia e verità anche per Filippo Raciti. Chiediamo che chi ha sbagliato paghi (sempre) e comunque (senza privilegi per nessuno). Chiediamo siano accertate le responsabilità di tutti. Di chi ha ucciso, innanzitutto. Ma anche di chi ha gestito l’ordine pubblico, di chi ha fatto svolgere una partita a rischio alle 18, di chi ha fatto perdere metà partita ai palermitani (strategia del sopruso che serve solo a surriscaldare gli animi). Volere la verità in un Paese abituato alla menzogna è un desiderio rivoluzionario. Volere la verità qualunque essa sia è un desiderio inusitato. Anche per questo siamo ultras. La battaglia contro il calcio trasformato in business, contro la repressione preventiva, le leggi speciali e liberticide, pericolose perché esportabili anche nella vita quotidiana di tutti noi, questa battaglia non si vince a colpi di spranga. Gli ultras hanno altre armi: la solidarietà, la passione sportiva, la voglia di partecipazione. Farsi schiacciare su una logica violenza-repressione-violenza servirà solo a generare altre lacrime, altro dolore, altra rabbia. Ci vuole coraggio, il coraggio di disertare una guerra perduta comunque. Una guerra da combattere su di un altro piano, con altre armi. Perché non esiste partita che valga una vita. (“A sostegno di un ideale: fanzine autoprodotta”, numero 3)

Dal vaporetto si vede piazza San Marco stracolma di gente che festeggia la prima domenica di carnevale. Io e la Vale decidiamo di scendere alle Zattere e di raggiungere a piedi piazzale Roma. Un veloce spritz in campo Santa Margherita e poi ci trasformiamo nuovamente in “pendolari unionisti”.

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Padova-Unione, 19 gennaio 2007

23/01/2007

di Matteo Di Lucca

1. L’appuntamento con la Vale è verso le 19.00 di fronte al mio ufficio, che non dista molto dallo stadio Euganeo. Per noi unionisti che viviamo nella città del Santo, Padova-Unione non è una partita normale né un “semplice derby”: per tutta la settimana abbiamo aspettato freneticamente questo venerdì sera, tra canti in casa o in macchina e sfottò ai molti amici padovani. 

Lei si presenta puntualissima con la nuova sciarpa di lana arancioverde fatta a mano da mia mamma come regalo di natale: uno spritz, un panino e saliamo in macchina. Per noi che siamo abituati ad andare allo stadio in vaporetto è strano arrivare in macchina al parcheggio dello stadio e trovarci di fronte dei parcheggiatori che, dopo averti indicato un posto libero che si vedeva benissimo, ti chiedono 2 euro.

Nonostante manchi ancora un’ora e mezza all’inizio della partita, il parcheggio è già bello pieno di macchine e di gente che con la sciarpa al collo si avvia verso l’ingresso della curva Nord dello stadio. Mentre sistemiamo la macchina, arrivano tre autobus di linea che accompagnano il primo gruppo di ultras sbarcati a Padova con il treno: ci sono Vecchi Ultrà, Brigata e GOC (Gruppo Oronzo Canà) che, dopo la recente divisione interna alla tifoseria unionista, occupano la curva Sud al Penzo. Ci affrettiamo a entrare allo stadio pensando che i ragazzi del gruppo con cui vogliamo seguire la partita – si chiama “A sostegno di un ideale” – siano già all’interno; ma una volta entrati ci accorgiamo che, non si sa per quale motivo, non sono ancora arrivati. Così, mentre sul campo quattro squadre di ragazzini del Padova stanno giocando una partitella, mi metto a osservare la preparazione del settore di curva che verrà occupato dai gruppi già arrivati, delimitato con due strisce di nastro da cantiere stradale. Di solito nelle curve viene usato per la preparazione di una coreografia, ma in questo caso risulterà essere, ahimè, solo il modo per dividere i due gruppi di ultras. I cori di sfottò contro i padovani si susseguono: “Salutate la capolista”, “Coccodè”, “Odio Padova”, “Non c’è provincia, non c’è regione, siete tutti sotto il cazzo del leone”. I padovani rispondono con altrettanto classici “Oh issa” e “Alta marea, portali via”. Per l’occasione, pare per motivi di ordine pubblico, i tifosi di casa non stanno nella curva ma nella fetta di distinti più lontana dalla nostra curva. Gli striscioni invece sono in gran parte dedicati alla diversa posizione in classifica tipo “C1 RESTATE A VITA”. 

Tra una birra e l’altra la nostra preoccupazione si concentra sul fatto che i ragazzi del gruppo “A sostegno di un ideale” non sono ancora arrivati; ormai sono le 20.15 e le squadre sono già entrate in campo per il riscaldamento. Ci avviamo un paio di volte all’ingresso della curva per accoglierli, ma ancora non si vede nessuno. La Vale ipotizza che gli autobus messi a disposizione in stazione siano solo tre, ed in effetti, quando finalmente arrivano, mi accorgo che i veicoli sono gli stessi che avevamo incontrato all’arrivo degli altri gruppi. 

Ci fermiamo all’ingresso per vedere gli ultras che entrano in curva: circa quattrocento persone, con la faccia un po’ rabbuiata per il ritardo ma comunque festanti e con una gran voglia di “fare merdón”.

2. Ci raggruppiamo un po’ frettolosamente nel nostro settore. Ora la curva è piena, saremo almeno in 2000. I capi ultras si affrettano a sistemare gli striscioni sulla rete metallica. Balza agli occhi subito quello arancioverde a strisce orizzontali con, scritte a caratteri cubitali, le lettere P I E R. In settimana avevo letto nel forum online della morte per infarto di Pier, un giovane ultras del gruppo dei Rude Fans, che seguiva ovunque non solo l’Unione ma anche la Reyer, la storica squadra di basket di Venezia che ora gioca a Mestre, al palasport Taliercio. Il clima nel settore è diviso tra la voglia che finalmente inizi questo derby che tutti aspettano da tanto, e una forte sensazione di smarrimento nei confronti del fatto che una partita, sia pure un derby, è ben poca cosa di fronte alla morte di una persona. Una sensazione che aumenta d’intensità quando uno dei capi ultra sale sulla balconata e, dopo aver raccontato la grande passione di Pier per l’Unione, annuncia urlando in lacrime che all’inizio della partita si terranno 5 minuti di silenzio dal tifo. Alcuni borbottano che sarà difficile tenere la bocca chiusa per ben cinque minuti, ma quando inizia la partita tutta la curva, e intendo anche l’altro settore, rimane in silenzio. 

Da lontano notiamo che tutta la squadra entra in campo con una maglietta bianca che copre la maglia ufficiale con su scritto “CIAO PIER” e dopo il classico scambio di gagliardetti e lancio della monetina per la scelta del campo, capitan Collauto si avvia sotto la nostra curva e depone un mazzo di fiori proprio sotto il nostro settore. Un gruppo di ragazzi pochi gradini sotto di noi alza uno striscione con su scritto “CAMICIA, ANFIBI, STILE, UMILTÀ CIAO PIER!!!”. Un silenzio irreale circonda l’inizio della partita, un silenzio che viene interrotto solamente dal battimani di tutta la curva unita. La cosa più bella di tutta la serata. La Vale è commossa. Io scambio quattro parole con il ragazzo di fronte a me sul fatto che sarebbe bello vedere la curva unita non solo in tragiche circostanze. Il battimani continua, nessuno accenna un coro fino a che, dopo un’occhiata tra i due capi ultras dei rispettivi settori, parte il vero tifo. La curva è letteralmente esplosa. Non so come abbiano iniziato gli altri, noi con “Pier è qua e canta con gli ultras” subito seguito da un altro coro di commemorazione: “Per Francesco alé, per Francesco alé, per Francesco alé, il Bae”. Poi tutti su con la sciarpa a fare un bel “Pope”. Poi “Un grido sarà quando le squadre scenderanno in campo…”, coro che solitamente accompagna l’ingresso delle squadre sul terreno.

3. I primi trenta minuti della partita non li ho praticamente visti. Sì, ho visto partire bene il Padova: un rigore non concesso alle “galline”; l’Unione che piano piano ha incominciato a macinare il suo gioco senza peraltro mai tirare in porta. Ma la mia mente per quella prima mezz’ora era occupata più con il “contorno” alla partita. Saranno stati quei primi intensissimi cinque minuti in silenzio, sarà stato che la partita in fondo era noiosa, che all’Euganeo si vede proprio da schifo, che avevo bevuto troppe birre. In realtà la bellezza di andare a vedere una partita in curva è anche questa: la partita in certi momenti diventa un surrogato e la tua concentrazione va più sulle espressioni e sulle opinioni della gente che ti circonda, sulle urla e le facce dei capicoro che incitano la curva a cantare, sulle bandiere che sventolano e non ti fanno vedere la partita, sulle altre parti dello stadio, sulle panchine e perché no anche sui raccattapalle. Andare in curva significa vedere la partita in una prospettiva diversa, non solo per il fatto che il campo è schiacciato e la visuale è peggiore.

Per tutto il primo tempo il tifo del nostro settore è ottimo, partecipato e costante. L’unica nota coreografica – in realtà era stata pensata una coreografia, poi abbandonata per la morte di Pier –sono bandierine arancioverde in stoffa, che sventolano in tutto il settore, distribuite, immagino in stazione a Mestre, al prezzo di 5 euro. Tra tutti i cori quello riuscito meglio è stato sicuramente quello che risulta la vera novità stagionale del tifo del nostro settore: “DATEMI UNA U- NIO-NE” con tutti seduti, battendo i piedi sulle gradinate, che si alzano velocemente per urlare le lettere alla richiesta del capocoro. Certo al Penzo grazie alla struttura in tubi innocenti è più spettacolare e assordante ma è stato comunque efficace e come al solito molto divertente. 

Alla fine del primo tempo accompagno la Vale in bagno e tutti divertiti mi scambiano, a causa della mia folta capigliatura, per Caparezza. Sorrido con loro e cerco di andare a prendere una birra ma risulta un’impresa impossibile perché tutti si sono naturalmente scagliati verso il bar. Tutti in curva sembrano abbastanza tranquilli: non è stato un bel primo tempo ma l’atmosfera pare abbastanza rilassata, come se si pensasse che almeno un punticino si porterà a casa. Io racconto alla Vale il mio disappunto sul gioco della squadra che mi sembra un po’ troppo remissivo: “cazzo, è il derby, mica una partita come le altre, siamo la capolista e dobbiamo dimostrarlo, si vede lontano un miglio che hanno paura di noi”. La Vale annuisce non so se per il fatto che si fida delle mie considerazioni tattiche o perché è impegnata al telefono con una sua amica che è nella curva del Padova. Tant’è, speriamo in un atteggiamento diverso nel secondo tempo. 

Nel frattempo le squadre sono già rientrate in campo e io e la Vale ritorniamo negli stessi posti che occupavamo nel primo tempo. I ragazzi dell’altro settore hanno fatto bruciare proprio sotto la curva un “qualcosa” di plastica che crea un odore nauseabondo e una folta nube che oscura in parte la visuale del campo. Il tifo del settore ricomincia un po’ in sordina ma poi sale d’intensità. I cori, a differenza del primo tempo, sono più incentrati sugli sfottò ai padovani: tra questi uno molto divertente, che non conoscevo, prende in giro la sorella di un padovano che va a studiare a Venezia. Poi il classico “siamo i terroni del nord” e un coro per i tifosi del Rapid: alcuni di loro sono arrivati da Vienna per seguire il derby (le nostre tifoserie sono gemellate). Dopo un primo tempo passato più a cantare a squarciagola che altro, ora sto più attento alla partita, che comunque continua a non regalare grandi emozioni. Almeno fino alla mezz’ora: Zecchin prende palla a metà campo, spalle alla porta e attaccato alla linea laterale sinistra; salta facilmente, rientrando verso il centro, Taccucci e, con un passaggio filtrante, serve De Franceschi che si invola indisturbato verso il fondo. De Franceschi crossa di sinistro rasoterra, la palla passa sotto la gamba di un nostro difensore che si è gettato in scivolata. Aprea resta a metà strada e Russo indisturbato in mezzo all’area colpisce sporco la palla che lentamente va a gonfiare la rete. Il Padova ha segnato, proprio sotto di noi. La curva ammutolisce. Sembra un sogno. Un sogno interrotto dal boato che arriva dalla curva del Padova e dai giocatori avversari che vanno a esultare compatti sulla bandierina. Uno di loro manda gestacci verso la nostra curva e viene coperto da una marea di insulti. Gli attimi di incredulità e di silenzio vengono interrotti dalle urla dei capi cori che incitano la curva a tifare ancora, a crederci, a restare vicini alla squadra. Così dopo un attimo di sbigottimento il settore compatto ricomincia a cantare sperando. La Vale mostra tutto il suo sconforto e cerco di tirarle su il morale, ma alla fine nemmeno io credo molto nel pareggio. Inizia il coro “Fino al novantesimo” e poi, nei minuti di recupero, “Oltre al novantesimo”. Di Costanzo effettua alcuni cambi infoltendo l’attacco e la squadra ci prova riversandosi nella metà campo del Padova senza però creare grandi occasioni. Fino a che l’arbitro non fischia la fine dando il via alla gioia dei giocatori e tifosi padovani. Per me e la Vale, che abbiamo visto l’Unione perdere per la prima volta quest’anno, è una strana sensazione. Tuttavia anche noi, come tutti, invitiamo la squadra sotto la curva. I giocatori lentamente e mestamente ci raggiungono. Alcuni di loro lanciano le magliette. Sembra quasi un gesto di scusa per aver perso una partita così sentita da tutta la tifoseria. La curva capisce e, nonostante la sconfitta, canta lo stesso “lo squadrone ce lo abbiamo noi” e “Di Costanzo show” per dimostrare l’attaccamento ai colori e ringraziare la squadra per il grande campionato che sta facendo. Poi i giocatori raggiungono il tunnel degli spogliatoi e anche io e la Vale ci avviamo verso l’uscita dello stadio mentre i ragazzi del settore continuano a cantare.

4. Il clima all’uscita è tranquillo: tutti si affrettano a raggiungere le macchine o gli autobus per la stazione. Le facce sono un po’ deluse, ma nelle espressioni della gente che mi circonda sembra di leggere: “si è persa una battaglia, ma non la guerra”. Forse i più delusi siamo proprio io e la Vale. Saliamo in macchina, usciamo dal parcheggio e prendiamo la tangenziale per andare a riprendere la mia macchina lasciata davanti all’ufficio. Durante il breve tragitto spiego ancora il mio rammarico per aver visto una brutta partita in cui l’Unione non ha fatto niente per provare a vincerla. La Vale è d’accordo e contesta il cambio a centrocampo fatto da Di Costanzo a metà secondo tempo; io impreco contro Taccucci che, in occasione del gol, si è fatto saltare e insisto sul fatto che se avessero dato il rigore al Padova dopo due minuti la squadra avrebbe giocato in maniera diversa e avrebbe potuto vincere la partita. Poi salito nella mia macchina penso che comunque nonostante la brutta partita e la sconfitta è stata una bella serata, ricca di emozioni: la curva che si ferma compatta per cinque minuti per tributare il saluto a Pier; il battimano in suo onore; la malinconia nelle espressioni di chi lo conosceva; il “capitano” che porta i fiori sotto il settore; la grande esplosione del tifo dopo il silenzio iniziale; il saluto alla squadra nonostante la sconfitta del derby. Tutte emozioni che vanno al di là del risultato finale.

Alcuni amici padovani, che erano allo stadio, mi aspettano per bere una birra insieme e “sfottermi” per la sconfitta. Il bello di tifare una squadra è anche questo.

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