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Vajont

“Paroni a casa nostra”. “Dimenticare o minimizzare è una colpa”: arringa sul Vajont (1969)

10/03/2019

di Sandro Canestrini

Nella notte tra il 4 e il 5 marzo 2019 è morto Sandro Canestrini. In molti hanno ricordato l’uomo, il partigiano, l’avvocato “delle cause perse”, compresa quella dei familiari delle vittime del Vajont: è facile trovare in rete profili, rievocazioni, necrologi. Riprendiamo qui alcune pagine dell’arringa che pronunciò il 23 settembre 1969 (e fu subito stampata, a Firenze). Ci sembra adatto collocarle nella serie “Paroni a casa nostra”: profitti privati garantiti a spese della collettività, opposizioni e proteste locali ignorati o repressi, entusiasmi per le “grandi opere”, connivenza dei controllori con i controllati, tecnici e università al servizio… Due altri aspetti dell’arringa non smettono di sollecitarci: il richiamo alla responsabilità individuale dei tecnici e dei burocrati, la riflessione sulla continuità dello Stato, dei suoi apparati e dei suoi funzionari.

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Archiviato in:La città invisibile, Letture, Sandro Canestrini Contrassegnato con: arringa, paroni a casa nostra, processo, Vajont

Vivere a Vajont. Una lettura

09/10/2014

di Gigi Cameroni

Riceviamo e pubblichiamo un’ampia scheda di lettura relativa al libro di Monica Musolino, New towns post catastrofe. Dalle utopie urbane alla crisi delle identità (Mimesis, Milano 2012).

Da casa, 9 ottobre 2014

Cari amici di storiAmestre,

nel 2013 ho seguito con attenzione la vostra serie di articoli in occasione del cinquantesimo anniversario del Vajont. Qualche mese fa ero a Parigi, in visita a un amico che fa l’insegnante. Un pomeriggio che sono andato a prenderlo a scuola, ho notato subito l’illustrazione di copertina di un libro che aveva sul suo tavolo in sala insegnanti (ho questa abitudine, talvolta indiscreta, di dare sempre un’occhiata ai libri che vedo sparsi sui tavoli o sugli scaffali): facile riconoscere la diga del Vajont. Incuriosito, gli ho chiesto in prestito il libro e ho preso qualche appunto, che ora – a distanza di tempo e pur senza poter verificare di nuovo l’originale – ho pensato di proporvi: sia perché è un libro che non si trova facilmente (stando al catalogo opac-sbn si trova in tre biblioteche, si direbbe solo in quelle del deposito legale), sia perché è la stagione giusta. Che sia anche il libro giusto? Mah, su questo ho delle riserve, ma prendetela come un servizio bibliografico, a uso di chi voglia completare la sua lista di letture sul Vajont.

Cordiali saluti

Gigi Cameroni

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Archiviato in:Gigi Cameroni, Letture, Monica Musolino Contrassegnato con: anniversari, democrazia, sociologia, storia orale, trauma, urbanistica, Vajont

Esclusi e ingannati. Compianto per i morti, e per i vivi, del Vajont

11/10/2013

di Silvio Guarnieri

Ripubblichiamo l’articolo che Silvio Guarnieri scrisse in “compianto per i morti del Vajont” all’indomani della catastrofe, e fu pubblicato per la prima volta su "l’Unità" il 20 ottobre 1963.

Longarone, con le sue frazioni di Rivalta, Pirago, Villanova, Faè, tutte distribuite lungo la strada nazionale Alemagna, nell’ultimo tratto della strettoia sul cui fondo scorre il Piave prima dello slargo nell’ampia e festosa vallata che da Belluno porta sino a Feltre, godeva di una condizione di privilegio nei confronti degli altri piccoli centri di questa parte meridionale della nostra provincia; soprattutto nei confronti dei comuni più periferici, come l’Alpago, la zona di Arsiè, quella di Alano, ma anche di altri che, rispetto ad esso, avrebbero potuto considerarsi più favoriti dalla natura, dalla loro posizione: per una maggiore quantità di terra a loro disposizione, e più fertile e più accessibile, e per più lunga durata di tepore del sole nei lunghi e rigidi mesi invernali.

Poiché Longarone si distingueva per un più vigoroso senso di dignità dei suoi abitanti, per la loro capacità di iniziativa, per le sue sette industrie, per la sua amministrazione di sinistra, – una delle tre nel complesso dei sessantanove comuni dell’intera provincia; ed anche quella parte della popolazione che sul posto non aveva, non trovava lavoro ed emigrava, in Germania, in Svizzera, in Francia, o magari addirittura in Australia o nel Canadà, era formata quasi esclusivamente da operai specializzati, in buona parte da gelatai, i quali perlopiù lavoravano in proprio, gestori di un bar, sicuri ormai di una clientela e di un credito.

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Archiviato in:La città invisibile, Silvio Guarnieri Contrassegnato con: anniversari, commemorazioni, pagine scelte, Vajont

Un’aria stranamente gelida. Dalla requisitoria del pubblico ministero

09/10/2013

di Arcangelo Mandarino, a cura di Maurizio Reberschak

Maurizio Reberschak considera la requisitoria del pubblico ministero di Belluno Arcangelo Mandarino, per il rinvio a giudizio di nove imputati per responsabilità legate al disastro del 9 ottobre 1963, forse il più appassionato resoconto dell’evento e dell’opera dei primi soccorsi. Tra le circa 500 pagine dattiloscritte, Reberschak presenta qui alcuni brani che descrivono la portata della frana e gli effetti dell’ondata, e danno notizie sull’opera dei primi soccorsi, in particolare il riconoscimento delle salme. Oggi, è anche un’occasione per ricordare l’esistenza del progetto “Archivio diffuso del Vajont”, promosso dalla Direzione generale degli archivi, dall’Archivio di Stato di Belluno e dall’Archivio di Stato dell’Aquila, con il supporto della Fondazione Vajont. Il progetto prevede il recupero, il censimento e la catalogazione informatica di tutti i documenti, non solo processuali, legati alla tragedia.

Le descrizioni del disastro non sono molte. I superstiti sono stati sempre restii a parlarne. Giustamente. Un trauma forte, indimenticabile, sconvolgente, viene forzatamente sottoposto alla rimozione della memoria anche personale. È comprensibile.

I giornali poi fecero a gara nel vincere la bandiera dell’ignoranza e dell’insensatezza; e alla gara concorsero nomi come Dino Buzzati, Giorgio Bocca, Giuseppe Longo, ecc., che dimostrarono di raggiungere vette di mancata conoscenza dei fatti e di superficialità nei giudizi sparati ad effetto.

Nelle relazioni delle varie commissioni di studio di quanto avvenuto o nelle motivazioni delle sentenze dei processi si possono rintracciare alcune rappresentazioni significative dell’evento. Forse la più appassionata tra queste è presente nella requisitoria del pubblico ministero di Belluno, Arcangelo Mandarino. La redazione di questo atto venne conclusa il 22 novembre 1967, con la richiesta fatta al giudice istruttore di rinvio a giudizio di nove imputati, essendo morti due imputati durante lo svolgimento dell’istruttoria.

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Archiviato in:Arcangelo Mandarino, Maurizio Reberschak Contrassegnato con: anniversari, documenti, pagine scelte, Vajont

Caso, destino, responsabilità. Una lettura sul Vajont

07/10/2013

di Maria Giovanna Lazzarin

Dopo aver ascoltato l’autore a Mestre, il 17 settembre 2013, Maria Giovanna Lazzarin ci scrive a proposito dell’opuscolo di Luigi Rivis, La storia idraulica del “Grande Vajont” rievocata da un addetto ai lavori… (2012). La lettura di Lazzarin mostra come le coincidenze della vita s’incrociano con le previsioni di un modello idraulico, rassicuranti finché non vengono tragicamente smentite dalla realtà, e di conseguenza con un certa idea di sviluppo e di tecnica.

“Venerdì 20 luglio 1714, a mezzogiorno, il più bel ponte di tutto il Perù si spezzò, facendo precipitare nell’abisso sottostante cinque viaggiatori”. Così comincia il romanzo Il ponte di San Luis Rey, di Thornton N. Wilder (sottotitolato La misteriosa complicità di caso e destino nell’edizione Demetra, Verona 1994; l’originale americano e la prima traduzione italiana risalgono alla fine degli anni Venti). L’autore, attraverso l’artificio del manoscritto ritrovato, vi racconta la ricerca fatta da Fra Ginepro intorno alle vite delle cinque vittime per capire la misteriosa complicità di caso e destino: come mai proprio quelle persone si erano trovate lì al momento del crollo?

Questo libro mi è tornato in mente mentre leggevo per la prima volta La storia idraulica del “Grande Vajont” rievocata da un addetto ai lavori che allora c’era (pubblicato nel 2012 da Momenti AICS Editore, Belluno, 96 pagine), di Luigi Rivis, vice capo della centrale elettrica di Soverzene all’epoca della tragedia e scorrevo velocemente le pagine in cui l’autore descrive la progettazione e la costruzione della diga del Vajont dal 1940 al 1962 per arrivare a scoprire la sua vicenda personale nel disastro, una vicenda che sembra legata al caso o al destino.

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Orologio da polso da uomo (anni Cinquanta?)

01/10/2013

di Filippo Benfante

Questa cornice dovrebbe contenere un orologio da polso da uomo. La cassa era placcata in oro (non credo fosse oro massiccio) e – se ricordo bene – all’interno del quadrante, in basso al centro, c’era un quadrante più piccolo per i secondi. Il cinturino era stato cambiato tante volte, come del resto il vetrino. Ma di recente ho fatto qualche ricerca in internet, le immagini che ho visto potrebbero avermi influenzato. Le uniche cose che ho davvero ben presenti sono il colore beige del quadrante con lancette e segnali dorati, e la scritta della marca: “Eberhard & co.”. 

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