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storia sociale

Gran Bretagna e classi sociali. Una lettura

14/09/2019

di Lucio Sponza

Il nostro amico e socio Lucio Sponza, che a lungo ha lavorato e vissuto in Inghilterra, ci ha mandato la sua lettura di un libro recente della storica Selina Todd dedicato alla “ascesa e caduta della working class”. Con uno sguardo alla crisi sociale e politica attualmente in corso in Gran Bretagna.

1. Gli inglesi sono ossessionati dal concetto e dalla realtà delle classi sociali. La cosa non sorprende se si pensa che buona parte della ricchezza fondiaria, immobiliare e finanziaria è nelle mani della stessa aristocrazia da circa mille anni al vertice dello Stato. Le differenze di classe si manifestano, oltre che negli aspetti materiali e socio-culturali, anche nella lingua. Non è un caso che il “perfetto” inglese sia indicato come “Upper-class English” o addirittura come “Queen’s English”.

La classe, e la classe lavoratrice (working class) in particolare, sono state oggetto di riflessione e di analisi da parte di storici, sociologi, politici e scrittori di questo paese fin dalla metà del XIX secolo. Dato poi che il mondo contadino è diventato del tutto marginale già alla fine di quel secolo, è sulla working class operaia che l’attenzione si è concentrata.

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Archiviato in:La città invisibile, Letture, Lucio Sponza Contrassegnato con: Gran Bretagna, Selina Todd, storia sociale, storiografia, Working Class

Quando arriva Prometeo. Sulla storia di Venezia nel periodo austriaco

18/09/2016

di Adolfo Bernardello

Presentiamo alcune delle prime pagine del nuovo libro di Adolfo Bernardello, Venezia nel Regno Lombardo-Veneto. Un caso atipico (1815-1866). Dove si illustrano le ragioni per rileggere la storia della Venezia ottocentesca abbandonando i miti della città romantica, arretrata e decadente. Con un elogio della frequentazione gli archivi, un invito a soffermarsi su fatti economici e avvenimenti e non solo su “simboli, rituali, figure retoriche”, a praticare una storia sociale che dia spazio alle classi popolari, e a esporre i risultati della ricerca con una scrittura chiara e narrativa.

Accingendomi anni fa allo studio del Lombardo-Veneto nel XIX secolo, mi sono sempre proposto di portare alla luce, per quanto possibile, a mano a mano che scorrevo buste e faldoni, aspetti inediti o poco indagati sulla Venezia dell’Ottocento, come il minatore che scava cunicoli sotterranei volendo trovare vene nuove. Gli storici hanno sempre preferito occuparsi dei ben più celebri secoli precedenti, per cui al periodo della dominazione austriaca è spettato uno spazio, malgrado non manchino le opere di pregio, tutto sommato modesto. Mettendo le mani avanti per rispondere a possibili obbiezioni, dirò subito che questo libro se ha un difetto è quello di muovere da un’angolatura tutta veneziana nella pretesa di aggiungere o raccogliere o modificare alcuni aspetti che mi sono apparsi bisognosi di studi ulteriori. Rifuggendo dalla torpida pratica, molto spesso tutta ideologica, di rimestare nel calderone di quanto ormai è assodato e digerito, mi sono proposto fin dall’inizio di metter mano alla ricostruzione particolareggiata di fatti e avvenimenti (per quanto è umanamente possibile scoprire e recuperare) occupandomi preferibilmente delle condizioni economico-sociali della città e della regione, nella convinzione maturata negli anni della loro rilevanza nelle vicende di una comunità, di un popolo, di un territorio. In questo sono consapevole di andare piuttosto controcorrente rispetto alle tendenze affermatesi nei dibattiti storiografici in questo ultimo decennio, che hanno sottolineato fortemente piuttosto gli aspetti ideali e simbolici nell’agire di individui disposti al sacrificio estremo di sé per la patria, privilegiando i ceti in possesso di un certo livello di alfabetizzazione, una sorta di Risorgimento delle persone istruite, dei lettori di testi ispiranti gesta magnanime fino al martirio. Nell’imboccare i nuovi indirizzi aperti dai fondatori di questo recente revisionismo storiografico, come spesso accade per l’affermarsi di novità se non di mode, da parte dei seguaci si è fatto a gara per superare i maestri nello sfoggio di un periodare zeppo di un lessico complicato e spesso ermetico, quasi da adepti di un neo idealismo strutturato su un profluvio di rimandi semiologici e semantici, di veri e propri sistemi morfologici in cui si si notano la preminenza anzi il monopolio dati a novelle grammatiche riboccanti di simboli, rituali, figure retoriche.

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Archiviato in:Adolfo Bernardello, La città invisibile Contrassegnato con: pagine scelte, storia sociale, storiografia, Venezia, XIX secolo

Possiamo fare a meno della verità? (Una storia della storia culturale)

01/10/2015

di Giovanni Levi

Il nostro amico Giovanni Levi ci permette di pubblicare il testo fatto circolare il 28 settembre 2015 in occasione della lezione – “Une histoire de l’histoire culturelle” – che ha tenuto a Firenze, presso l’Istituto Universitario Europeo, in occasione dell’apertura dell’anno accademico 2015-2016. Una riflessione sulla storiografia recente, sull’utilità e i danni della storia culturale, con un elogio del continuo sforzo della ricerca della verità, e l’auspicio che una storiografia capace di riprendere in debito conto la dimensione sociale sia capace di “spiegare il significato e la possibilità dell’agire degli uomini e, perché no?, [di] trasformare il mondo”.

1. Per parlare di storia culturale mi pare necessario partire da due considerazioni, forse banali ma essenziali. La prima è l’osservazione su una fondamentale differenza fra storia e fiction. Gli storici scrivono sempre lo stesso libro: ogni anno escono cinquanta libri su Filippo II o su Napoleone. Mentre Guerra e pace non può essere ripetuto, gli storici continuano a moltiplicare i punti di vista e le interrogazioni sulla medesima realtà, inesauribile. Questo non vuol dire che la storia e la letteratura non abbiano in comune un domandarsi senza fine sull’umanità, sui suoi misteri e sui suoi significati. Ma l’oggetto è relativamente più stabile per gli storici. Il perché mi pare evidente: una diversa ricerca della verità, due modi diversi di interrogarsi, due verità, una storica e una narrativa, con implicazioni di metodo e di discorso differenti. Gli storici cercano di avvicinarsi alla realtà di qualcosa che è successa nel passato, che ha lasciato una molteplicità disorganica di tracce e lo fanno con l’esplicita consapevolezza che la realtà è inesauribile, che non sarà mai ricostruita nella sua definitiva concretezza. Ma è una ricerca di verità che non può dimenticare che questo infinito avvicinamento è insieme limitato, parziale ma non privo di un contenuto concreto di verità. Se c’è una cosa che affascina nel lavoro dello storico è proprio questa così umana coscienza dei limiti del nostro conoscere che tuttavia è l’inseguimento infinito della conoscenza. La pratica metaforica della condizione umana.

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