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storia di Venezia

Banchi ebraici tra Mestre e Venezia nel tardo medioevo. Pagine da un saggio

25/07/2022

di Reinhold C. Mueller

Riprendiamo alcune pagine da un saggio di Reinhold C. Mueller, autore noto ai lettori e alle lettrici di storiamestre.it. Alla scoperta della presenza ebraica a Mestre, tra Quattrocento e inizio Cinquecento: una lettura per l’estate e un invito a leggere il saggio per intero (vedi nota finale).

Introduzione

Nel suo Itinerario per la terraferma del 1483 il giovane patrizio Marin Sanudo scrive della città murata o «castelo» di Mestre: «Qui sta molti zudei et à una bella sinagoga; et quivi se impegna [cioè, si presta denaro su pegno], perché venitiani non vol hebrei stagi a Veniexia». Giusto un decennio più tardi lo stesso Sanudo scrive che l’ufficio dei Sopraconsoli dei Mercanti 

se impazza […] in vender li pegni al publico incanto a Rialto delli zudei che imprestano a Mestre danari a christiani et qui vendeno, traze il cavedal e l’usura, et il resto salva per colui di chi è il pegno. Et nota una eccellente cosa di Venetia che niun zudio, sotto grandissime pene, puol tegnir banco d’imprestar danari qui a Venezia, ma ben a Mestre.

Forse un altro decennio più in là ma comunque prima della guerra di Cambrai, un trattato francese su Venezia, descrivendo i compiti dello stesso ufficio riporta: «Gli ebrei non abitano in Venezia ma piuttosto in una cittadina che dista circa quattro leghe da Venezia, che si chiama Mestre; è qui dove gli ebrei tengono i banchi e prestano soldi ad usura, ad un tasso del 15%; non possono prendere come garanzia case e terreni ma solo beni mobili». Riassumiamo queste scarne informazioni: gli «zudei» di Mestre erano molti; avevano una sinagoga, giudicata «bella» dal giovane Sanudo (era una «chaxa» di proprietà della famiglia Tron, data in affitto agli ebrei); i banchi di prestito si tenevano a Mestre, dove i gestori potevano chiedere l’interesse del 15% per prestiti su pegno; gli ebrei – o meglio i banchieri ebraici – non dovevano abitare a Venezia1.

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  1. Per l’Itinerario sanudiano vedi ora Itinerario per la Terraferma veneziana, ed. critica e commento a cura di G.M. Varanini, Roma 2014, p. 384. Nel trattato francese si legge, nel contesto della giurisdizione dei Sopraconsoli sugli ebrei: «lesquelz juifz ne demeurent pas à Venise mais ilz demeurent en une petite ville qui est pres Venise environ quatre lieues nommees Mestre, ou ilz tiennent des banques et baillent à usure et prouffit de XV pour cent pour chascun an et ne peuent prendre en gaige fors seullement des biens meubles et non pas biens immeubles», ora in Descripcion ou traicté du gouvernement et régime de la cité et seigneurie de Venise. Venezia vista dalla Francia ai primi del Cinquecento, a cura di Ph. Braunstein e R.C. Mueller, Venezia e Paris 2015, p. 158. Infine, De origine, situ et magistratibus urbis Venetae ovvero La città di Venetia (1493-1530), a cura di A. Caracciolo Aricò, Milano 1980, p. 136 (nella rist. Venezia 2011, p. 128). Nel 1515 gli ebrei banchieri prestavano a Venezia e non più a Mestre; Sanudo quindi aggiorna la sua descrizione scrivendo che un ufficiale tra i quattro Sopraconsoli «atende a vender pegni di banchi di hebrei in Rialto al publico incanto et vadagnano di ditti pegni vendeno a raxon di [tot %, lasciato in bianco]; […] Ancora, sonno zudexi di deferentie si ha con li hebrei banchieri sopra li pegni et farli dar al hebreo il resto di danari l’ha trati di pegno, ‹da›poi cavato il cavedal, l’uxura et le spexe di l’oficio»; ivi, pp. 265-266 (nella rist., pp. 286-287). La «bella sinagoga», proprietà di un ramo della famiglia Tron, fu distrutta nel 1509 e incendiata dall’esercito della lega di Cambrai, come specificano Luca, Marco e Marietta Tron, fu Antonio, nella loro condizione di Decima del 1514: «Sinagoga de’ Zudei in Mestre pagava di fitto ducati 50; quando el campo nostro allozò a Mestre avanti che si recuperasse Padoa fu ruinada, dapoi bruxada per inimixi. Al presente terren vacuo et non si traze de fitto nulla». ASVe [Archivio di Stato, Venezia], Dieci Savi alle Decime, Redecima 1514, b. 57, San Paternian, n. 24. Nel 1538 Luca e Marco Tron scrivono: «Item se ritrovemo aver in Mestre una chaxa che era la sinagoga de’ Zudei; ne soleva pagar ducati cinquanta, ma per la guera pasata furno bruxata dita chaxa, né dapoi è sta’ fabrichata et per alguni ani non abiamo auto algun fito, ma abiamo fato dificultà ché loro non puol aver sinagoga in altro luogo cha in Mestre. Oferendoni redur la chaxa como l’era prima, i qual Zudei pro nu‹n›c hano promeso pagarne el fito, ma ogn’ora i non ne pagase el dito fito, che i ne metese dificultà le Signorie Vostre ne averà a tracer da conto il dito fitto como è iusto» (l’ultimo «como» è ripetuto). Ivi, Redecima 1538, sestiere di S. Polo, b. 99, n. 33 (ringrazio Susan Connell per la segnalazione, Paola Benussi per l’aiuto). Nel 1514 i Tron hanno pur dovuto pagare una minima tassa su quella proprietà distrutta, nel 1538 no. [↩]

Archiviato in:La città invisibile, Reinhold Mueller Contrassegnato con: Mestre, pagine scelte, storia dell'ebraismo in Italia, storia di Venezia, storiografia

Una “quasi capitale” ebraica (dimenticata) della Terraferma veneta. Mestre alla fine del Trecento

21/12/2021

di Renata Segre

Riprendiamo alcune pagine dal libro di Renata Segre, Preludio al ghetto di Venezia. Gli ebrei sotto i dogi (1250-1516), pubblicato qualche giorno fa dalle Edizioni Ca’ Foscari e disponibile online. Nel suo studio l’autrice ricostruisce la storia della presenza ebraica a Venezia prima dell’istituzione del Ghetto nel 1516. Smentendo “il mito” di uno stanziamento di ebrei a Venezia solo dal 1516, Renata Segre documenta come, a partire dalla fine del Trecento, Mestre fosse “centro nevralgico” della comunità ebraica insediata sulla Terraferma veneta. Attorno al castello e in quella che è l’attuale calle del Gambero operavano infatti banchi di prestito feneratizio, e avevano sede una sinagoga, un ostello e un cimitero ebraici. Queste vicende – è il caso di dirlo: di “una città invisibile” – sono ora riportate alla luce da Renata Segre grazie a una ricerca ventennale, e alla documentazione conservata nell’archivio dell’Antica Scuola dei Battuti a Mestre. 

Alla stregua di Treviso, anche Mestre era divenuta città suddita veneziana nel Trecento; alla stessa stregua di Treviso, e dopo Padova, anche a Mestre i toscani (in questo caso, più precisamente, dei fiorentini) avevano dovuto cedere il passo, ritirandosi progressivamente da quell’attività di credito e di esazione dei dazi, di cui erano stati a lungo i protagonisti. Ma dalla nostra angolatura, Mestre, come già evidenziato, spicca per una sua particolarità: durante quasi un secolo e mezzo (almeno fin verso il 1509) fungerà da centro nevralgico – quasi capitale – della comunità ebraica insediata sulla Terraferma veneta1. Associando una posizione geografica di massima prossimità a Venezia al distanziamento per via dell’acqua da navigare, meglio riproduceva, anche plasticamente, lo scarto che Venezia aveva sempre inteso serbare nei confronti di questi infedeli2. Una visione teleologica, e pure teologica, cui non facevano difetto concretezza e lungimiranza: la presenza dei banchi ebraici, e delle attività indotte, sarebbe stata in grado di trasformare Mestre da borgo fortificato a difesa della capitale in una vera città popolosa, prospera e vivace, se Venezia l’avesse sinceramente desiderato.

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  1. In una delibera del 1527 i pregadi vollero condensare la storia di centoquarant’anni di prestito ebraico a Mestre: «Li savii et religiosi progenitori nostri» il 27 agosto 1394 «licenciorno […] li hebrei feneranti da Venezia mandandoli a star a Mestre, ma avendosi sempre sforzato quelli malignamente romper li nostri ordini, fu neccessario metter molte parti, et precipue quelle del 1402, 1496, […] fino al 1508, che la prima volta con sue insoportabil versutie et fraude li furno conduti iterum per questo Conseglio a fenerar qui, et doppoi del 1520, 1523, 1525 sono stati continuamente confirmati per questo Conseglio a fenerar a Venezia, et cristianamente questa cosa è sopra ogni altra admiranda et notanda, che sempre che si ha trattà de remover li hebrei feneranti di Venezia se ha visto li prosperi successi al publico et all’iniunti, et sempre che è stata trattà di condurli a fenerar a Venezia si ha manifestamente visto il contrario» (Archivio di Stato di Venezia [d’ora in poi ASVe], Ufficiali del Cattaver [d’ora in poi Cattaver], b. 1, reg. 2, Capitolare, ff. 126v-128v, 18 marzo 1527; G. Gallicciolli, Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche raccolte da Giambattista Gallicciolli. Libri tre, 8 voll., Venezia 1795, 2, p. 306, § 940). [↩]
  2. Per illustrare la prossimità tra Mestre e Venezia si consideri che nel suo punto più stretto la Terraferma dista 2 leghe e ½ da Venezia, e questa, a sua volta, misura 1 lega per lungo e ½ per largo (Descripcion ou Traicté du gouvernement et regime de la cité et Seigneurie de Venise. Venezia vista dalla Francia ai primi del Cinquecento, a cura di Ph. Braunstein, R.C. Mueller, Venezia-Paris, 2015, p. 88). [↩]

Archiviato in:La città invisibile, Renata Segre Contrassegnato con: Mestre, pagine scelte, storia dell'ebraismo in Italia, storia di Venezia, XIV secolo

“Perché Valussi mi sembra illuminante”. Una lettera a storiAmestre

29/01/2017

di Alessandro Casellato

Pubblichiamo la lettera che ci ha mandato Alessandro Casellato, docente di storia dell’università Ca’ Foscari di Venezia e coordinatore del progetto e della mostra “Ascari e schiavoni. Il razzismo coloniale e Venezia”. Casellato parte dai commenti ricevuti sulla pagina facebook della mostra e dalla discussione in corso sul nostro sito (si vedano i commenti in calce al testo di Pacifico Valussi, presentato da Piero Brunello).

L’articolo di Pacifico Valussi presentato da Piero Brunello ha suscitato, oltre ai commenti sul sito di storiAmestre, alcune reazioni stizzite nella pagina facebook della mostra “Ascari e Schiavoni. Il razzismo coloniale e Venezia”. A me invece sembra illuminante, perché rivela che già a metà Ottocento il termine Schiavoni era sentito come fastidioso (“suona male”) alle orecchie di 18 Dalmati che vivevano a Venezia, e a quelle di “più d’uno Slavo colto” che Venezia frequentava come “amico all’Italia”, oltre che – evidentemente – a quelle di Pacifico Valussi, che slavo non era.

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Archiviato in:Alessandro Casellato, La città invisibile Contrassegnato con: colonialismo, fascismo, intervento, razzismo, storia di Venezia, storiografia, uso pubblico della storia, Venezia

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