di Andrea Lanza
Il nostro amico e socio Andrea Lanza ha recuperato tra le carte di famiglia cinque lettere ricevute da suo nonno, Giuseppe Lanza, tra il 1945 e il 1948. Ricostruisce così alcune scene della vita di chi era sopravvissuto e riprendeva un’esistenza dopo la guerra e il genocidio. La moglie Ania Goldstein (di origine russa ed ebraica) era morta di tubercolosi nel 1943; il cognato Ramik aveva lasciato l’Italia per gli Stati Uniti all’indomani delle leggi razziali del 1938; la suocera Anastasia era stata deportata dopo essere stata arrestata dalle SS nella casa di cura di Milano in cui aveva cercato di nascondersi. Giuseppe apriva le lettere di chi cercava di avere notizie in una casa ancora spoglia di tutto per via di una requisizione tedesca nel 1944, e ora condivisa con una famiglia di esuli fiumani. I primi passi di una ricerca da fare.
Degli anni del primissimo dopoguerra, non ho che due foto in cui si possa vedere mio nonno, Giuseppe Lanza: una del 1946 e una del 1947.
La prima, scattata in estate durante una gita fra il lago di Lugano e il lago Maggiore, è una foto di famiglia. Giuseppe porta una camicia a maniche corte e dei pantaloni corti dalla vita altissima. Oggi si direbbe che sembrava molto più vecchio dei suoi quarantasei anni; nato il 16 dicembre 1899, a Valguarnera nell’entroterra siciliano, era stato registrato all’anagrafe il 1° gennaio seguente, evitando così il fronte della Prima guerra mondiale. Dopo il militare si era trasferito “al Nord”, dove si era sposato con Ania Goldstein nel 1935, che morì meno di otto anni dopo. Nella foto, vicino a Giuseppe stanno mio padre Diego, di nove anni, e i quattro membri della famiglia di esuli fiumani che vivevano nel loro stesso appartamento a Milano.