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scuola

Vigilante del piano formativo. Una supplenza in DAD capovolta

07/12/2021

di Giulio Vallese

Una nuova cronaca del nostro inviato nel mondo della scuola, ora insegnante vincitore di concorso straordinario, ma ancora non in ruolo. Questa volta un caso singolare di “classe capovolta”, per parafrasare una delle espressioni del gergo scolastico di oggi. A proposito, mentre i giornali riferiscono le ultime idee del Governo in carica in termini di innovazione della pedagogia e dei contenuti disciplinari, ecco alcuni spunti per pensare alla figura dell’insegnante “tutor”.

Ho una supplenza. Che rogna, è in una sede diversa da quella in cui sarei dovuto andare per il resto della giornata, il che mi obbliga a fare molta più strada nel traffico del mattino per poi dovermi spostare nell’altra sede dove non si trova mai parcheggio. Preso dal fastidio, mi accorgo solo dopo della singolare dicitura in corsivo vicino al nome del collega da sostituire: «classe in presenza, docente in DAD». Che significa? Se non ricordo male, le nuove regole prevedono che se un insegnante si trova in quarantena fiduciaria è tenuto a fare lezione collegandosi da casa. Una specie di DAD capovolta con gli studenti a scuola e il professore a casa? E io, come sostituto, che devo fare? In teoria il collega è presente, quindi chi sostituisco? Di solito le supplenze consistono nel fare sorveglianza alla classe in modo che non succeda niente di pericoloso e i ragazzi facciano qualcosa di sensato, studino, ripassino, facciano esercizi… al limite si riesce pure a fare due parole, ma in questo caso, che devo fare? 

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“Pantomima” per entrare. Una cronaca dal concorso straordinario di filosofia e storia (febbraio 2021)

09/04/2021

di Giulio Vallese

Dopo alcuni anni il nostro amico Giulio Vallese torna a mandarci notizie dal mondo della scuola: è ancora precario, ogni anno attende di ricevere una convocazione a settembre o giù di lì, per una supplenza il più possibile lunga. Per rimediare a questa situazione le sta provando tutte, compreso il concorso straordinario per la classe di filosofia e storia che si è svolto venerdì 19 febbraio 2021. Un viaggio in auto fino a Milano, in una regione diversa da quella di residenza del candidato, in tempi di pandemia e zone rosse; una scuola fatiscente; aule allestite come un call-center; password per accedere alle domande; una prova d’esame concepita come una gogna pubblica: quando lo Stato intende mantenerti nella condizione che ti ha assegnato e allo stesso tempo vuole punirti per la condizione che ti ha assegnato.

1. Per fare il viaggio da casa fino a Milano mi sono fatto prestare una macchina. Siamo partiti in due, C. mi accompagna per sollevarmi un po’ dalla noia e dall’ansia del viaggio: partenza alle 8.00 perché io devo essere pronto per la convocazione alle 13.00. Ora ci troviamo nel cortile della scuola che a breve ospiterà il concorso straordinario per i precari. Tutt’intorno il nulla periferico, di fronte a noi una fioriera di cemento annerito – rigorosamente senza fiori – con intorno una grata di metallo verde che fungerebbe da panchina. Fa freddo solo a guardarla. Ha smesso di piovere da poco ed è tutto avvolto da un’umidità gelida e dal grigiore. Rimaniamo in macchina.

Alzando gli occhi oltre il parabrezza, osservo la scuola poco più in là: un edificio di due piani di cemento rosso sbiadito, squadrato e punteggiato al piano superiore da finestrelle. Potrebbe sembrare una caserma o uno di quei palazzi abbandonati della DDR che si potevano vedere ancora una decina di anni fa a Berlino. Il periodo della costruzione dovrebbe essere quello, direi gli anni Settanta. C’è un aspetto che la rende particolarmente lugubre: le facciate sono segnate di metro in metro da certe colonnine, tipo lesene, tutte scrostate, non a livello dell’intonaco ma proprio del cemento. Vicino all’entrata, una pensilina di plastica conduce all’ingresso, tante porte vetrate con gli infissi bianchi, sporchi e sgangherati. Ne ho viste, in questi anni di precariato, ma così… che sia una scuola dismessa?

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Cronache dalla scuola. Dalla manifestazione di Firenze, 26 marzo 2021

28/03/2021

di Alberto

Pubblichiamo il testo dell’intervento tenuto da Alberto, studente del liceo Galileo di Firenze, durante la manifestazione per la scuola promossa dal Comitato Priorità alla Scuola che si è svolta a Firenze il 26 marzo. Classi smembrate, rotazioni tra presenza e didattica a distanza, compiti in classe in presenza, spiegazioni a distanza, circolari e voti, “pentamestri”, “seste ore” nel mezzo del pomeriggio, sanificazioni… e studentesse e studenti stanchi di provare a farsi sentire senza venire mai presi in considerazione.

Oggi anche noi del Galileo siamo scesi in piazza per parlare delle mancanze della nostra scuola, che continuano a ledere il nostro diritto all’istruzione, in questi tempi di estrema difficoltà. 

Siamo in “DAD al 50%”, il che significa che andiamo a scuola in presenza tre giorni a settimana a rotazione. Non c’è una rotazione di classi intere, ma le classi sono state divise in gruppi al loro interno: una parte va a scuola in presenza, l’altra segue da casa. Questo sistema rende l’organizzazione decisamente difficoltosa e ardua da gestire, sia dalla parte studentesca che da quella dei docenti.

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Non avrei mai immaginato di dover manifestare per far riaprire le scuole. Dalla manifestazione di Firenze, 26 marzo 2021

27/03/2021

di Maria Beatrice Di Castri

Riprendiamo il testo dell’intervento tenuto da Maria Beatrice Di Castri, insegnante in una scuola superiore, durante la manifestazione per la scuola organizzata dal Comitato Priorità alla Scuola in piazza Santissima Annunziata a Firenze. Per parteciparvi, Maria Beatrice ha aderito allo sciopero del comparto scuola indetto dal sindacato COBAS per lo stesso venerdì 26 marzo.

Non avrei voluto essere qui oggi. Non certo perché non faccia piacere la dimensione dell’impegno, ché anzi, il recupero della polis è aspetto fondamentale nella nostra vita democratica, ma perché, insieme ai colleghi che sono qui presenti, avrei voluto essere in classe con i miei studenti, e magari non solo per le prime due ore, per poi collegarmi online, ma per l’intera mattinata.

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“Non mi è mai piaciuto tanto fare l’insegnante come quest’anno”. Dalla manifestazione di Firenze, 5 dicembre 2020

07/12/2020

di Carola Pagani

Pubblichiamo l’intervento che Carola Pagani, insegnante di scuola media a Pisa, ha tenuto alla manifestazione convocata da Priorità alla Scuola Toscana a Firenze, il 5 dicembre 2020.

Sono venuta da Pisa per intervenire alla manifestazione di oggi come mamma e come insegnante di scuola media. Sono arrivata a Firenze solo con un paio di amici e i nostri figli, perché è difficile convincere le persone a scendere in piazza, nonostante il malessere che vivono.

Parlerò della mia esperienza di insegnante. Per fortuna io ho una prima in presenza ed è dai ragazzi che traggo l’energia per andare avanti: un’energia incredibile. Non mi è mai piaciuto tanto fare l’insegnante come quest’anno, mi sento investita di un ruolo determinante e i miei alunni lo sentono. Mi guardo intorno però e vedo colleghi stanchi, demotivati, impauriti. E alienati dalla tecnologia.

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“Un’ora di storia in più ci salverà!?”. Manuali, insegnamento e studio della storia a scuola

22/11/2020

di Filippo Benfante

Pubblichiamo il testo dell’intervento con cui il nostro socio e amico Filippo Benfante ha aperto una discussione che si è tenuta per strada, a Firenze, sabato 14 novembre 2020, intorno ai manuali di storia per la scuola superiore e l’insegnamento della storia a scuola. L’occasione era quella del presidio permanente organizzato da Priorità alla Scuola dal 10 al 14 novembre, nel centro cittadino: in un’area pedonale tra la sede del liceo Galileo (chiuso agli studenti e alle studentesse, costretti a seguire tutte le lezioni a distanza dal 2 novembre, e già da fine ottobre il 75% delle lezioni erano a distanza) e la sede del Consiglio regionale della Toscana.

1. Il titolo che ho scelto per questa chiacchierata in piazza deriva dalle perplessità che mi ha suscitato quell’“appello per la storia” che ha avuto il suo momento di celebrità nella primavera del 2019. Lanciato da eminenti personalità animate da ottime intenzioni, rilanciato dal quotidiano “Repubblica” e dal suo sito, cominciava proclamando la “storia bene comune”, proseguiva invocando la difesa della ricerca storica di fronte alla deriva dei tempi moderni (dai revisionismi beceri alle bufale storiografiche, dall’indifferenza al razzismo), cercando anche di ristabilire il ruolo sociale di chi fa ricerca storica; concludeva infine con tre richieste sulla scuola e sull’università: il ripristino della traccia di storia all’esame di maturità, che le ultime indicazioni ministeriali abolivano; l’incremento delle ore di storia a scuola; l’aumento di posti di ricercatore all’università. L’appello, e l’enorme numero di firme che ha raccolto, mi hanno dato la sensazione che a uno scopo così ambizioso, e di per sé anche condivisibile, non corrisponda una concreta conoscenza di come funziona la scuola né, soprattutto, l’insegnamento della storia a scuola. Mi sembravano e mi sembrano tuttora indicazioni poco operative e, cosa più fastidiosa, scentrate rispetto alle premesse: di fronte ai mali del mondo, un tema e un’ora di storia in più a scuola? E cosa vorrà dire mai, concretamente, un’ora in più di storia?

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