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Resistenza

Una rivoluzione del costume. Le speranze scambiate per certezze, estate 1945

24/04/2021

di Carlo Levi, con una nota di Filippo Benfante

Per i nostri auguri di buon 25 aprile, quest’anno ricorriamo ad alcuni appunti che Carlo Levi scrisse nel giugno 1945, quando poté raggiungere il Nord Italia – Torino e Milano – quale inviato della “Nazione del Popolo”. Era condirettore di questo giornale, quotidiano del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, fin dai giorni della battaglia di Firenze (cominciata l’11 agosto 1944, la città fu interamente liberata a fine mese). Nell’esplosione di vitalità, nella vita “estremamente popolare” in cui si trovò immerso per un attimo a Milano, Levi vedeva il segnale di una “realtà” in atto. La guerra partigiana e l’esperienza democratica dei CLN avevano lasciato un segno indelebile, non si sarebbe tornati indietro. Il tirannicidio che mancava alla storia d’Italia (ovvero l’esecuzione di Mussolini) segnava un “taglio netto” con il passato. A distanza di pochi anni, nelle pagine dell’Orologio, Levi avrebbe riconsiderato quella sicurezza; ma non cambiò la sua opinione su ciò che furono – per un breve momento, ma per davvero – quei giorni che oggi mettiamo sotto l’etichetta di 25 aprile.

La guerra partigiana, con il suo complesso di attività e di modificazioni, che hanno inciso sulla vita non soltanto di coloro che stavano sui monti, ma nella popolazione intera, ha lasciato in tutti un segno che non si cancella; è stata una grande esperienza collettiva, e, a parte il suo valore bellico e politico, è stata una scuola di autogoverno, una tangibile dimostrazione di democrazia. Chi non si rende conto di questo, e vagheggia impossibili ritorni a una «normalità» prefascista, o, al contrario, senza valutare quello che è avvenuto, sogna palingenesi da avvenire, al solito, in un indeterminato futuro, non tiene conto della realtà. Il carattere estremamente popolare della vita milanese che colpisce anche l’osservatore che si fermi agli aspetti esteriori delle cose, questo mescolarsi di uomini e donne di tutte le classi, questo vivere in strada, non sono che uno dei segni esterni di questa realtà.

C’è il rovescio della medaglia, ci sono le insufficienze e le miserie di una situazione difficile, gli errori di eccesso o di difetto, gli squilibri dovuti alla divisione del paese, per ragioni obiettive e per la politica a settori praticata purtroppo dagli alleati, ecc. Ma un fatto è certo: una rivoluzione del costume è avvenuta, un taglio netto separa l’oggi dal passato. Il sangue dei capi fascisti, il distributore di benzina di piazzale Loreto è stato un simbolo benefico e non dimenticato di questa frattura. Esso pone tutte le cose su un’altra prospettiva, le fa vedere con altri occhi. Non importa se talvolta impedisce anche di vedere (il Dittatore di Charlot, per esempio, questa singolare e alta opera d’arte, qui a Milano è stato male accolto, e criticato perché, si dice, dopo Buchenwald e piazzale Loreto esso sembra inopportuno). Potrà per un certo tempo soffrirne la poesia, finché gli animi siano ancora tesi, e gli interessi rivolti tutti alle costrizioni quotidiane: ma non vi è in questo nessun male: si ritrovano le cose, dopo anni di prigione. Gli uomini della Resistenza sanno ormai di poter governare, e di doverlo fare, nell’interesse comune. Ferruccio Parri, il capo della Resistenza, è presidente del Consiglio, e ha fatto sentire, nei suoi primi discorsi, una voce, un tono morale, veramente nuovi; e perfino una forma nuova di eloquenza civile.

Che cosa sia, politicamente, questa novità, cercherò di dire altra volta, quando tornerò, nei prossimi giorni, in questa capitale del Nord, dopo questo primo passaggio fuggevole, e mi ci fermerò più a lungo. Ora lascio Milano e i suoi balli estivi: l’automobile mi aspetta per portarmi a Torino.

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Archiviato in:Carlo Levi, Filippo Benfante, La città invisibile Contrassegnato con: 25 aprile, anniversari, antifascismo, pagine scelte, Resistenza

In nome di quale Stato? Il processo contro i torturatori di Emanuele Artom, a 70 anni dalla prima sentenza

18/04/2021

di Bianca Guidetti Serra

Ci avviciniamo al 25 aprile pensando a chi ebbe “la strana idea di battersi per la libertà”, ma non poté vedere la Liberazione. Riprendiamo le pagine che Bianca Guidetti Serra dedicò a Emanuele Artom, ucciso nell’aprile del 1944, dopo due settimane di orrende sevizie. Vent’anni dopo, la Guidetti Serra decise di verificare se i torturatori di Artom (e dei partigiani Ferrero e Costabel, e di Giovanni Balonsino, Guglielmo “Willy” Jervis, Jacopo Lombardini, altri compagni uccisi dopo essere stati seviziati) avevano pagato per i loro crimini, consultando gli archivi giudiziari: la sua attività di avvocato la aiutò ad accedere alla documentazione. Appurò altri vilipendi: lo Stato italiano, che nelle carte processuali si era intestato l’attività partigiana di Artom, depennò la condanna emessa in contumacia contro l’unico responsabile identificato con nome e cognome, latitante; entro il 1960 gli riconobbe addirittura la pensione, con gli arretrati. Nulla da ridire sul piano formale: tutto legale sulla base di articoli del codice, di provvedimenti di legge, di sanatorie, e di una legge del Regno Sardo del 1858 passata al Regno d’Italia e infine alla Repubblica. Una “storia esemplare”, avvisa amaramente Bianca Guidetti Serra cominciando la sua ricostruzione.   

Sono trascorsi più di vent’anni ed una sera, riandando con amici al tempo passato, si discorre di Emanuele. Di lui il ricordo è ben presente. Ma i suoi torturatori furono individuati, giudicati, con quali esiti? E qui la memoria di ciascuno si confonde, diviene approssimativa. Non solo: c’è chi si chiede se valga la pena ricordare quei fatti infami. Le opinioni sono divise. Io decido di rivangare un po’ di quel passato.

Comincio dall’Archivio della Corte d’Assise di Torino che ha giudicato una parte della vicenda. Il fascicolo del processo dapprima non si trova. Mi aiuta, con la memoria, un vecchio Cancelliere: “Guardi che è finito in Cassazione e poi a Genova…”. Insomma lo trovo quel benedetto fascicolo: incompleto, privo di molti verbali e di altri atti, ma l’essenziale, la sentenza e qualche documento rilevante ci sono. Quanto basta per ricostruire una storia esemplare.

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Archiviato in:Bianca Guidetti Serra, La città invisibile, Letture Contrassegnato con: 25 aprile, Alberto Cavaglion, antifascismo, dopoguerra, Emanuele Artom, pagine scelte, Resistenza

La Resistenza al cinema. Con un brindisi alla Liberazione

17/04/2018

di sAm

L’associazione Dalla guerra alla pace Forte Gatta e sAm invitano a un incontro al Forte Mezzacapo (Zelarino-Mestre):

sabato 21 aprile 2018, alle ore 17,30, Elvio Bissoli (storiAmestre) presenta il filmato

Come il cinema ha raccontato la Resistenza. Da Roma città aperta (1945) a L’uomo che verrà (2009)

Scelta delle immagini e commento: Elvio Bissoli, con la collaborazione di Carla Poncina

Ricerche iconografiche: Marco Marcante

Montaggio audio e video: Irene Maria Bissoli e Gianni Marcante

Durata del filmato: circa 80 minuti. Per visualizzare/scaricare la locandina cliccare qui.

Si chiuderà con un brindisi alla Liberazione.

 

Archiviato in:Agenda, sAm Contrassegnato con: anniversari, antifascismo, cinema, Elvio Bissoli, fascismo, Resistenza

Viaggio nella vita. Ricordo di Franco Kim Arcalli

24/02/2018

di Gianni Scarabello

Quarant’anni fa, il 24 febbraio 1978, moriva Franco Kim Arcalli. Lo ricordiamo pubblicando una commemorazione scritta nel 1980 dall’amico Gianni Scarabello, studioso di storia di Venezia e docente a Ca’ Foscari. Arcalli, nato nel 1929, partecipò giovanissimo alla Resistenza a Venezia e nel Veneto col nome di Kim (fu tra i protagonisti della “beffa del teatro Goldoni” il 12 marzo 1945); dopo la guerra divenne un importante sceneggiatore (ricordiamo solo C’era una volta in America di Sergio Leone) e montatore (tra le sue collaborazioni, quelle con Michelangelo Antonioni e Bernardo Bertolucci). Nel ricordare l’amico, Scarabello delinea i contorni di una Venezia popolare degli anni Cinquanta, l’ambiente culturale e politico legato al Circolo del cinema Pasinetti, racconta le trame di film e film-inchiesta che Kim non riuscì a realizzare, tra cui uno in cui pensava di dare voce agli ex partigiani, a 10-15 anni dalla Liberazione: secondo Scarabello, “un bilancio per riliberare il giudizio alle possibilità del futuro”.
 
Per alcuni di quelli che nel 1945 erano ragazzi a Venezia, i giorni di fine aprile furono come una rappresentazione: uomini e donne in abiti civili e armati per le calli, i ponti, i campi e poi in piazza San Marco; parole come popolo e liberazione; la Marsigliese e L’Internazionale urlate a voci spiegate. Impressionava quel rosso improvviso dovunque: un colore di cui la gente in età, anni prima o solo giorni prima, parlava con circospezione e che ora era per tutto, addosso a tutti, e che, tuttavia, a qualche anziano, pur non pareva abbastanza.

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8 settembre 1943: ricordi e sogni

07/09/2017

di Giorgio Bassani, a cura di Filippo Benfante

In occasione dell’8 settembre riprendiamo due scritti poco noti di Giorgio Bassani: un ricordo dell’8 settembre 1943 a Firenze, scritto nel 1945; il racconto di un sogno angoscioso fatto una notte del 1950.

L’occasione per fare una rivista o per resistere?

Nel 1945, Giorgio Bassani rievocò il suo 8 settembre 1943 in poche pagine dattiloscritte rimaste inedite fino a pochi anni fa. Quel giorno si trovava a Firenze, dove era giunto poche settimane prima. Il 26 luglio era stato scarcerato dalla prigione di Ferrara dove si trovava detenuto dal maggio precedente per la sua attività antifascista. Il 4 agosto aveva sposato a Bologna Valeria Sinigallia e quindi insieme si erano stabiliti a Firenze.

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Un errore di memoria? La Cicci e la Resistenza a Venezia

01/08/2017

di redazione sito sAm

La Cicci intervistata da Danilo Montaldi nel 1957 racconta del fidanzato veneziano arrestato e poi fucilato – presumibilmente nel 1944 – “sulle macerie di Venezia” insieme ad altri sei. Almeno così le era stato raccontato. Abbiamo provato a fare qualche piccola verifica, ma riusciamo solo a farci alcune domande.

La Cicci

Cicci è una delle protagoniste delle Autobiografie della leggera raccolte e pubblicate da Danilo Montaldi nel 1961. Montaldi la presentò con queste parole: «Cicci è una donna che “ha fatto la vita”, e l’allusione si riferisce al suo passato di prostituta. Essa ha dettato la propria biografia – titolo compreso – nelle pause del lavoro casalingo al quale s’è adattata da quando ha cambiato genere di vita. Il testo riproduce fedelmente il suo racconto orale, con gli sbandamenti tipici e senza sosta dei monologhi femminili» (p. 63). Il titolo del suo racconto è Il pro e il contro di due vite.

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