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nazionalismo

Da “Riva degli Schiavoni” a “Riva degli Slavi”. Venezia, marzo 1849

19/01/2017

di Pacifico Valussi, a cura di Piero Brunello

In questi giorni ha aperto a Venezia la mostra “Ascari e Schiavoni, il razzismo coloniale e Venezia”, organizzata in occasione dell’ottantesimo anniversario della prima legge razziale italiana, emanata nel 1937.

Per l’occasione Piero Brunello presenta un articolo di Pacifico Valussi che nel marzo 1849 annunciava il cambiamento del nome di Riva degli Schiavoni in Riva degli Slavi, in nome della fratellanza tra i popoli. Si trattava in realtà di una richiesta, promossa da diciotto Dalmati che vivevano a Venezia, e che il governo di Manin decise di non prendere in considerazione.

Alla fine di marzo 1849 Pacifico Valussi, un friulano accorso alla difesa di Venezia, scrisse una lettera aperta a Ernest von Schwarzer, giornalista viennese conosciuto anni prima a Trieste nella redazione del Giornale del Lloyd austriaco. La lettera uscì nel quotidiano L’Italia nuova il giorno dopo l’arrivo della voci ancora confuse sulla sconfitta di Carlo Alberto a Novara. La notizia fu accolta con sgomento: Venezia si ritrovava sola, le truppe austriache accampate a Mestre si preparavano all’assalto finale contro Forte Marghera e al bombardamento della città.

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Balcani, Stati e violenza. Pagine da un libro appena pubblicato

16/04/2012

di Stefano Petrungaro

È uscito da pochi giorni Balcani. Una storia di violenza?, il nuovo libro del nostro amico Stefano Petrungaro. Ne presentiamo un breve estratto, per gentile concessione dell’autore e dell’editore Carocci, che ha fatto coincidere l’uscita del libro con il doppio anniversario della liberazione di Sarajevo nel 1945 e dell’inizio dell’assedio di Sarajevo nel 1992.

Titolo e sottotitolo parlano da soli: l’autore studia i fenomeni violenti avvenuti nei Balcani tra Otto e Novecento, interrogandosi sulle tradizionali interpretazioni dei fatti, smontando gli stereotipi, ricollocando questi avvenimenti nel loro preciso contesto: niente “caratteri psicologi” o “tradizioni”, ma storia, istituzioni e società. I lettori del sito e dei Quaderni hanno già apprezzato questo modo di procedere in un altro saggio di Petrungaro che abbiamo pubblicato di recente. E ci pare che questo altro contributo prosegua proprio la discussione avviata con il Quaderno numero 12.

Le pagine che presentiamo qui di seguito sono tratte dal capitolo secondo di Balcani. Una storia di violenza?: “Violenza di Stato”.

Le maggiori forme di violenza di massa, nei Balcani come altrove, sono legate alla costruzione e alla distruzione di strutture statuali. Mettere in piedi uno Stato significa conquistare un territorio, in genere combattere un avversario, sottomettere una popolazione. E la rimodulazione degli Stati, attraverso i “vuoti di potere” e i loro riempimenti, attraverso il crollo di uno Stato e la sua sostituzione con uno nuovo, travasa fiotti di violenza istituzionalizzata da un contesto statuale all’altro. Se questo è quanto è avvenuto e tuttora avviene in tutto il mondo, in cosa si differenziano i Balcani?

È quanto cercheremo di vedere nelle prossime pagine. Prima però di avviare il cammino, possiamo già fare una sosta. L’angolo visuale scelto non è di poco conto. Si pensi alle letture che […] ricercano la fonte dei fenomeni violenti balcanici nei caratteri psicologici oppure nelle tradizioni culturali di quelle popolazioni. Più in generale ancora, la violenza, quand’è balcanica, sembra sempre anormale, abnorme, apparentemente collocandosi, proprio per via di quel suo anomalo eccesso, al di fuori della sfera occidentale, che avrebbe preso forma attraverso la costruzione, tra l’altro, di Stati moderni e civili. Rispetto a quella norma, i violenti Balcani sarebbero un’escrescenza purulenta, un sommovimento dal basso, al di fuori dell’ordine imposto dall’alto.

E invece, una buona parte della violenza balcanica è tutt’altro che furore popolare. Non è il passato che torna, ma è il progresso che avanza, è agìta da chi guarda fiducioso al futuro. E si lega proprio alla costruzione degli Stati. Di imperi prima, di Stati nazionali poi.

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OvEst. Risorgimenti a confronto

28/12/2011

di Stefano Petrungaro

Mentre sembra sfumare il dibattito (e l’uso) pubblico del Risorgimento – anche perché dominano la crisi economica e un’altra cronaca politica –, chiudiamo il 2011, anno delle celebrazioni del centocinquantesimo dell’Unità, con un intervento che ragiona sul nazionalismo e il modo in cui la storiografia europea ha in genere affrontato questo tema. Per il nostro sito, Stefano Petrungaro ha ripreso la relazione che ha presentato al convegno “Immaginando l’Italia: la costruzione della nazione” (Zagabria, 10 giugno 2011).

Il problema è questo: ci sono momenti, in cui torna molto utile individuare nettamente i buoni e i cattivi. Gli uni da una parte, gli altri dall’altra. Qualcosa del genere è avvenuto con lo studio dei nazionalismi. Alcuni ritenuti figli dell’Illuminismo e sostanzialmente positivi, altri pesantemente legati alla terra e al sangue ed essenzialmente ritenuti negativi e pericolosi. Francesi e inglesi, neanche a dirlo, si davano degli ottimi voti; i tedeschi, invece, piuttosto complessati e frustrati dopo l’esperienza del nazismo, si interrogavano proprio sulle ragioni storiche di quella tragedia. E gli altri? Gli italiani, ad esempio, da sempre pieni di dubbi e incertezze, lo sono anche in questo ambito.

Il tono ironico serve ad alleggerire quello che altrimenti è un tema assai complesso e dalle profonde implicazioni non solo storiografiche, ma anche politiche. Proverò a illustrarne qualcuna.

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Bandiere. Una lettera a sAm

12/09/2010

di Gustavo Ibarruti

Cara storiAmestre, sono studente erasmus a Ca’ Foscari, e per perfezzionare il mio italiano i comprendere di Mestre (dove abito) e Venezia leggo sul web anche. Scrivo porché leggo nel Gazzettino online: "Domenica festa della Lega, i cittadini: «Tappezziamo Venezia di tricolori». Si ispirano alla donna (sfrattata) che espose la bandiera davanti a Bossi. Sondaggio: è giusto o è una provoccazione?". Scusa la domanda, ma non sono securo di aver inteso correcto, ma il Gazzettino quando chiede se è giusto o se è una provocazzione, se relaziona a) al fatto che la Lega a Roma goberna l’Italia e a Venezia dice de buttar el tricolore nel wc? O ben b) al fatto de esporre la bandiera italiana a Venezia? A mi me pare che la risposta correcta è b. Ma allora il Gazzettino è il giornale del partido de Bossi? Secondamente: perché i partidi de opposizzione in Venezia amano così la bandiera nacionale? Sperando una clarificazione, hola da

Gustavo Ibarruti, Mestre 10 di settembre 2010

Nota della redazione. Abbiamo voluto pubblicare così come ci è arrivato il commento di Gustavo a un articolo che abbiamo pubblicato in giugno. L’articolo del Gazzettino a cui si riferisce si legge a questo indirizzo: http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=118040&sez=NORDEST. Segnaliamo alla curiosità, e forse anche allo stupore, di Gustavo le più recenti dichiarazioni di Bossi, che promettono impieghi ministeriali in tutto il Nord "per i nostri ragazzi". Buon Erasmus e a risentirci!

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