Intervista con Tania Vladova, a cura di Andrea Lanza
Proseguiamo le riflessioni sui conflitti che scoppiano attorno ai monumenti, cominciate su queste pagine anni fa, a proposito della preservazione delle scritte murali fasciste, e riprese di recente con corrispondenze dall’America del Nord e dall’America del Sud. Lo facciamo con un’intervista a Tania Vladova. Nata e cresciuta a Sofia, ora studiosa in Francia, qualche anno fa Tania ha dedicato un articolo al più importante edificio monumentale dell’era comunista nel centro della capitale bulgara – il Mausoleo di Georgi Dimitrov, costruito nel 1949 – e alla sua distruzione avvenuta nel 1999. Con lei, ripercorriamo alcune tappe fondamentali dei dibattiti e dei conflitti che hanno preceduto l’abbattimento del Mausoleo per mettere in luce come la distruzione di un edificio monumentale possa nascondere la difficoltà di fare i conti col passato a causa di un’assenza di prospettive nel presente.
Che cos’era il Mausoleo di Dimitrov?
Iniziamo dalla sua posizione: si trovava nel centro di Sofia, in una zona in cui si concentrano, fra l’altro, resti romani, un’ex moschea quattrocentesca divenuta museo archeologico, un paio di importanti edifici ottocenteschi progettati da architetti austro-ungarici (il palazzo reale e il teatro nazionale) e un paio di edifici di architettura socialista (l’ex sede centrale del partito comunista e la presidenza del consiglio). In una piazza circondata da edifici storici di epoche diverse, il mausoleo si distingueva per il suo colore bianco.