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Mestre

Mestre che cambia. La chiesa ortodossa della comunità moldava in via Circonvallazione

09/10/2022

di Voci fuori luogo

Domenica 16 ottobre, dalle ore 15,30, presso la chiesa ortodossa della Natività della SS. Madre di Dio in via Circonvallazione 50 (Mestre) si terrà l’incontro La città che cambia: la Comunità Moldava fa rivivere uno spazio abbandonato.

L’appuntamento è organizzato in collaborazione tra il gruppo sAm-Voci fuori luogo e la comunità moldava che si riunisce nella chiesa ortodossa della Natività della SS. Madre di Dio, a due passi dal vecchio ospedale Umberto I di Mestre. Scopo dell’incontro è documentare lo stato di degrado in cui si trovavano la chiesa e il luogo – che ha una storia lunga e significativa per la città – e illustrare i lavori fatti dalla comunità moldava per farlo rinascere.

Sono previsti gli interventi di: Svetlana Bitca che presenterà la comunità moldava; Giovanni Bitca e Solomon Vitalie che parleranno della chiesa prima e dopo i lavori di pulizia e di restauro; Claudio Pasqual (storiAmestre) interverrà sulla storia della chiesa dell’ex ospedale e del luogo dove è stata costruita. Introduce e coordina Giovanna Lazzarin (storiAmestre)

L’incontro avviene di domenica pomeriggio per permettere a chi lavora per tutta la settimana di partecipare e prevede anche la visita guidata della chiesa e un successivo incontro conviviale.

Archiviato in:Agenda, Voci fuori luogo Contrassegnato con: area ex ospedale Umberto I, Mestre

Banchi ebraici tra Mestre e Venezia nel tardo medioevo. Pagine da un saggio

25/07/2022

di Reinhold C. Mueller

Riprendiamo alcune pagine da un saggio di Reinhold C. Mueller, autore noto ai lettori e alle lettrici di storiamestre.it. Alla scoperta della presenza ebraica a Mestre, tra Quattrocento e inizio Cinquecento: una lettura per l’estate e un invito a leggere il saggio per intero (vedi nota finale).

Introduzione

Nel suo Itinerario per la terraferma del 1483 il giovane patrizio Marin Sanudo scrive della città murata o «castelo» di Mestre: «Qui sta molti zudei et à una bella sinagoga; et quivi se impegna [cioè, si presta denaro su pegno], perché venitiani non vol hebrei stagi a Veniexia». Giusto un decennio più tardi lo stesso Sanudo scrive che l’ufficio dei Sopraconsoli dei Mercanti 

se impazza […] in vender li pegni al publico incanto a Rialto delli zudei che imprestano a Mestre danari a christiani et qui vendeno, traze il cavedal e l’usura, et il resto salva per colui di chi è il pegno. Et nota una eccellente cosa di Venetia che niun zudio, sotto grandissime pene, puol tegnir banco d’imprestar danari qui a Venezia, ma ben a Mestre.

Forse un altro decennio più in là ma comunque prima della guerra di Cambrai, un trattato francese su Venezia, descrivendo i compiti dello stesso ufficio riporta: «Gli ebrei non abitano in Venezia ma piuttosto in una cittadina che dista circa quattro leghe da Venezia, che si chiama Mestre; è qui dove gli ebrei tengono i banchi e prestano soldi ad usura, ad un tasso del 15%; non possono prendere come garanzia case e terreni ma solo beni mobili». Riassumiamo queste scarne informazioni: gli «zudei» di Mestre erano molti; avevano una sinagoga, giudicata «bella» dal giovane Sanudo (era una «chaxa» di proprietà della famiglia Tron, data in affitto agli ebrei); i banchi di prestito si tenevano a Mestre, dove i gestori potevano chiedere l’interesse del 15% per prestiti su pegno; gli ebrei – o meglio i banchieri ebraici – non dovevano abitare a Venezia1.

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  1. Per l’Itinerario sanudiano vedi ora Itinerario per la Terraferma veneziana, ed. critica e commento a cura di G.M. Varanini, Roma 2014, p. 384. Nel trattato francese si legge, nel contesto della giurisdizione dei Sopraconsoli sugli ebrei: «lesquelz juifz ne demeurent pas à Venise mais ilz demeurent en une petite ville qui est pres Venise environ quatre lieues nommees Mestre, ou ilz tiennent des banques et baillent à usure et prouffit de XV pour cent pour chascun an et ne peuent prendre en gaige fors seullement des biens meubles et non pas biens immeubles», ora in Descripcion ou traicté du gouvernement et régime de la cité et seigneurie de Venise. Venezia vista dalla Francia ai primi del Cinquecento, a cura di Ph. Braunstein e R.C. Mueller, Venezia e Paris 2015, p. 158. Infine, De origine, situ et magistratibus urbis Venetae ovvero La città di Venetia (1493-1530), a cura di A. Caracciolo Aricò, Milano 1980, p. 136 (nella rist. Venezia 2011, p. 128). Nel 1515 gli ebrei banchieri prestavano a Venezia e non più a Mestre; Sanudo quindi aggiorna la sua descrizione scrivendo che un ufficiale tra i quattro Sopraconsoli «atende a vender pegni di banchi di hebrei in Rialto al publico incanto et vadagnano di ditti pegni vendeno a raxon di [tot %, lasciato in bianco]; […] Ancora, sonno zudexi di deferentie si ha con li hebrei banchieri sopra li pegni et farli dar al hebreo il resto di danari l’ha trati di pegno, ‹da›poi cavato il cavedal, l’uxura et le spexe di l’oficio»; ivi, pp. 265-266 (nella rist., pp. 286-287). La «bella sinagoga», proprietà di un ramo della famiglia Tron, fu distrutta nel 1509 e incendiata dall’esercito della lega di Cambrai, come specificano Luca, Marco e Marietta Tron, fu Antonio, nella loro condizione di Decima del 1514: «Sinagoga de’ Zudei in Mestre pagava di fitto ducati 50; quando el campo nostro allozò a Mestre avanti che si recuperasse Padoa fu ruinada, dapoi bruxada per inimixi. Al presente terren vacuo et non si traze de fitto nulla». ASVe [Archivio di Stato, Venezia], Dieci Savi alle Decime, Redecima 1514, b. 57, San Paternian, n. 24. Nel 1538 Luca e Marco Tron scrivono: «Item se ritrovemo aver in Mestre una chaxa che era la sinagoga de’ Zudei; ne soleva pagar ducati cinquanta, ma per la guera pasata furno bruxata dita chaxa, né dapoi è sta’ fabrichata et per alguni ani non abiamo auto algun fito, ma abiamo fato dificultà ché loro non puol aver sinagoga in altro luogo cha in Mestre. Oferendoni redur la chaxa como l’era prima, i qual Zudei pro nu‹n›c hano promeso pagarne el fito, ma ogn’ora i non ne pagase el dito fito, che i ne metese dificultà le Signorie Vostre ne averà a tracer da conto il dito fitto como è iusto» (l’ultimo «como» è ripetuto). Ivi, Redecima 1538, sestiere di S. Polo, b. 99, n. 33 (ringrazio Susan Connell per la segnalazione, Paola Benussi per l’aiuto). Nel 1514 i Tron hanno pur dovuto pagare una minima tassa su quella proprietà distrutta, nel 1538 no. [↩]

Archiviato in:La città invisibile, Reinhold Mueller Contrassegnato con: Mestre, pagine scelte, storia dell'ebraismo in Italia, storia di Venezia, storiografia

Dare il nome alle vie. La nuova toponomastica nel Comune di Venezia (2015-2020)

16/04/2022

di Claudio Pasqual

Il nostro amico e socio Claudio Pasqual passa in rassegna le ventitré nuove intitolazioni di vie, piazze, rotonde, ponti, spazi pubblici deliberate dal Comune di Venezia tra il 2015 e il 2020, periodo che coincide con il primo mandato del sindaco Luigi Brugnaro. Uomini e donne, memorie extralocali e locali, esponenti della politica e del volontariato, dello sport e della vita religiosa, imprenditori e vittime. Con una riflessione sulle possibili motivazioni della giunta e una nota sull’intitolazione di una rotonda a Norma Cossetto.

…toponomastica, una nobile tradizione, e spiace 
vederla ridotta a strumento di propaganda faziosa…

(Alberto Cavaglion, Decontaminare le memorie, Add, Torino 2021, p. 124)

A Luisa e Mario

1. Il geografo Giuseppe Muti, intervistato una volta sull’argomento, ha risposto che “denominare una strada è un’espressione di potere, che perpetua nel paesaggio urbano la memoria di personaggi, date ed eventi giudicati (da chi?) meritevoli di onorificenza pubblica, e produce luoghi della memoria controllando l’infrastruttura simbolica della società”. Diversamente che in passato, nella nostra epoca i nomi delle vie pertengono integralmente alla memoria culturale, comunicano valori, sono veicolo di ideologie – e per questo la loro scelta è spesso fonte di controversie –, sono uno dei modi in cui una comunità – o, più propriamente, la parte che vi esercita il potere – immagina e rappresenta sé stessa. Per questo il peso dell’odonomastica, termine con cui si indica la denominazione di vie e altre aree di circolazione e spazi pubblici (dal greco odòs, strada), non va sottostimato.

L’ambito amministrativo-istituzionale che ho preso in considerazione è il Comune di Venezia, la mia città; le intitolazioni stradali prese in esame sono quelle deliberate dal 2015 al 2020 dalla prima giunta guidata dal sindaco Luigi Brugnaro, a capo di una lista civica – la “lista fucsia” – in coalizione con Forza Italia, la Lega e, dal gennaio 2019, Fratelli d’Italia (nel 2020 Brugnaro ha rivinto le elezioni, sempre con i medesimi partiti, ma non mi occuperò qui delle intitolazioni della seconda giunta del sindaco imprenditore). 

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Archiviato in:Claudio Pasqual, La città invisibile Contrassegnato con: Giorno della memoria, Mestre, Norma Cossetto, odonomastica, toponomastica, Venezia

Da San Miguel alla Cita. Intervista a Rodrigo Díaz, esule cileno in Italia dal 1974 e residente a Marghera dal 1976

01/02/2022

Lorenzo Feltrin intervista Rodrigo Díaz

Nel corso delle sue ricerche su Porto Marghera, Lorenzo Feltrin ha raccolto la storia di vita di Rodrigo Díaz, che nel 1974, pochi mesi dopo il golpe di Pinochet, riuscì a scappare dal Cile e a rifugiarsi in Italia. Tuttora residente a Marghera, alla Cita, è direttore artistico del Festival del Cinema Ibero-Latino Americano di Trieste. Il testo che segue è una breve rielaborazione di due lunghe interviste biografiche realizzate nel 2021. La militanza nell’Unidad Popular e l’11 settembre interrompe il lavoro a pagina 68; mesi di clandestinità e due arresti; l’arrivo a Roma nell’estate del 1974 e per il primo anniversario del golpe è a Mestre; un appartamento in via Galuppi e poi nel 1976 diventa “il primo extracomunitario della Cita”; gli incontri con i compagni a Marghera: ci si capisce peggio in italiano o in dialetto?; il cinema per affrontare “l’incertezza e lo sradicamento dell’esilio”.

Sono nato nel 1950 nella Valle di Colchagua, la terra del vino Carmenère, circa 140 chilometri a sud di Santiago. Mio padre faceva l’autista in un latifondo ma morì quando avevo meno di due anni. Mia madre restò così senza casa né reddito e tornò dai suoi a San Fernando, la capitale provinciale. Ma lì non trovava di che vivere e decise di trasferirsi da una sua sorella a Santiago, nel quartiere di San Miguel, dove sono cresciuto.

San Miguel era un quartiere popolare ma piuttosto misto, c’erano sia povertà che classe media. Fu lì che costruirono il primo monumento a Che Guevara in Cile, che scomparve naturalmente dopo il golpe. E fu lì che si formò la mia coscienza politica. Mia mamma simpatizzava per Salvador Allende dal 1952, da quando lei aveva 23 anni. Già a 13 anni avevo amici militanti e nel liceo mi attivai in prima persona nel Partito Socialista Cileno. Nel 1969, mentre studiavo all’università, cominciai a lavorare nella casa editrice Zig-Zag, che durante l’Unidad Popular passò alla “area sociale dell’economia” e si trasformò in «Quimantú»: si trattava di un progetto volto a “democratizzare il libro”, producendo opere a prezzi politici e distribuendole nei circuiti popolari. Per me fu una scuola, sia per le persone con cui lavorai sia perché mi permise di essere sempre aggiornato sulla politica di quegli anni.

(Immagine tratta da una pagina del sito https://www.antiwarsongs.org/)

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Archiviato in:La città invisibile, Lorenzo Feltrin, Rodrigo Díaz Contrassegnato con: 11 settembre 1973, Cile, Cita, esilio politico, intervista, Marghera, Mestre

Una “quasi capitale” ebraica (dimenticata) della Terraferma veneta. Mestre alla fine del Trecento

21/12/2021

di Renata Segre

Riprendiamo alcune pagine dal libro di Renata Segre, Preludio al ghetto di Venezia. Gli ebrei sotto i dogi (1250-1516), pubblicato qualche giorno fa dalle Edizioni Ca’ Foscari e disponibile online. Nel suo studio l’autrice ricostruisce la storia della presenza ebraica a Venezia prima dell’istituzione del Ghetto nel 1516. Smentendo “il mito” di uno stanziamento di ebrei a Venezia solo dal 1516, Renata Segre documenta come, a partire dalla fine del Trecento, Mestre fosse “centro nevralgico” della comunità ebraica insediata sulla Terraferma veneta. Attorno al castello e in quella che è l’attuale calle del Gambero operavano infatti banchi di prestito feneratizio, e avevano sede una sinagoga, un ostello e un cimitero ebraici. Queste vicende – è il caso di dirlo: di “una città invisibile” – sono ora riportate alla luce da Renata Segre grazie a una ricerca ventennale, e alla documentazione conservata nell’archivio dell’Antica Scuola dei Battuti a Mestre. 

Alla stregua di Treviso, anche Mestre era divenuta città suddita veneziana nel Trecento; alla stessa stregua di Treviso, e dopo Padova, anche a Mestre i toscani (in questo caso, più precisamente, dei fiorentini) avevano dovuto cedere il passo, ritirandosi progressivamente da quell’attività di credito e di esazione dei dazi, di cui erano stati a lungo i protagonisti. Ma dalla nostra angolatura, Mestre, come già evidenziato, spicca per una sua particolarità: durante quasi un secolo e mezzo (almeno fin verso il 1509) fungerà da centro nevralgico – quasi capitale – della comunità ebraica insediata sulla Terraferma veneta1. Associando una posizione geografica di massima prossimità a Venezia al distanziamento per via dell’acqua da navigare, meglio riproduceva, anche plasticamente, lo scarto che Venezia aveva sempre inteso serbare nei confronti di questi infedeli2. Una visione teleologica, e pure teologica, cui non facevano difetto concretezza e lungimiranza: la presenza dei banchi ebraici, e delle attività indotte, sarebbe stata in grado di trasformare Mestre da borgo fortificato a difesa della capitale in una vera città popolosa, prospera e vivace, se Venezia l’avesse sinceramente desiderato.

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  1. In una delibera del 1527 i pregadi vollero condensare la storia di centoquarant’anni di prestito ebraico a Mestre: «Li savii et religiosi progenitori nostri» il 27 agosto 1394 «licenciorno […] li hebrei feneranti da Venezia mandandoli a star a Mestre, ma avendosi sempre sforzato quelli malignamente romper li nostri ordini, fu neccessario metter molte parti, et precipue quelle del 1402, 1496, […] fino al 1508, che la prima volta con sue insoportabil versutie et fraude li furno conduti iterum per questo Conseglio a fenerar qui, et doppoi del 1520, 1523, 1525 sono stati continuamente confirmati per questo Conseglio a fenerar a Venezia, et cristianamente questa cosa è sopra ogni altra admiranda et notanda, che sempre che si ha trattà de remover li hebrei feneranti di Venezia se ha visto li prosperi successi al publico et all’iniunti, et sempre che è stata trattà di condurli a fenerar a Venezia si ha manifestamente visto il contrario» (Archivio di Stato di Venezia [d’ora in poi ASVe], Ufficiali del Cattaver [d’ora in poi Cattaver], b. 1, reg. 2, Capitolare, ff. 126v-128v, 18 marzo 1527; G. Gallicciolli, Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche raccolte da Giambattista Gallicciolli. Libri tre, 8 voll., Venezia 1795, 2, p. 306, § 940). [↩]
  2. Per illustrare la prossimità tra Mestre e Venezia si consideri che nel suo punto più stretto la Terraferma dista 2 leghe e ½ da Venezia, e questa, a sua volta, misura 1 lega per lungo e ½ per largo (Descripcion ou Traicté du gouvernement et regime de la cité et Seigneurie de Venise. Venezia vista dalla Francia ai primi del Cinquecento, a cura di Ph. Braunstein, R.C. Mueller, Venezia-Paris, 2015, p. 88). [↩]

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“Mestre ha un buco nero”. Immagini da un presidio

17/12/2021

a cura di redazione di storiamestre.it, foto di Claudio Pasqual

Sabato 12 dicembre 2021 si è svolta a Mestre una manifestazione promossa dal Comitato ex Umberto I Bene Comune, a cui hanno aderito cittadine, cittadini e associazioni, tra cui storiAmestre. Dopo una prima sosta in via Circonvallazione, il presidio si è spostato all’entrata del vecchio ospedale, davanti al padiglione Cecchini, per concludersi dentro l’attuale parcheggio, in riva al Marzenego. Toccando questi luoghi – definiti il “buco nero” della città – la manifestazione ha voluto protestare per l’abbandono in cui versa l’area, e avanzare richieste per un intervento comunale sui padiglioni storici, che restano pubblici anche dopo la vendita dell’area al gruppo di supermercati Alì, e per la “restituzione del verde pubblico” ai cittadini.

Documentiamo la mattinata con alcune foto scattate dal nostro amico e socio Claudio Pasqual.

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Archiviato in:Claudio Pasqual, La città invisibile, redazione sito sAm Contrassegnato con: manifestazione, Mestre, ospedale

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