di Giannarosa Vivian
La nostra amica e socia Giannarosa Vivian ha letto un classico per questi tempi: La peste di Londra, di Daniel Defoe. Il libro che ha avuto tra le mani è la seconda edizione italiana, del 1942 (La peste di Londra. 1722, traduzione di Elio Vittorini, Bompiani, Milano; la prima edizione era uscita nel 1940).
Quando nel 1665 a Londra scoppiò una terribile pestilenza Daniel Defoe doveva avere all’incirca cinque anni. Quasi sessant’anni dopo, nel 1722, la racconta in un libro (A journal of the plague year) che sta a metà tra il romanzo e il resoconto, scegliendo come voce narrante un sellaio di Whitechapel. Per ripercorrere l’anno infausto dell’epidemia – il suo progressivo dilagare di zona in zona, le decisioni che vennero prese dalle autorità, le conseguenze sociali ed economiche – Defoe si avvale dei documenti dell’epoca, sulla base dei quali riporta con precisione numeri, luoghi, date, nomi. Si capisce però che attinge anche a un’altra grande fonte, cioè ai ricordi mantenuti vivi nel tempo grazie a storie che passano di bocca in bocca, di casa in casa, e che a lui capitò di ascoltare, chissà quante volte e in quante varianti diverse, per tutta la vita. Sono episodi, scene, dialoghi che vengono messi in scena talvolta nella forma classica del copione teatrale.
[Leggi di più…] info“Nell’anno sessantacinque, nostro evo”. Leggere Daniel Defoe in quarantena