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“Pantomima” per entrare. Una cronaca dal concorso straordinario di filosofia e storia (febbraio 2021)

09/04/2021

di Giulio Vallese

Dopo alcuni anni il nostro amico Giulio Vallese torna a mandarci notizie dal mondo della scuola: è ancora precario, ogni anno attende di ricevere una convocazione a settembre o giù di lì, per una supplenza il più possibile lunga. Per rimediare a questa situazione le sta provando tutte, compreso il concorso straordinario per la classe di filosofia e storia che si è svolto venerdì 19 febbraio 2021. Un viaggio in auto fino a Milano, in una regione diversa da quella di residenza del candidato, in tempi di pandemia e zone rosse; una scuola fatiscente; aule allestite come un call-center; password per accedere alle domande; una prova d’esame concepita come una gogna pubblica: quando lo Stato intende mantenerti nella condizione che ti ha assegnato e allo stesso tempo vuole punirti per la condizione che ti ha assegnato.

1. Per fare il viaggio da casa fino a Milano mi sono fatto prestare una macchina. Siamo partiti in due, C. mi accompagna per sollevarmi un po’ dalla noia e dall’ansia del viaggio: partenza alle 8.00 perché io devo essere pronto per la convocazione alle 13.00. Ora ci troviamo nel cortile della scuola che a breve ospiterà il concorso straordinario per i precari. Tutt’intorno il nulla periferico, di fronte a noi una fioriera di cemento annerito – rigorosamente senza fiori – con intorno una grata di metallo verde che fungerebbe da panchina. Fa freddo solo a guardarla. Ha smesso di piovere da poco ed è tutto avvolto da un’umidità gelida e dal grigiore. Rimaniamo in macchina.

Alzando gli occhi oltre il parabrezza, osservo la scuola poco più in là: un edificio di due piani di cemento rosso sbiadito, squadrato e punteggiato al piano superiore da finestrelle. Potrebbe sembrare una caserma o uno di quei palazzi abbandonati della DDR che si potevano vedere ancora una decina di anni fa a Berlino. Il periodo della costruzione dovrebbe essere quello, direi gli anni Settanta. C’è un aspetto che la rende particolarmente lugubre: le facciate sono segnate di metro in metro da certe colonnine, tipo lesene, tutte scrostate, non a livello dell’intonaco ma proprio del cemento. Vicino all’entrata, una pensilina di plastica conduce all’ingresso, tante porte vetrate con gli infissi bianchi, sporchi e sgangherati. Ne ho viste, in questi anni di precariato, ma così… che sia una scuola dismessa?

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“Per fortuna è durata poco”. Due settimane in un istituto professionale del trevigiano

15/08/2019

di Giulio Vallese

Un anno dopo, un nuovo resoconto di un’altra (breve) esperienza di lavoro nel mondo della scuola del nostro amico Giulio Vallese. Applicare tecniche pedagogiche dove tutto è permesso tranne scherzare su presepi e crocefissi; insegnanti “fuori di testa” e insegnanti che devono saper “tenere la classe”; gerarchie tra istituti; precariato o ruolo: cosa conviene?

Il mio primo giorno non riesco nemmeno a entrare in classe. Non ricordo bene se fosse la fine della ricreazione o un semplice cambio dell’ora. Ho scoperto poi che in quella scuola poco importa, è una prassi consolidata, una sorta di quarto d’ora accademico, quello per cui all’università si usava cominciare la lezione ai 15. Nello stretto corridoio che porta all’aula c’è un continuo via vai di ragazzi che discutono, ridacchiano, urlano, cellulare alla mano, auricolare all’orecchio. Li invito a entrare in classe ma appena ne convinco uno a entrare, un altro esce, seguito dalle lamentele del primo che mi sfugge. In un attimo mi ritrovo a fare da spartitraffico. Mentre me ne sto lì sbattuto nella calca dell’ingorgo, riesco a notare alla mia sinistra sull’uscio di un’altra aula alcune ragazze tutte tirate, credo del corso di “moda e design”, che attirano l’attenzione dei ragazzi. Una tizia mora, col caschetto perfetto e trucco apparentemente leggero, se ne sta lì addossata allo stipite, doppio pollice frenetico sul cellulare e lo sguardo che vaga tra lo schermo, le compagne e lo spettacolo circostante. Solo dopo un paio di minuti riesco a farmi largo ed entrare ma, raggiunta la cattedra, mi giro e manca ancora mezza classe. Ritorno quindi sui miei passi, afferro la maniglia e col gesto del vigile invito i ragazzi a entrare. Con tutta calma anche gli ultimi si arrendono.

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Lavoro, non-lavoro e marginalità sociale. Con due esempi dalla Jugoslavia tra le due guerre

07/10/2018

di Stefano Petrungaro

Pubblichiamo il testo della relazione che Stefano Petrungaro ha tenuto al primo incontro del ciclo “Fondata sul lavoro”, che si è tenuto presso la sede di storiAmestre il 26 settembre 2018.

Il dovere di avere un lavoro “normale”

Il punto di partenza di questa riflessione è quel lungo processo storico che nel corso degli ultimi duecento anni ha portato a due sviluppi: al tentativo di definire alcuni lavori “normali”, e altri no; all’imposizione del lavoro come dovere, al fine di ricevere pieni diritti sociali e in parte anche politici (per i “falliti” e chi è in carcere, per esempio, è prevista la sospensione dei diritti politici).

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Dal mystery client al mystery worker? Il sogno di una “inviata dal mondo del lavoro”

29/09/2018

di Miriam Allegretto

La nostra amica Miriam Allegretto è tornata a scriverci dopo alcuni anni per raccontarci alcune sue recenti esperienze nel mondo del lavoro.

1. Il mystery client o mystery shopper è un cliente in incognito assunto da organizzazioni pubbliche o private, attraverso agenzie specializzate nel settore, per testare la qualità del servizio erogato dai propri uffici, punti vendita, ristoranti, hotel… Si tratta di una verifica sulla qualità del servizio che la legislazione fa rientrare nel potere di controllo attribuito al datore di lavoro.

La prima volta che ne sentii parlare fu nel dicembre 2013. In quel periodo mi trovavo in un comune della provincia di Milano, insieme a quelli che sarebbero stati i miei futuri colleghi, per svolgere due settimane di formazione. Da gennaio, infatti, saremmo stati assunti nella sede di un franchising di ristorazione di imminente apertura in provincia di Venezia.

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Fondata sul lavoro. Un ciclo di incontri (autunno 2018)

22/09/2018

di sAm

Come già annunciato, proseguiamo le discussioni inaugurate il 2 giugno scorso, durante la giornata Una volta il futuro era migliore? Lavoro, storia, conflitti (di cui abbiamo pubblicato il discorso introduttivo di Piero Brunello e la relazione di Andrea Lanza), in un ciclo di tre incontri curato da Piero Brunello e Stefano Petrungaro. La formula è quella di una relazione seguita da una discussione libera. Si comincia mercoledì 26 settembre (rel. Stefano Petrungaro), seguiranno gli incontri di mercoledì 24 ottobre (rel. Beatrice Busi e Sabrina Marchetti) e di venerdì 23 novembre (rel. Matteo Melchiorre), sempre alle 17,30 presso la sede di storiAmestre (via Ciardi 41, Zelarino-Mestre).

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«Hai fatto il PEI?». Un anno da insegnante di sostegno in una scuola del padovano

04/09/2018

di Giulio Vallese

Il nostro amico Giulio Vallese, dopo quella con i voucher, ci racconta un’altra sua recente esperienza di lavoro nel mondo della scuola. Un anno come insegnante di sostegno in un grande istituto pubblico della provincia di Padova, chiamato in servizio a settembre dalle graduatorie di “terza fascia”. Spaesamento e adattamento – tra i punti in graduatoria, gli studenti, i colleghi, l’edificio, le riunioni, la burocrazia, le abilitazioni comprate in Romania… – diventando un «funzionario dell’esclusione» immerso nella «retorica dell’inclusione» – come ci ha scritto presentandoci il suo testo.

M. fissa lo schermo del computer. Passa da un video all’altro, dall’hard rock a Tiziano Ferro in base ai suggerimenti dei cookies. Si sofferma su Pretty fly (for a white guy) degli Offspring solo per mandare in loop alcuni passaggi. Lo fa praticamente con tutti i pezzi, è una sorta di ecolalia che impone al mondo. Finito di tormentare la canzone, molla momentaneamente la presa dal mouse e afferra l’altra estremità del “filo”, così chiama una reggetta di plastica bianca che tiene sempre con sé, di quelle che si usano per l’imballaggio delle risme di carta. Con le dita comincia ad arricciarne le estremità, lo porta di fronte agli occhi e come ipnotizzato da quelle contorsioni, scalpita e parte con un lamento insistente. Siamo là, seduti uno affianco all’altro, soli, in un angolo buio di una biblioteca scolastica. All’improvviso, mi viene da piangere.

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