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C’era una volta… un numero. Pensieri guardando i dati relativi all’andamento del Coronavirus nel Veneto

26/04/2020

di Piero Brunello

Appunti sui generi di discorso e soprattutto sui numeri relativi all’epidemia, che rispondono più alla modalità narrativa con cui vengono rilevati e comunicati che alle regole della statistica. I numeri sono quello su cui le autorità pubbliche si basano per adottare le misure che regolano le nostre vite? Allora sarebbe il caso che fossero noti i criteri di rilevazione, che ci fossero protocolli condivisi, e che i dati e il modo in cui sono raccolti fossero discussi, criticati e valutati in pubblico, invece che rispondere a “storie” (“di paura” o “edificanti” a seconda delle circostanze) da raccontare a un pubblico televisivo.

1. Da dopo Pasqua, con i dati relativi a morti e a contagiati in diminuzione, la parola d’ordine è diventata “convivere con il virus”, e così mi trovo a pensare a come sono cambiati il linguaggio e la retorica nella comunicazione pubblica sull’andamento dell’epidemia. 

Non sto riflettendo su come elaborare un lutto, né su come le memorie private saranno in contrasto con quelle pubbliche, secondo quanto accade regolarmente in occasioni di catastrofi che coinvolgono una collettività (siano guerre o eventi naturali). È un tema importantissimo, naturalmente, e per questo avremo bisogno di racconti, di descrizioni e di cronache, trovando parole che aiutino a superare l’annichilimento che comportano cifre calcolate su dimensione planetaria. Quello che mi interessa ora è riflettere su quanto i numeri su cui si basano le decisioni politiche ci facciano capire che cosa è successo e sta succedendo.

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Come un nuovo concetto di “Public History” cambia ruolo e scopo degli studi storici. Il caso delle università inglesi

20/04/2020

di Pietro Di Paola

Il nostro amico Pietro Di Paola, riflettendo sulla sua ormai lunga esperienza di insegnante nelle università inglesi, spiega perché storiAmestre sarebbe una manna per una università inglese, ma anche perché nessuno studioso potrebbe pubblicare nel sito o nei Quaderni di storiAmestre se vuole soddisfare ai requisiti in base ai quali viene misurata oltre che finanziata la ricerca  (“Impact”, “Dissemination”, “Value for money”). Per sopravvivere, l’università deve utilizzare le reti locali e le ricerche esterne all’università, trasferendo i risultati entro un circuito accademico.

Vorrei contribuire alla discussione aperta da Piero Brunello sulla Public History basandomi sulla mia esperienza universitaria in Inghilterra dove lavoro.

“Public History”, come disciplina, ha una sua tradizione, ma non è questo il punto centrale da discutere, mi pare. Quello su cui volevo riflettere invece è su come il concetto di Public History, almeno qui in Inghilterra, si è trasformato negli ultimi anni per rispondere a specifiche esigenze del governo e delle università, fino a trasformare radicalmente il ruolo e lo scopo degli studi storici.

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Eccesso di novità e morte del catalogo. Impressioni di un libraio mentre le librerie sono chiuse

06/04/2020

di Davide Zotto

Il nostro amico e socio Davide Zotto ci manda alcune considerazioni sulle librerie, sulla base della sua esperienza ventennale come dipendente di una grande catena libraria.

Lavoro da venti anni per una libreria appartenente a una grande catena libraria, che in questo momento è chiusa per la quarantena, come tutte le altre. Nel primo periodo di quarantena ho smaltito le ferie pregresse e ora dovrei cassa integrazione, ma il condizionale è d’obbligo in questo momento di confusione. Mi interrogo su cosa mi aspetta dopo, se la mia libreria, come le altre, potrà assorbire il colpo della crisi economica dopo anni di declino che hanno snaturato molte librerie, portandole ad assomigliare a bazar. Si parla già di librai indipendenti che hanno intenzione di gettare la spugna, mentre per quelle di catena si sa che riapriranno in attesa dei conti a fine anno con i bilanci consuntivi. 

Potrebbe esserci anche in questo settore un effetto domino. Come io mi chiedo se ritroverò il mio lavoro, amici si chiedono se ritroveranno le case editrici con cui collaborano.

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Parlare di Istria per il Giorno del ricordo. Dalla presentazione di un libro

15/03/2020

di Claudio Zanlorenzi

Pubblichiamo l’intervento con cui il nostro amico e socio Claudio Zanlorenzi ha introdotto la presentazione del libro di Giorgio Giannini, La tragedia del confine orientale. L’italianizzazione degli Slavi, le foibe, l’esodo giuliano dalmata (2019), che si è tenuta presso la sala municipale di Chirignago il 19 febbraio 2020. L’incontro era organizzato dalla Municipalità Chirignago-Zelarino nell’ambito delle iniziative legate al “Giorno del ricordo”. Con consigli di letture.

“Era Italia”?

A casa mia, quando si parlava di Istria, mio papà diceva: “Era Italia, era veneziana”. Si parlava – si parla ancora – l’istroveneto, è vero, ma ho scoperto poi che la storia e la geografia sono più complesse, e così anche l’Istria. Ho cominciato a capirlo quando in occasione di una ricerca su Ca’ Emiliani a Marghera sono venuto a conoscenza del fatto che lì si trovava il villaggio dei profughi giuliano-dalmati (lo chiamavano le Vaschette, era una serie di palazzoni oggi quasi tutti abbattuti, ne è rimasto uno), e che a Marghera c’era anche la sezione CAI Città di Fiume, con tanto di rivista pubblicata almeno fino agli anni Novanta. Ho capito allora il profondo legame dei profughi con la loro terra, e ho raccolto testimonianze di come i profughi istriani sono stati accolti in malo modo dai portuali a Venezia (bollati di essere fascisti perché fuggiti), e lo stesso era accaduto a Bologna; di come erano visti male perché avevano, in quanto profughi, diritto a una casa e alla precedenza in alcune liste di lavoro. Nelle conversazioni, ho raccolto una profonda amarezza.

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Associazionismo, ricerca storica e public history. Dall’assemblea dei soci del gennaio 2020

13/02/2020

di Piero Brunello

Pubblichiamo una parte dell’intervento tenuto da Piero Brunello, in qualità di presidente uscente di storiAmestre, durante l’assemblea annuale dei soci del 30 gennaio 2020. Il discorso riguardava un bilancio del biennio 2018-2019, si riprende qui la riflessione partita dall’invito ricevuto da storiAmestre di far parte del Comitato scientifico di un Convegno promosso dall’Associazione Italiana di Public History. Il testo è stato rielaborato per l’occasione, aggiungendo informazioni per i lettori che non conoscono l’attività che storiAmestre svolge da più di trent’anni.

JOURDAIN: E quando si parla, che cosa è?

MAESTRO DI FILOSOFIA: Prosa.

JOURDAIN: Come? quando dico: «Nicoletta, portami le pantofole, e dammi il berretto da notte», è prosa?

MAESTRO DI FILOSOFIA: Sì, signore.

JOURDAIN: Per tutti i diavoli! Sono più di quarant’anni che parlo in prosa. Vi sono molto grato di avermi informato.

Alla fine di ottobre ho ricevuto la proposta, allora ero presidente di sAm, di indicare una persona dell’associazione per far parte di un Comitato scientifico di un Convegno promosso dall’Associazione Italiana di Public History presso M9 a Mestre (29 maggio-2 giugno 2020). Nell’associazione non avevamo mai parlato di Public History, e meno ancora sapevamo indicare un nome adatto, perciò, esaminata la cosa nel direttivo, abbiamo declinato l’invito. Però poi, discutendone in una assemblea dei soci, abbiamo pensato che il tema merita un approfondimento, anche per capire se e che cosa abbia a che vedere con la Public History quello che sAm fa da quando è nata, cioè da più di trent’anni. Ecco come l’associazione si presenta nel sito: “L’associazione storiAmestre nasce nel 1988 come spazio di mutuo scambio e di mutuo apprendimento tra storici e storiche, archivisti, insegnanti impegnati nel Movimento di cooperazione educativa, urbanisti provenienti dall’esperienza di Urbanistica democratica. Nel corso degli anni si è occupata di storia locale, di storia delle donne, di storia orale, dell’uso politico della memoria, dell’insegnamento della storia, del rapporto tra storiografia e impegno civile, di archivi e musei cittadini. L’associazione intende riflettere sui più recenti mutamenti urbanistici e ambientali, su come la città si racconta e viene raccontata, e sul rapporto tra luoghi, potere e memoria”. 

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Sulla sorte dell’Antica Posta di Mestre. Una dichiarazione del direttivo di storiAmestre

10/01/2020

di sAm

Quel che resta dell’edificio che viene chiamato l’Antica Posta di Mestre, situato davanti l’approdo delle imbarcazioni che un tempo collegavano la Terraferma con Venezia lungo il Canal Salso in una piazza tuttora nota come Piazza Barche, rischia di essere demolito per far posto, a quanto si legge in notizie di stampa, a un edificio di sette piani a ridosso di un nuovo parcheggio su più livelli. 

Cessata la funzione di Posta che aveva nel periodo della Serenissima, l’edificio ha conosciuto molti rimaneggiamenti: agli inizi del Novecento un garage, dopo la seconda guerra la sede della Fap, azienda di trasporti verso il Veneto orientale, da parecchi decenni in abbandono. Foto recenti ne mostrano lo stato attuale: con il tetto sfondato, e protetto da transenne per ragioni di sicurezza.

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