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inchiesta

La fabbrica nella polvere. Immagini e riflessioni (dicembre 2013-giugno 2014)

06/07/2014

di Walter Cocco

Il nostro amico e socio Walter Cocco nel dicembre 2013 va a vedere lo storico stabilimento Marzotto a Valdagno, scatta alcune foto del complesso industriale semiabbandonato e ora ce le manda con alcune riflessioni e una proposta di ricerca: quali sono le condizioni di lavoro nelle fabbriche Marzotto delocalizzate in Tunisia, in Lituania, in Romania e in Cechia? Esisterà un coordinamento tra i lavoratori e i sindacati di questi diversi paesi?

Se si arriva a Valdagno dal fondovalle e, all’ingresso del paese, si prende la tangenziale esterna che porta verso Recoaro, a un certo punto dall’altra parte del fiume appare il grande storico stabilimento della Manifattura Lane Marzotto. Da un po’ di tempo l’immagine è desolante. I moltissimi vetri rotti della facciata fronte strada dell’opificio riflettono una sensazione di disuso, di abbandono. A dire il vero, guardando l’ingresso dello stabilimento, la pensilina e la portineria mantengono ancora un decoro e i fasti da Grand Hotel, ma si non vede più il fluire di migliaia di lavoratori come un tempo e solo una parte degli uffici e dei reparti è ancora utilizzato, il resto è vuoto.

  

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Recuperare fossati. Dal primo seminario Acque alte 2013

11/03/2013

di Massimo Bonella e Fabrizio Zabeo

Nel corso degli incontri su «Acque alte a Mestre e dintorni» organizzati da storiAmestre a novembre 2009 e febbraio 2010, Francesco Vallerani aveva sostenuto la proposta di adottare un fosso dimostrando l’utilità pratica di quella che chiamava «l’infinita varietà dei microinterventi idraulici», contro l’ideologia devastante delle grandi opere. Nel primo degli incontri su Fiumi fossi canali. Storie di ieri e di oggi per progettare il futuro appena tenutosi a Mestre (9 marzo 2013), Fabrizio Zabeo, del Comitato allagati di Favaro Veneto, documenta le condizioni di un tratto di una settantina di metri lungo via Altinia tra Favaro e Dese, dimostrando la grande utilità del ripristino di un fosso ai fini di evitare il ripetersi di futuri allagamenti come quelli avvenuti negli ultimi anni.

Il video è stato prodotto (e già pubblicato) da Pianeta Oggi Tv, sito di notizie online. 

 

Archiviato in:Acque alte a Mestre e dintorni, Fabrizio Zabeo, Massimo Bonella Contrassegnato con: inchiesta, intervento

Ritrovare un libro per caso, in una biblioteca comunale. “Gli impiegati” di Siegfried Kracauer

28/12/2012

di Enrico Zanette

Il nostro amico Enrico Zanette racconta la sua lettura de “Gli impiegati”, un’inchiesta nella Berlino degli anni Trenta firmata da Siegfried Kracauer e diventata un classico.

«Linguaggio, abiti, gesti e fisionomie si uniformano, e il risultato del processo è appunto quell’aspetto gradevole che può essere riprodotto su vasta scala, con l’aiuto della fotografia […]. La corsa ai numerosi istituti di bellezza è anche determinata da una preoccupazione per la propria esistenza, l’uso dei cosmetici non è sempre un lusso. Per paura di essere dichiarati fuori uso come merce invecchiata le signore e i signori si tingono i capelli, e i quarantenni praticano lo sport per mantenersi snelli. Come devo fare per diventare bello? è il titolo di un opuscolo che è stato recentemente lanciato, e che secondo la pubblicità apparsa sui giornali insegna i mezzi “con cui apparire giovani e belli subito e a lungo”. La moda e l’economia collaborano l’una con l’altra. È vero che la maggior parte delle persone non è in grado di andare da un medico specializzato. Diventano le vittime di ciarlatani, oppure sono costretti ad accontentarsi di preparati che sono altrettanto a buon mercato che problematici. Nel loro interesse il menzionato deputato dottor Moses lotta da qualche tempo in parlamento, per inserire nell’assicurazione sociale anche la cura delle deformità. La giovane Comunità lavorativa dei medici tedeschi che operano nel campo cosmetico ha fatto propria questa legittima esigenza» (S. Kracauer, Gli impiegati, Torino, Einaudi, 1980, pp. 21-22). [Leggi di più…] infoRitrovare un libro per caso, in una biblioteca comunale. “Gli impiegati” di Siegfried Kracauer

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L’armata perduta di Cambise. Per un’inchiesta sui bellunesi emigrati a Mestre e Marghera

19/10/2012

di Giovanni (Franco) Colle

Pubblichiamo la trascrizione dell’intervista che, qualche anno fa, Maria Giovanna Lazzarin ha fatto a Giovanni (Franco) Colle a proposito di un progetto di inchiesta. La ricerca non è ancora mai cominciata; chissà, potrebbe essere questa l'occasione per farla partire.

Quest’intervista racconta quanto sia difficile cercare le tracce di persone che se ne sono andate dai loro paesi dintorno Belluno per andare a lavorare nelle fabbriche di Marghera e, come per l’armata di Cambise perduta nel deserto, indirettamente chiede se c’è qualcuno che, leggendo, possa aiutare nella ricerca. (M.G.L.)

Giovanni Colle. La mia idea è nata dal fatto che una volta, nel 1975-76, sono stato invitato ad andare a un’assemblea indetta dai sindacati a Marghera, perché volevano fare il punto della situazione dei tecnici sia nel pubblico che nell’industria privata. Quando sono arrivato là mi son trovato seduto a fianco a delle persone che ho scoperto essere di Belluno e dintorni, i quali lavoravano in queste fabbriche – adesso non ne ricordo neanche più i nomi – e che vedevano in pericolo, se non il posto di lavoro, il loro posto di tecnici che avevano un ruolo negli organigrammi delle imprese. A dir la verità mi meravigliai un po’ perché pensavo che le industrie di Marghera fossero inaffondabili e invece mi si disse che ormai cominciavano a tagliare sui costi, sui costi del personale e, come succede abbastanza spesso, sul costo del personale intermedio. Feci delle domande e mi dissero che erano venuti via da Belluno, dai paesi dintorno Belluno per trovarsi un lavoro e addirittura qualcuno mi disse che i genitori avevano perso il lavoro, se non ricordo male, al Mas alle Roe e in cambio gli avevano dato il posto a Marghera che avevano accettato pensando che a Marghera comunque avrebbero avuto posti di lavoro inaffondabili. Per cui mi venne in mente che quando ero ragazzo c’era un trenino che collegava Bribano con Agordo, c’era l’industria delle miniere ad Agordo e anche al Mas alle Roe, c’era un indotto o addirittura la succursale delle industrie di Marghera, saran stati Montedison, Sicedison, non so come chiamavano allora queste industrie che trattavano pirite e altri minerali e avranno assunto personale sul posto e quando hanno chiuso bottega, probabilmente perché non erano più convenienti, queste persone sono state spostate a Marghera e i loro figli avevano proseguito la carriera a Marghera.

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Camminare. Pagine da un Quaderno di sAm

07/05/2012

di Matteo Melchiorre

Fra qualche giorno, sarà Matteo Melchiorre inaugurare la nuova iniziativa di storiAmestre: “Spunti-ni” storici. In vista di questo incontro che, lo ricordiamo avrà luogo il 10 maggio, alle 17,30 presso la sede del Centro di documentazione sulla città contemporanea, riprendiamo sul sito un altro intervento di Melchiorre, pubblicato nel Quaderno numero 4, Andare a vedere, dedicato all’inchiesta, al reportage e al resoconto.

Qui il tema […] è il camminare come metodo, o pretesto, d’inchiesta. Il che si regge sull’assioma secondo il quale, camminando, si può fare inchiesta: osservare, ascoltare, decifrare segni, notare cambiamenti, incontrare persone, praticare tagli nelle vedute. Ciò comporta un elogio del camminare, che indubbiamente va fatto. 

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4. Andare a vedere

27/06/2006

Inchiesta, reportage, resoconto

Atti della giornata di studio organizzata da storiAmestre ed Etam-Animazione di comunità e territorio (Mestre, 19 novembre 2004)

a cura di Maria Luciana Granzotto e Claudio Pasqual

con interventi di Goffredo Fofi, Luca Pes, Vittorio Rieser, Matteo Melchiorre, Lina Zecchi, Maria Turchetto, Piero Brunello, Bruna Bianchi, Nadia Caldieri

estate 2006, 112 pp., 8 euro

"Stiamo diventando animali senza orientamento, senza naso, senza antenne. Cominciamo a fare fatica a capire ciò che è realmente reale e ciò che ci viene messo davanti come tale. La realtà è sempre più una costruzione artificiale. E questo può sembrare abbastanza ovvio. Il fatto nuovo è che la realtà-ambiente nella quale siamo immersi non è più tanto, come mezzo secolo fa, il prodotto del lavoro, ma è il risultato della produzione delle immagini. Non siamo più veramente convinti che l'ambiente sia reale e non virtuale. Perchè allora occuparsene? Forse, dice il nostro inconscio, se spengo il telecomando questa piazza, questa periferia, queste facce che ho davanti spariscono…! Ho l'impressione che il potere (non è un mito, esiste!) abbia bisogno di addestrare sempre più questa labilità: ciò che esiste deve essere percepito come "libero" e possibile, virtuale e opzionale, non necessario e cogente. Così i caratteri di necessità e cogenza che erano i caratteri di qualsiasi fenomeno reale, si indeboliscono, si fanno sbiaditi, fluttuano."

Alfonso Berardinelli, Sull'utilità di descrivere ciò che si vede,

"Altrochemestre. Documentazione e storia del tempo presente", 2 (1994), pp. 22-25.

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Archiviato in:Bruna Bianchi, Claudio Pasqual, Goffredo Fofi, Lina Zecchi, Luca Pes, Maria Luciana Granzotto, Maria Turchetto, Matteo Melchiorre, Nadia Caldieri, Piero Brunello, Quaderni, Vittorio Rieser Contrassegnato con: inchiesta, storiografia

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