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Gran Bretagna

Gran Bretagna e classi sociali. Una lettura

14/09/2019

di Lucio Sponza

Il nostro amico e socio Lucio Sponza, che a lungo ha lavorato e vissuto in Inghilterra, ci ha mandato la sua lettura di un libro recente della storica Selina Todd dedicato alla “ascesa e caduta della working class”. Con uno sguardo alla crisi sociale e politica attualmente in corso in Gran Bretagna.

1. Gli inglesi sono ossessionati dal concetto e dalla realtà delle classi sociali. La cosa non sorprende se si pensa che buona parte della ricchezza fondiaria, immobiliare e finanziaria è nelle mani della stessa aristocrazia da circa mille anni al vertice dello Stato. Le differenze di classe si manifestano, oltre che negli aspetti materiali e socio-culturali, anche nella lingua. Non è un caso che il “perfetto” inglese sia indicato come “Upper-class English” o addirittura come “Queen’s English”.

La classe, e la classe lavoratrice (working class) in particolare, sono state oggetto di riflessione e di analisi da parte di storici, sociologi, politici e scrittori di questo paese fin dalla metà del XIX secolo. Dato poi che il mondo contadino è diventato del tutto marginale già alla fine di quel secolo, è sulla working class operaia che l’attenzione si è concentrata.

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Intorno a un ciclo di film inglesi all’Ateneo Veneto. Febbraio-giugno 2019

13/04/2019

di Lucio Sponza

Il nostro socio e amico Lucio Sponza ha organizzato la visione di un ciclo di film inglesi presso l’Ateneo Veneto di Venezia (appuntamento il sabato mattina). Gli abbiamo chiesto di presentarcene il programma. Ecco che cosa ci ha risposto.

In febbraio ho cominciato a presentare una serie di film inglesi all’Ateneo Veneto di Venezia, dei matinée (orario 9,30-11,30) nell’ambito del programma di Incontri di lingua e cultura inglesi 2019. Sono nove pellicole risalenti al primo quindicennio del secondo dopoguerra, che mi interessano particolarmente: hanno una narrativa semplice (queste proiezioni sono anche strumento di osservazioni linguistiche), ma allo stesso tempo ricca di significati, non ultimi quelli che mettono in rilievo pregi e difetti degli inglesi e più in generale dei britannici.

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Dai bagni e dai salari alla pace e al disarmo. Autobiografie di donne proletarie

07/03/2018

di Virginia Woolf

Nel 1931 la Lega cooperativa delle donne (Co-operative Women’s Guild), fondata a Londra nel 1883, pubblicò alcune autobiografie di donne proletarie inglesi. Era un progetto che risaliva a molti anni prima, a lungo rimandato per molte ragioni, compresa la prima guerra mondiale.

Invitata a scrivere una Prefazione alla raccolta, Virginia Woolf lo fece, vincendo una certa riluttanza, sotto forma di una lettera a Margaret Llewelyn Davies, segretaria della Lega. Vi rievocava un congresso della Lega del 1913, a cui aveva assistito, e una discussione avvenuta qualche mese dopo presso l’ufficio centrale dell’organizzazione, dove per la prima volta aveva potuto vedere le lettere che alcune donne avevano indirizzato alla Lega, raccontando le proprie vite. In quei testi trovò “qualcosa della minuziosità e della chiarezza di una descrizione di Defoe”.

Dopo aver affrontato il tema dei rapporti tra donne borghesi e proletarie, Virginia Woolf osservava che quelle autobiografie, scritte “in cucina, nei ritagli di tempo libero, in mezzo a ogni sorta di distrazioni e ostacoli” rappresentavano un documento della “stupefacente vitalità dello spirito umano”, di quella “innata energia che nessuna sequela di parti e di bucati era riuscita a spegnere”.

Lettera introduttiva a Margaret Llewelyn Davies

Quando mi chiese una prefazione per una raccolta da lei curata di lettere di donne proletarie, le risposi che avrei preferito annegare piuttosto che scrivere una prefazione a qualsiasi libro del genere. Il mio ragionamento – e credo si tratti di un ragionamento corretto – era che i libri debbono reggersi sulle proprie gambe: se hanno bisogno di essere puntellati da una prefazione di qua e da introduzione di là, non hanno diritto di esistere più di un tavolino che non stia dritto se non gli si infila un pezzo di carta sotto una gamba. Ma lei mi lasciò quelle lettere e sfogliandole mi accorsi che in questo caso il mio ragionamento non funzionava: questo libro non è un libro. Voltando le pagine, cominciai a chiedermi: che cos’è allora questo libro, se non è un libro? Quali qualità possiede? Quali idee fa venire in mente? Quali antichi ragionamenti e ricordi suscita in me? E poiché tutto ciò non aveva nulla a che fare con una introduzione e una prefazione, bensì mi riportava alla memoria lei e talune immagini del passato, ho allungato la mano per prendere un foglio di carta e ho scritto questa lettera, che è diretta non al pubblico, ma a lei.

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