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fascismo

La Ghirlanda fiorentina. Una lettura

17/06/2014

di Pergentino Burdizzo

Si allarga la cerchia degli amici che leggono per noi: Pergentino Burdizzo ci scrive a proposito del recente libro di Luciano Mecacci dedicato alla ricostruzione dei moventi e dei mandanti dell’omicidio del filosofo Giovanni Gentile, ucciso a Firenze il 15 aprile 1944. Non una recensione, ci scrive Burdizzo, ma “un condensato delle note a margine” suscitate dalla lettura. Vista la lunghezza del testo, ne presentiamo qui di seguito solo una parte; per scaricare il testo integrale, cliccare qui.

In questo volume che Luciano Mecacci ha dedicato all’uccisione di Gentile e al contesto in cui è avvenuta (La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, Adelphi, Milano 2014), le allegazioni prodotte sono colluvie. Agli specialisti il compito di sceverare il nuovo dal noto. Il lavoro da fare è molto, trattandosi di venire a capo di 520 pagine, ma per fortuna gli specialisti del tema sono numerosi. La bibliografia ragionata che Mecacci, con lodevolissimo scrupolo, offre in coda al suo studio occupa ventuno pagine fitte in corpo minuto. Il tema insomma non si presta a randonnées di principianti. La consegna è quella dei due di piantone al tempio di Sarastro: zurück a chiunque osi avvicinarsi sprovvisto di lasciapassare. Intimazione che ho sentito benissimo, salvo che gli appunti che seguono, caro amico, non sono mica una recensione, ma giusto un condensato degli appunti scritti a margine.

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Archiviato in:Letture, Pergentino Burdizzo Contrassegnato con: anticomunismo, antifascismo, comunismo, fascismo, Firenze, Giovanni Gentile, Resistenza, seconda guerra mondiale, storiografia

“Aiutarli a casa sua”. Un inusuale uso pubblico della Resistenza

29/03/2014

di Plinio Vecchiato

Il nostro amico Plinio Vecchiato ci coinvolge di nuovo in una sua lettura: un articolo pubblicato dal “Gazzettino”, edizione di Treviso, il 25 marzo 2014.

A pagina 3 dell’edizione del 25 marzo 2014 del “Gazzettino di Treviso” ho letto una dichiarazione del presidente della provincia di Treviso Leonardo Muraro che mi ha entusiasmato. Si parla di quaranta profughi africani, somali malesi e ivoriani, che pare saranno ospitati nella Marca. Il nostro esprime, ça va sans dire, contrarietà all’ipotesi, ma argomentando in maniera del tutto nuova:

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Archiviato in:Letture, Plinio Vecchiato Contrassegnato con: 25 aprile, antifascismo, fascismo, leghismo, Resistenza, uso pubblico della storia

Roncade dal neolitico agli anni Ottanta. Una lettura d’occasione

11/01/2014

di Plinio Vecchiato

Il nostro amico Plinio Vecchiato ha voluto renderci partecipi della recente lettura di un libro sulla storia di Roncade uscito nel 1991.

Per motivi del tutto indipendenti dalla mia volontà mi è toccato di sciropparmi La comunità roncadese nella sua storia, cultura e religione di Mario Andreazza (The courier, Firenze 1991). È un libro di quelli soliti che parte col fortunoso ritrovamento degli antichissimi manufatti in selce risalenti al neolitico e finisce con lo sviluppo dei mobilifici negli anni Ottanta, passando per l’urna cineraria di un signore venetico che di nome faceva Votunca, l’antico cardo e decumano, le vie di comunicazione di Annio Rufo («il pulsare di quella importantissima arteria significò calore e vita anche a qualche distanza dal nastro stradale»), il monastero benedettino, l’antico castello che però è una villa essendo «le mura costrutte ed ordinate per la comodità di una laboriosa fattoria o per una amena villeggiatura più che per la difesa dagli assalti», l’antica chiesa che sorge sulle antiche vestigia di un sacrario paleoqualcosa, gli illustri personaggi, le belle lavanderine, gli onesti artigiani che fanno gli antichi mestieri e i frugali contadini «d’indole rozza ma buona» guidati «dalla vigile opera dei parroci che condividono la situazione dei loro fedeli e li spronano al rispetto degli ideali cristiani ed alla venerazione verso l’autorità ricordando altresì che essa è a servizio del popolo»; e ancora, per venire al contemporaneo, i 234 «suoi [di Roncade] figli» morti nella prima («contributo alla Vittoria» e «sacrificio alla Patria»), quelli morti nella seconda, parte di qua e parte di là («fratelli divisi da rancori politici, interessi, e visioni distorte della vera salvezza della comunità civile»), il referendum del 2 giugno (perdono i monarchici, ma di un niente), l’elenco dei parroci, dei cappellani, delle suore, dei sindaci, delle giunte, cenni di demografia, note di araldica toponomastica e fonetica, lazzi e proverbi, curiosità varie tipo i semplici giuochi dei fanciulli d’un tempo e i mangiari delle feste, per finire con il coro, l’Avis, l’Aido e l’Associazione Veterani Calcio che dal 1977 crea «una rete di iniziative atte a cimentare la vera amicizia» e «cura con particolare attenzione, con coraggiosa disponibilità e sacrificio, la Sagra di San Giacomo» che si svolge in «una atmosfera di serena allegria» a differenza delle celebrazioni per la madonna dell’otto settembre che «un tempo avevano tutto il sapore paesano» mentre adesso «sono divenute forse un po’ sofisticate nella ricerca di una impostazione attuale che si compendia nella Pro Loco» (io ci sono stato, una volta, alla festa della madonna e ho avuto precisa quell’impressione lì: bello, per carità, ma sophisticated che mai coi sagrari unisoni in fitta schiera a fare i balli di gruppo).

L’autore del libro, laureato in storia a Firenze con Giovanni Spadolini relatore, era un prete di Roncade, di quelli paternalisti, l’importanza dello sport nel forgiare la gioventù, le pie donne al vespro, trevisani nel mondo, la Vita del Popolo… Parrebbe anche un filino fascista, d’altra parte se è vero che purtroppo a Roncade «il fascismo ostacola l’attività dell’azione cattolica» è vero anche che «durante il lungo periodo fascista la nostra comunità roncadese non ebbe a soffrire angherie, respirava la cultura e l’ideologia impartita nelle scuole, diffusa nella stampa, in un atteggiamento passivo, obbligato, ma comunque vivibile quotidianamente».

Questo pezzo qua secondo me è fenomenale. L’antefatto è che nel luglio 44 i partigiani uccidono il commissario politico di Roncade Raimondo Speranzon e due Menon da Roncade.

«Commosso il tributo del paese ai funerali, imponente la manifestazione, e serie minacce di vendetta; infatti si volevano impiccare due partigiani al passaggio del corteo funebre ma L’Arciprete e lo stesso Luigi Menon si opposero: furono infatti fucilati nei fossati del cimitero, privi di ogni assistenza religiosa».

Mi è piaciuto un sacco, specie dall’infatti in poi: L’Arciprete, il buon pastore, vedendo il gregge incline al capitale vizio dell’ira fu fermo nel riportare tutti alla ragione della pietà cristiana: non siamo mica bestie che pichiamo i tusi per strada mentre è in corso la religiosa funzione! Si coppino i tusi, ma con modestia, tirandogli piano con lo s’cioppo nel fosso del cimitero che peraltro viene anche comoda la traslazione.

Archiviato in:Letture, Plinio Vecchiato Contrassegnato con: antifascismo, clerico-fascismo, fascismo

La BBC “in bianco” e “in nero”. La propaganda britannica per l’Italia nella seconda guerra mondiale

18/12/2013

di Lucio Sponza

Pubblichiamo il testo dell’intervento che Lucio Sponza ha tenuto in occasione del terzo “spunti-no storico” di storiAmestre, edizione autunno 2013. Vista la sua lunghezza, ne presentiamo qui di seguito solo il primo paragrafo e la nota archivistica-bibliografica; chi volesse leggere il testo integrale, può scaricarlo in formato pdf cliccando qui.

Saranno tre, invece di due, le modalità della propaganda e la terza possiamo chiamarla “in grigio”, per rimanere nei termini cromatici del titolo. La prima, quella arcinota, è costituita dalle trasmissioni di Radio Londra; la seconda, quella “in nero”, è la propaganda clandestina; la terza, quella che utilizzava i prigionieri di guerra italiani sia come mezzo che come fine della propaganda (in “grigio-verde”?).

Radio Londra

La prima trasmissione in italiano fu effettuata dalla BBC (British Broadcasting Corporation) alla fine di settembre del 1938, subito dopo l’incontro a Monaco di Baviera dei “quattro grandi”. Non era un privilegio dell’Italia: furono iniziate anche trasmissioni per la Germania e per la Francia, nelle rispettive lingue. Che fosse coinvolta anche la Francia suggerisce che questi programmi non avessero tanto scopi di propaganda quanto di informazione. (Sul rapporto tra propaganda e informazione non è qui il caso di intrattenerci). 

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A proposito del restauro di scritte fasciste

04/01/2013

di Ruggero Zanin

Sul tema aperto da Claudio Zanlorenzi e proseguito da Anna Di Qual, riceviamo e pubblichiamo un intervento di Ruggero Zanin.

La questione del recupero delle scritte fasciste dà la possibilità di avviare un dibattito, a mio avviso, molto interessante. Personalmente mi sono posto la seguente domanda: “Perché mai ho approvato e apprezzato il recupero delle scritte fasciste a Forte Mezzacapo e mi trovo invece a essere contrario alla scelta analoga fatta nel paese di Sutrio?”.

Conoscendo bene chi ha deciso il restauro delle scritte di Forte Mezzacapo, sono stato chiaramente condizionato anche dalla conoscenza delle sue buone intenzioni. Ma questo, evidentemente, non costituisce un criterio oggettivo di giudizio, che invece dovrebbe fondarsi su elementi di valutazione e parametri verificabili. Provo allora ad abbozzare tre elementi di valutazione che mi sembrano particolarmente rilevanti. [Leggi di più…] infoA proposito del restauro di scritte fasciste

Archiviato in:La città invisibile, Ruggero Zanin Contrassegnato con: ANPI, fascismo, forte Mezzacapo, intervento, restauro, scritte fasciste, Sutrio (Udine)

Un restauro o un falso storico? Notizie da Sutrio (Udine)

22/12/2012

di Anna Di Qual

Torniamo sul tema aperto da Claudio Zanlorenzi sulle scritte di forte Mezzacapo a Mestre. Anna Di Qual abita a Sutrio, un paese in provincia di Udine che – ci racconta la nostra corrispondente – conserva alcune scritte fasciste, ma nel 1944 fu parte del territorio della repubblica partigiana della Carnia. Fu anche luogo di un eccidio commesso da soldati delle SS e della RSI. Vicino a dove ogni anno si commemora quel tragico fatto, un committente privato fa restaurare, con sovvenzioni della Regione, una scritta fascista quasi illeggibile sul muro di una vecchia segheria che dovrà diventare un museo. “Mio padre è tornato da Dachau che pesava quaranta chili e ora si vede quella scritta lì”, dice chi non dimentica. Ma la cronaca di Anna Di Qual riflette anche sul gesto del restauro e sulla filologia. La cancellatura non è anch’essa un segno storico da restaurare? e un restauro che sposta più in alto sul muro di un edificio una scritta e allarga la fascia bianca in cui è inserita, si può chiamare ancora restauro?

Una presenza silenziosa e lontana

Le ho sempre notate le scritte fasciste sui muri del mio paese, Sutrio (Carnia, in provincia di Udine). Non mi hanno mai dato fastidio: così sbiadite le percepivo come la testimonianza di un passato storico lontano. La retorica del regime che ci stava dietro mi sembrava non potesse aver presa; a volte ci ridevo su. Mi chiedevo come la gente avesse potuto credere e riconoscersi in quegli slogan. Alcuni anni fa le avevo fotografate – erano quattro, superstiti solo parzialmente – per “salvarle” da una perdita che pensavo inevitabile, con l’idea di fare prima o poi una piccola ricerca. Mai però avevo ragionato sul loro restauro, fino a una riflessione di Suan.

[Leggi di più…] infoUn restauro o un falso storico? Notizie da Sutrio (Udine)

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