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cronaca

Vigilante del piano formativo. Una supplenza in DAD capovolta

07/12/2021

di Giulio Vallese

Una nuova cronaca del nostro inviato nel mondo della scuola, ora insegnante vincitore di concorso straordinario, ma ancora non in ruolo. Questa volta un caso singolare di “classe capovolta”, per parafrasare una delle espressioni del gergo scolastico di oggi. A proposito, mentre i giornali riferiscono le ultime idee del Governo in carica in termini di innovazione della pedagogia e dei contenuti disciplinari, ecco alcuni spunti per pensare alla figura dell’insegnante “tutor”.

Ho una supplenza. Che rogna, è in una sede diversa da quella in cui sarei dovuto andare per il resto della giornata, il che mi obbliga a fare molta più strada nel traffico del mattino per poi dovermi spostare nell’altra sede dove non si trova mai parcheggio. Preso dal fastidio, mi accorgo solo dopo della singolare dicitura in corsivo vicino al nome del collega da sostituire: «classe in presenza, docente in DAD». Che significa? Se non ricordo male, le nuove regole prevedono che se un insegnante si trova in quarantena fiduciaria è tenuto a fare lezione collegandosi da casa. Una specie di DAD capovolta con gli studenti a scuola e il professore a casa? E io, come sostituto, che devo fare? In teoria il collega è presente, quindi chi sostituisco? Di solito le supplenze consistono nel fare sorveglianza alla classe in modo che non succeda niente di pericoloso e i ragazzi facciano qualcosa di sensato, studino, ripassino, facciano esercizi… al limite si riesce pure a fare due parole, ma in questo caso, che devo fare? 

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“No farmers, no food”. Chi manifesta a Toronto per i contadini del Punjab (dicembre 2020)

19/12/2020

di Andrea Lanza

Il nostro amico e corrispondente da Toronto si trova a seguire per caso una manifestazione che si svolge nel centro della capitale dell’Ontario e scopre una mobilitazione in corso nel Punjab. Si torna a un tema che abbiamo già incrociato con le recenti letture del libro di Marco D’Eramo: liberalizzazione è un eufemismo della nuova lingua, sta per incremento dello sfruttamento e dell’oppressione a favore delle grandi multinazionali, con il sostegno degli Stati. Tanti piccoli gruppi, sparsi per il mondo, dichiarano che questo mondo non è ovvio né inevitabile.

1. Martedì 1 dicembre ho finito la mia lezione online verso le quattro, con il solito senso di frustrazione per la stentata interazione virtuale con gli studenti. Dal basso provengono incessanti suoni di clacson e un confuso vociare. È diverso dalla voce enfatica, amplificata dalle casse portatili, del predicatore di strada che spesso si mette all’incrocio qui sotto, ventisei piani più in basso, per esortare la gente a ravvedersi. Mi affaccio: c’è una lunghissima colonna di veicoli che tendono a bloccare il traffico. Dai finestrini e dai tettucci spuntano braccia, teste, cartelli e qualche bandiera. Non sono in grado di decifrare i segni. 

Questi cortei motorizzati non sono eccezionali a Toronto. Dicono qualcosa su dove abitano i manifestanti: gli infiniti sobborghi della classe media, da cui ci si muove quasi solo in macchina. Difficile invece capire a colpo sicuro il senso della loro protesta. Diverse settimane fa, per esempio, mi era capitato di veder passare un’infinita fila di veicoli clacsonanti scendere su uno degli assi principali della città, verso Dundas Square: erano armeni che denunciavano la guerra in Nagorno-Karabakh.

Per via di alcuni grossi pickup scuri, mi convinco che in questo caso sia un corteo di quel crogiuolo piuttosto eterogeno che ho già visto concentrarsi nella vicina Dundas Square, la piccola Times Square torontina, il sabato pomeriggio, per denunciare la dittatura sanitaria, il soffocamento da mascherina e un assortimento vario di complotti. E che inneggia indomito a Trump.

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Dal nostro inviato speciale a Porto Marghera. Per il centenario di Gianni Rodari

23/10/2020

di Gianni Rodari

Ricordiamo Gianni Rodari nel centenario della sua nascita (Omegna, 23 ottobre 1920) ripubblicando la cronaca che scrisse, come inviato speciale dell’Unità, all’indomani della sparatoria della polizia sugli operai della Breda, nel marzo 1950.  

(Dal nostro inviato speciale) Venezia, 15 [marzo]. – Sul cancello del Cantiere Breda – una pesante lastra di lamiera grigia – e sui muri rotti della portineria, gli operai hanno contornato con un piccolo cerchio di gesso i segni lasciati dai proiettili della polizia. Vi sono scrostature in alto, sopra la porta riservata all’ingresso delle maestranze maschili (gli impiegati e le donne entrano da altre porte); e c’è una fitta gragnuola di tracce in basso, ad altezza d’uomo: all’altezza del capo di Virgilio Scala, dell’addome di Nerone Piccolo, della gamba di Vittorio Motta, i tre operai che sono stati raggiunti dai colpi di arma da fuoco. Altri tre sono stati colpiti coi calci dei fucili e solo le radiografie potranno rivelare le eventuali lesioni interne o fugarne il timore.

Celerini e carabinieri hanno sparato in basso le loro raffiche micidiali. A Venezia come a Modena, come a Melissa, la polizia ha mirato all’uomo, ha sparato per uccidere. Sino a questo momento sembra che non ci sia riuscita: i due feriti gravi, Scala e Piccolo, pur permanendo in condizioni difficilissime, hanno passato una notte abbastanza calma.

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Archiviato in:Gianni Rodari, La città invisibile, Quaderni Contrassegnato con: anniversari, cronaca, Mirella Vedovetto, Porto Marghera, storia del movimento operaio

20 settembre 1870. Notizie da Roma

20/09/2020

di Edmondo De Amicis e Ferdinand Gregorovius

Per il centocinquantesimo, abbiamo deciso di far caso anche all’anniversario della breccia di Porta Pia, interpellando due testimoni dell’epoca: Edmondo De Amicis, che entrò a Roma con l’esercito italiano, in qualità di ufficiale e di giornalista militare; e lo storico prussiano Ferdinand Gregorovius, che si era stabilito a Roma nel 1852, decidendo di intraprendere studi sulla Roma medievale. Mentre per De Amicis gli eventi si svolgono sotto lo sguardo di Marco Aurelio, cioè della Storia, per Gregorovius al contrario il 20 settembre è la fine della Storia che aveva reso grande la città. Con una nota finale.

1. Edmondo De Amicis, Il tricolore nelle mani di Marc’Aurelio

Il Campidoglio è ancora occupato dagli squadriglieri e dagli zuavi.

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La viabilità Brendole-Gazzera-Castellana e la salvaguardia dell’area di Rio Cimetto. Cronache dell’estate 2020 

12/09/2020

di Renzo Rivis e Giorgio Sarto

Continuiamo a documentare l’impegno per la salvaguardia dell’area dei meandri del Rio Cimetto all’interno del progetto del Parco Fluviale del Marzenego. Mentre fervono lavori (anche a ridosso della tangenziale) e inaugurazioni in fase pre-elettorale, ribadiamo le richieste avanzate con la Petizione firmata da 614 cittadine e cittadini e sostenuta da 21 associazioni, in vista di una viabilità Brendole-Gazzera-Castellana alternativa al progetto attuale, che conservi e valorizzi una preziosa area ambientale.

La vicenda delle attività e delle iniziative per la salvaguardia della preziosa area che comprende i meandri del Rio Cimetto, che abbiamo presentato su questo sito in marzo e in giugno, ha avuto un nuovo passaggio l’8 luglio 2020, con la riunione tra alcuni dei promotori e firmatari della Petizione per la realizzazione del Parco del Marzenego e l’Amministrazione Comunale, nella persona dell’Assessore Renato Boraso. Come è avvenuto per le cronache e resoconti precedenti, riportiamo qui i contenuti della riunione per la trasparenza e pubblicità che caratterizza tutta la iniziativa dal basso per il Parco Fluviale del Marzenego.

Meandri Rio Cimetto, anno 2007

Meandri Rio Cimetto, anno 2020

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Una catena umana alle Zattere. Parole, immagini e impressioni (13 giugno 2020)

03/07/2020

di Carlo Cappellari

Il nostro amico e socio Carlo Cappellari ci ha fatto avere alcune sue note e immagini dalla manifestazione, sotto forma di catena umana, organizzata a Venezia sabato 13 giugno, con lo slogan “Venezia fu-turistica”: “contro la monocultura turistica, per la residenza, l’ambiente, il lavoro e i diritti”.

Quando si è saputo della catena umana alle Zattere c’è voluto poco a decidere che non si poteva mancare. Sarà stato il fatto che finalmente ci si poteva incontrare all’aperto con tanti amici persi di vista per più di tre mesi, sarà stato per quel “Venezia fu-turistica” che prometteva performance se non futuriste almeno artistiche. A scoraggiare la partecipazione vi era solo il ricordo del torrido sabato 8 giugno dell’anno precedente, data della manifestazione “No grandi navi”.

Questa volta, anche per le disposizioni ancora in vigore, la manifestazione ha preso la forma di una catena umana: si sarebbe rimasti fermi a tenere ben in vista striscioni, cartelli che, secondo le indicazioni dell’organizzazione avrebbero svolto la funzione di “distanziatori sociali” fra le/i partecipanti. 

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