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Cita

Da San Miguel alla Cita. Intervista a Rodrigo Díaz, esule cileno in Italia dal 1974 e residente a Marghera dal 1976

01/02/2022

Lorenzo Feltrin intervista Rodrigo Díaz

Nel corso delle sue ricerche su Porto Marghera, Lorenzo Feltrin ha raccolto la storia di vita di Rodrigo Díaz, che nel 1974, pochi mesi dopo il golpe di Pinochet, riuscì a scappare dal Cile e a rifugiarsi in Italia. Tuttora residente a Marghera, alla Cita, è direttore artistico del Festival del Cinema Ibero-Latino Americano di Trieste. Il testo che segue è una breve rielaborazione di due lunghe interviste biografiche realizzate nel 2021. La militanza nell’Unidad Popular e l’11 settembre interrompe il lavoro a pagina 68; mesi di clandestinità e due arresti; l’arrivo a Roma nell’estate del 1974 e per il primo anniversario del golpe è a Mestre; un appartamento in via Galuppi e poi nel 1976 diventa “il primo extracomunitario della Cita”; gli incontri con i compagni a Marghera: ci si capisce peggio in italiano o in dialetto?; il cinema per affrontare “l’incertezza e lo sradicamento dell’esilio”.

Sono nato nel 1950 nella Valle di Colchagua, la terra del vino Carmenère, circa 140 chilometri a sud di Santiago. Mio padre faceva l’autista in un latifondo ma morì quando avevo meno di due anni. Mia madre restò così senza casa né reddito e tornò dai suoi a San Fernando, la capitale provinciale. Ma lì non trovava di che vivere e decise di trasferirsi da una sua sorella a Santiago, nel quartiere di San Miguel, dove sono cresciuto.

San Miguel era un quartiere popolare ma piuttosto misto, c’erano sia povertà che classe media. Fu lì che costruirono il primo monumento a Che Guevara in Cile, che scomparve naturalmente dopo il golpe. E fu lì che si formò la mia coscienza politica. Mia mamma simpatizzava per Salvador Allende dal 1952, da quando lei aveva 23 anni. Già a 13 anni avevo amici militanti e nel liceo mi attivai in prima persona nel Partito Socialista Cileno. Nel 1969, mentre studiavo all’università, cominciai a lavorare nella casa editrice Zig-Zag, che durante l’Unidad Popular passò alla “area sociale dell’economia” e si trasformò in «Quimantú»: si trattava di un progetto volto a “democratizzare il libro”, producendo opere a prezzi politici e distribuendole nei circuiti popolari. Per me fu una scuola, sia per le persone con cui lavorai sia perché mi permise di essere sempre aggiornato sulla politica di quegli anni.

(Immagine tratta da una pagina del sito https://www.antiwarsongs.org/)

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«Mi piace vivere alla Cita»

07/10/2007

di Emilia Parpagiola

Una insegnante descrive il condominio in cui abita dal 1984 e racconta alcuni aspetti della convivenza tra vicini alla Cita, un quartiere di Marghera costruito tra gli anni Sessanta e Settanta che periodicamente ha avuto cattiva reputazione ma che da lontano sembra il castello di Windsor .

Il condominio e il quartiere

Dal 1984 abito a Marghera, in un appartamento del condominio "Borromini", alla Cita. Vivo volentieri in un quartiere di 2000 abitanti che offre vari servizi: dalla scuola materna alla scuola di danza, dal medico al laboratorio di analisi e alla farmacia, dalle poste all’ipermercato e a molti negozi di vario tipo. Credo che la stragrande maggioranza dei proprietari dei 300 appartamenti originariamente privati delle “torri” della Cita condividano questa opinione. Ciò è dimostrato dalla “fedeltà abitativa” dovuta anche alla felice posizione del quartiere: vicino alla stazione ferroviaria, al centro di Mestre, all’autostrada e alle principali reti stradali del Veneto, e a Venezia raggiungibile in 10 minuti con il treno, con i frequenti autobus e, fra poco, con il tram.

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