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case

«Mi piace vivere alla Cita»

07/10/2007

di Emilia Parpagiola

Una insegnante descrive il condominio in cui abita dal 1984 e racconta alcuni aspetti della convivenza tra vicini alla Cita, un quartiere di Marghera costruito tra gli anni Sessanta e Settanta che periodicamente ha avuto cattiva reputazione ma che da lontano sembra il castello di Windsor .

Il condominio e il quartiere

Dal 1984 abito a Marghera, in un appartamento del condominio "Borromini", alla Cita. Vivo volentieri in un quartiere di 2000 abitanti che offre vari servizi: dalla scuola materna alla scuola di danza, dal medico al laboratorio di analisi e alla farmacia, dalle poste all’ipermercato e a molti negozi di vario tipo. Credo che la stragrande maggioranza dei proprietari dei 300 appartamenti originariamente privati delle “torri” della Cita condividano questa opinione. Ciò è dimostrato dalla “fedeltà abitativa” dovuta anche alla felice posizione del quartiere: vicino alla stazione ferroviaria, al centro di Mestre, all’autostrada e alle principali reti stradali del Veneto, e a Venezia raggiungibile in 10 minuti con il treno, con i frequenti autobus e, fra poco, con il tram.

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Archiviato in:Emilia Parpagiola, La città invisibile Contrassegnato con: case, Cita, descrizione, intervento, Marghera

Casette operaie

07/09/2006

di Claudio Zanlorenzi

Quelli che seguono sono brani tratti da Claudio Zanlorenzi, Casette operaie. un esempio di autocostruzione a Zelarino (1957-1963), appendice a Vittorio Roi Beretta, Fare ordine nella città metropolitana. Mestre, Spinea, terraferma e il progetto di terza zona industriale (1950-1970), Cierre, Verona 2002, pp. 128-158, con mappe e fotografie. La ricerca di Zanlorenzi è frutto di tre interviste fatte nel maggio 1999.

Silvano faceva il manovale da qualche anno. Aveva trovato lavoro in un cantiere dopo qualche tempo che faceva trasporti col carro e cavallo. Chiese se assumevano e passò sotto impresa. Quest’ultima era la ICCEM. Fare case era il suo lavoro ma non aveva esperienza. In questo ambiente trovò le persone che gli diedero un aiuto per “buttare su a casa”. Un suo capo venne un giorno a impostare i lavori di scavo delle fondamenta e delle mura portanti. Di sera, dopo il lavoro, Silvano “tirava su muri” da solo. Di sabato pomeriggio e di domenica i colleghi davano una mano. Un parente in bicicletta da Campalto gli portò un rotolo di filo spinato per recintare in modo approssimativo l’area e “par armare i muri con un poco de fèro”.

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Archiviato in:Claudio Zanlorenzi, La città invisibile Contrassegnato con: case, intervista, pagine scelte, ricordi, Zelarino

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