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A spasso per una zona artigianale – II. 19 aprile 2007

20/04/2007

di Mirella Vedovetto

1. Dal 2002 a oggi, la zona artigianale di Mogliano Veneto, in cui vivo, ha subito vari cambiamenti.

La prima descrizione (cfr. A spasso per una zona artigianale) che ne avevo fatto terminava con le ipotesi di cosa avrebbero costruito nello spazio antistante casa mia. Era infatti impossibile pensare che quell’area sarebbe rimasta inutilizzata. Non ci è andata male, hanno creato un agility dog, ossia una palestra per cani con attrezzi di legno: ponti, scivoli, travi, e l’hanno recintato. Sempre meglio che un altro capannone. Le lezioni si tengono il sabato pomeriggio, lo si capisce perché è un continuo abbaiare dei cani dei vicini, rinchiusi nei loro giardini, che sentono nell’aria la presenza di loro simili poco distanti.

Ma questa è una trasformazione che quasi non si nota, tranne per la rete che hanno alzato tutto intorno.

Lasciandosi sulla destra la palestra per cani, e guardando a sinistra, si nota che qualcosa nell’orizzonte invece è cambiato, in modo evidente. Un palo altissimo: un ripetitore messo su dalla Telecom.

Non è l’unica cosa a innalzarsi oltre i tetti dei capannoni, da un anno a questa parte ci sono anche molte gru.

L’estate scorsa hanno dato inizio a nuovi lavori di costruzione che stanno ora per essere completati. Quando sono cominciati gli scavi, ci si chiedeva cosa avrebbero costruito, nessuna persona cui domandavo lo sapeva, poi ha iniziato a circolare la voce che avrebbero fatto un centro commerciale. La voce era fondata. Lo testimoniò, poco dopo, un cartellone in prossimità del cantiere, che riproduceva quel che sarebbe stato il risultato a fine lavori. La prima volta che ho visto quell’immagine l’ho trovata inquietante; la sensazione mi rimane ancora oggi.

In questo caso non c’entrano paesaggi da preservare per la loro bellezza o valore storico, è solo difficile pensare che dove c’era una strada che correva dritta ci sarà un insieme di cemento e vetro che sorge proprio nel mezzo e modifica tutte le vie; un altro centro commerciale, a pochi chilometri di distanza da quelli a Marcon, Mestre e Scorzè; un altro supermercato quando prendendo la bicicletta se ne raggiungono comodamente più d’uno, se non bastassero i panifici, le macellerie e i fruttivendoli della zona, gli stessi da sempre.

 

Pochi mesi prima dell’inizio dei lavori, per conto di mio cognato, mi ero informata presso il comune di Mogliano per sapere se era possibile aprire una paninoteca-birreria in uno dei capannoni che affittavano e mi era stato risposto che in quella zona non erano previste licenze per attività commerciali, o comunque non strettamente legate al mondo del lavoro, come per esempio poteva essere una mensa.

2. Non appena le ruspe iniziarono a scavare, furono create due rotonde, una dopo l’altra, nel giro di un paio di settimane.

 

 Le due foto sopra, le ho scattata ad agosto 2006 e oggi ne ho scattate altre, tra cui quella sotto.

 

 

I lavori sono proseguiti con continuità, tranne un momento di arresto dopo che avevano scavato le fondamenta: hanno dovuto svuotare la voragine da tutta l’acqua, che continuava a uscire, e hanno impiegato varie settimane. Non saprei dire quante.

Una sera, verso le 11, tornavo a casa in bicicletta, e a 500 metri dalla zona in cui c’era il cantiere ho cominciato a sentire un rumore forte, continuo, non capivo cosa fosse. Fatta la curva ho visto più di dieci betoniere incolonnate, tutte con i fanali accesi, tutte che ruotavano e gocciolavano acqua. Mi sono avvicinata ai lavori e c’erano uomini che lavoravano nella voragine, le betoniere buttavano cemento, tutto intorno era illuminato a giorno da fari e il rumore era continuo. Bastava andare poco più in là per trovare di nuovo buio; il rumore invece, anche se attutito, continuavo a sentirlo fin dentro casa.

I muri, da quel momento, sono venuti su in fretta.

Oltre alle rotonde, la viabilità è stata modificata anche chiudendo una strada. Non so se la riapriranno – spero di sì perché era comoda per raggiungere la stazione in auto: si evitava un po’ di traffico.

I lavori infatti arrivano fino all’imboccatura di quella via, e sovrastano una casa che si trova sull’incrocio e che in questa foto è poco visibile perché nascosta dall’albero che cresce nel giardino.

 La strada che prima passava dritta, parallela a questa abitazione, ora aggira tutto intorno il futuro centro commerciale. E chi passa può già leggersi sui cartelloni appesi alle pareti le pubblicità dei negozi di prossima apertura.

 

 

Un’altra strada verrà costruita poco distante e andrà a sbucare su quella che aggira i lavori. La terra è stata battuta, manca ora l’asfalto.

 

 

Oggi, approfittando di avere la macchina fotografica in mano per questo giro di foto, mi sono soffermata ancora a osservare il paesaggio che mi circonda. Ho visto capannoni incastrati con case, e ora questo centro commerciale che si incastona tra altri capannoni e altre case.

 

 

 

Non ci sono più spazi vuoti, ma questo l’avevo scritto anche l’ultima volta e forse qualcun altro ancora se ne inventeranno. Gli spiazzi che sono rimasti, come i parcheggi, sono stati sbarrati con blocchi di cemento che non fanno passare le roulotte dei rom.

 

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Camminando fuori porta. Vicenza, 17 febbraio 2007

02/04/2007

di Mirella Vedovetto

Le manifestazioni per la pace cui ho partecipato sono quattro. Tre a Roma, un paio d’anni fa o forse più. A due avevo preso parte perché mi trovavo già lì per altri motivi. Il 17 febbraio sono andata a Vicenza. Non avevo aspettative sull’esito della manifestazione, più che altro il desiderio di “far numero”, sentirmi per un momento vicina a chi da mesi resiste per un’altra Vicenza, manifestare contro la guerra e altro. Avevo cominciato a scrivere con l’idea di raccontare al mio compagno  come era andata la giornata. Alla fine sono riuscita a mettere insieme solo frammenti.

***

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A spasso per una zona artigianale

09/09/2006

di Mirella Vedovetto

È domenica mattina, oggi il tempo è sereno ma fino a ieri pioveva. Mi trovo all’inizio di un tratto di via Galilei, nella zona artigianale di Mogliano Veneto, accanto a dove abito da 23 anni, cioè da sempre. Sono qui da più di un’ora e la zona è deserta, solo un’auto è passata: il padre insegnava al figlio a guidare. Ora una ragazza porta il cane a passeggio e cammina in mezzo alla strada. Io sono da sola e fingo di passeggiare.

Molto silenzio al di là del continuo cinguettio e di qualche cane che abbaia: oggi non si lavora. Sullo sfondo alti tralicci della corrente e qualche gru. Mi guardo intorno e tutto mi fa venire in mente gli aggettivi “geometrico” e “squadrato”, colore grigio. La zona è attraversata da due strade parallele e altre due perpendicolari a queste. Nello spazio delineato da questi incroci ci sono capannoni tutti in fila, alti poco meno di una casa a due piani. Si notano a prima vista quelli costruiti più di recente: molte vetrate, colori pastello, alcuni hanno anche un giardino curato. Mia mamma, anche lei vive qui da una vita, in genere fa molta fatica a collocare nel tempo i suoi ricordi ma in questo caso sa di preciso quando hanno cominciato a costruire questa zona artigianale: “è stato quando hanno sequestrato Moro”, mi dice. “E prima?”. “Tutti campi, e solo una strada di terra e sassi che portava a Mogliano”.

Adesso c’è l’asfalto, quasi nessun cartello stradale, se non quello delle vie. Sulla strada creata più di recente, in seguito all’ampliamento della zona, erano anche state tracciate le linee bianche per dividere le carreggiate, ma nel giro di un anno si sono sbiadite e non si notano più. I marciapiedi sono dissestati, crepati dall’erba che spunta, sgretolati in molti punti, con buche. In questi sono state ricavate delle specie di aiole d’erba, che si intervallano con l’asfalto in corrispondenza dei cancelli elettronici delle fabbriche. Lungo le strade è sporco: tappi di bottiglie, fazzoletti di carta, sacchetti di merendine, lattine, mozziconi e pacchetti vuoti di sigarette, preservativi usati, sassolini, sabbia, foglie secche. I cancelli sono elettronici, scorrevoli, soltanto uno è chiuso con una grossa catena, con appeso un cartello di divieto d’accesso, sugli altri, invece, divieti di sosta e passo carrabile, altri cartelli non molto grandi portano il nome della ditta. Non per tutte è facile capire cosa producano: ma per lo più sono fabbriche di metallurgia, elettronica, vetrerie, una stireria, una carrozzeria…

Mi soffermo a guardare il giardino di un “laboratorio elettronico di assemblaggio tradizionale”: uno steccato di legno sta intorno a un prato all’inglese e una pozza, a mo’ di laghetto, due abeti, e galline. C’è anche un cane e proprio perché abbaiava tanto forte quando passavo con il mio non mi ero mai riuscita ad avvicinare al suo recinto, ma qui è tutto un abbaiare quando vado a fare il “giro delle fabbriche” col cane. Fare il giro delle fabbriche” è un’espressione che fa parte del mio vocabolario familiare: indica la passeggiata che si va a fare lì intorno. Mia sorella, per tenersi in forma, ogni sera lo faceva pure di corsa. Molte ipotesi su quanto fosse lungo: mia mamma alla fine lo percorse in auto e il contachilometri aveva indicato non ricordo più se un chilometro o poco più. Oggi è la prima volta che faccio il giro guardandomi intorno: mi viene in mente che da bambini si andava a giocare in questi capannoni ancora in costruzione, quando non c’erano i muratori che ci lavoravano.

L’unico spazio in cui non si è ancora costruito è di fronte a casa mia: sull’altra sponda della Peseggiana. Mio papà, operaio a Marghera, ci aveva fatto un orto, anche se la terra non era di nostra proprietà, in realtà non si sapeva bene di chi fosse (del comune? del consorzio Dese?). Oggi ci sono varie ipotesi sul futuro di quel terreno: chi dice che ci faranno un canile o un luogo per addestrare cani, chi un parco con scivoli e altalene, chi capannoni.

Continuo la mia passeggiata. In tre casi di fronte alla fabbrica il proprietario si è costruito anche la casa, queste abitazioni si confondono bene con la geometria e i colori dei capannoni. Non stonano nemmeno le due centraline elettriche all’inizio e alla fine di questa via: s’innalzino in piccoli quadrati d’erba, e qualcuno ci ha scritto con lo spray in nero “gioventù nazionale” e in rosso “falce e martello” e “hasta la victoria siempre”. Il giorno dopo, lunedì, alle 9,30 circa prendo l’ombrello e torno a fare il giro: c’è molto più rumore, quello del motore del furgone che raccoglie le immondizie, suoni metallici di lamiere che rimbombano; passa qualche automobile, solo una si ferma e parcheggia a lato della strada tra una fila di utilitarie, qualche furgone e piccolo camion fanno manovre. Se si ascolta si capisce che all’interno dei capannoni c’è gente che lavora; rispetto a ieri ci sono più auto parcheggiate, ma, come ieri, nessuno a piedi.

Marzo 2002

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