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calcio

Stadio d’eccezione. A proposito di Daspo

13/02/2011

di Lorenzo Contucci, a cura di redazione sito sAm

Nell’ultimo punto del loro articolo di qualche giorno fa, Filippo Benfante e Piero Brunello ricordavano che, dopo le manifestazioni studentesche del 14 dicembre 2010, ministero degli Interni e governo avevano lanciato l’idea di estendere l’applicabilità del “Daspo” (il “Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive”) alle manifestazioni politiche e sindacali. Dopo qualche giorno di polemiche, non se n’è più sentito parlare.

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Treni, Italia. Fermate impreviste, oppure no

05/02/2011

di Filippo Benfante e Piero Brunello

Gestire l’ordine pubblico: treni, binari morti e stazioni fantasma.

1. Tra le notizie legate allo sciopero dei metalmeccanici lanciato dalla Fiom e allo sciopero generale proclamato dai Cobas il 28 gennaio 2011, c’è quella di un gruppo – alcune centinaia di persone “tra studenti, precari e rappresentanti dei centri sociali” – che, partito da Roma in treno intorno alle 7,30, per raggiungere la manifestazione prevista a Cassino, è stato bloccato nella piccola stazione intermedia di Colleferro. Le ferrovie hanno dichiarato di aver fermato il convoglio perché i manifestanti stavano viaggiando senza biglietto. Alcuni studenti hanno replicato che a Roma la Digos che li scortava aveva detto che potevano salire senza. Per protesta, poco prima delle 10, i manifestanti hanno bloccato i binari; per questo, secondo la questura, “saranno tutti denunciati”.

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Che figata sarebbe, il prossimo anno. Pisa-Unione, 3 Giugno 2007

06/06/2007

di Matteo Di Lucca

Prologo

Pisa dista 300 Km. La partita sarà trasmessa in diretta su Raitre per il Veneto. L’1-1 dell’andata non promette nulla di buono visto che l’Unione è costretta a vincere all’Arena Garibaldi per andare in finale play-off. Euri da spendere. Ha piovuto per tutta la settimana. La Vale ha tutte le ragioni per essere titubante.

Mercoledì decidiamo di andare a Piazzale Roma e comprare i biglietti. Certe partite non si possono vedere a casa davanti alla televisione perdendosi l’odore dell’erba appena tagliata, il frastuono degli spalti, i volti e le espressioni delle persone che ti stanno accanto, la condivisione di gioia e dispiaceri, la visione dalla curva che ti regala una prospettiva diversa ma personale.

1. Partiamo in macchina verso le undici del mattino. Fermandoci a fare rifornimento al primo autogrill dopo Padova vediamo passare i quattro pullman organizzati dai ragazzi di “A sostegno di un ideale” scortati da due volanti della polizia. Quando li raggiungiamo e sorpassiamo in autostrada la Vale li saluta con la sciarpa fuori dal finestrino. Il viaggio è tranquillo, lungo ma senza intoppi. Ci fermiamo per prendere qualcosa da mangiare all’autogrill prima dell’uscita di Pisa Nord dove incontriamo altri tifosi unionisti che come noi hanno deciso di fare una trasferta “cani sciolti” in macchina.

Entrati in città veniamo sorpassati dal pullman della squadra di casa preceduto da una volante della polizia a sirene spiegate e seguito da una decina di persone in motorino che sventolano le bandiere pisane. Decidiamo allora di seguire il pullman ma ci accorgiamo subito che ci stiamo infilando verso la curva pisana. Retromarcia veloce e richiesta di aiuto ad alcuni poliziotti che ci indirizzano verso la curva ospite. Le indicazioni però risultano errate e dopo aver sbagliato nuovamente strada ed essere circondati da una marea di tifosi di casa riusciamo finalmente a trovare il parcheggio per i tifosi ospiti. Per fortuna che la macchina della Vale è targata Forlì!

Il luogo del parcheggio si rivela essere l’intera strada che avevamo percorso in precedenza e che ora è stata interamente chiusa al traffico per le macchine dei tifosi ospiti. La strada fiancheggia le mura della città vicine a piazza dei Miracoli e alzando gli occhi sopra di esse riesco a scorgere la torre pendente. Insieme ad altri tifosi ci avviamo verso la curva e una volta arrivati all’ingresso ci accorgiamo che i pullman organizzati dei nostri non sono ancora arrivati. Dopo aver parlato con un tifoso dello Spezia, acerrimo nemico dei pisani che seguirà con noi la partita, decidiamo di entrare in anticipo per vedere il riscaldamento della squadra. Lo stadio è molto bello sullo stile di quello di Firenze, senza pista e con solo un breve tratto di erba che distanzia la porta dalla curva. 

2. La curva pisana è già piena, ribolle di entusiasmo e con una serie di cori ci fa notare che siamo “quattro gatti”. Effettivamente la nostra curva è ancora vuota. In mancanza dei gruppi organizzati saremo in una cinquantina e l’età media è piuttosto alta. Tra gli altri in curva vediamo e scambiamo quattro parole con la signora che salutiamo sempre al Penzo. La squadra nel frattempo è già entrata in campo e i pochi presenti la salutano cercando di incitare i giocatori che si scaldano a pochi metri da noi. 

Mentre osservo i giocatori per capire la formazione, dai cancelli d’ingresso della curva si sentono delle urla. Mi alzo e mi accorgo che sono arrivati i gruppi della Curva Sud. Circa un centinaio di persone, molte teste rasate e molti con la maglietta nera con scritta “Vecchi Ultrà”. Una volta passato il cancello si radunano all’ingresso del tunnel che porta alla curva. Poi escono tutti insieme urlando “Pisano pezzo di merda”. Alcuni di loro si lanciano verso il settore dei distinti, occupato dai pisani, per insultarli. Altri appendono al vetro di plexiglass due tricolori. Non si capisce dove vogliono stare, e a ogni loro movimento io e la Vale ci spostiamo dalla parte opposta. Poi decidono di fermarsi in basso al centro della curva. Finalmente arrivano anche i ragazzi del “settore”, circa trecento, colorati di arancioverde e festanti. Entrano alla spicciolata, uno alla volta, e poi si sistemano senza esitazioni nella porzione della curva più vicina alla tribuna. Alcuni ragazzi attaccano al plexigrass due bandieroni arancioverdi. Una volta raggruppati in maniera compatta il capocoro inizia subito a chiamare i cori per incitare la squadra che sta ultimando il riscaldamento. Si susseguono: “Noi ci crediamo / ragazzi noi ci crediamo”, “Noi tifiamo Veneziamestre” e poi un bel “Pope”. Osservo la reazione ai nostri cori dei gruppi della Curva Sud: stanno zitti e vedo solo un gruppetto di loro che, alzando il braccio a modo di saluto fascista, canta qualcosa contro i pisani. Nel frattempo entrano in curva anche i presidenti del Venezia che hanno deciso di guardare la partita insieme ai tifosi. Se ne stanno in disparte in alto dalla parte opposta alla nostra.

3. Man mano che si avvicina il fischio d’inizio l’atmosfera diventa sempre più elettrica e anche la curva pisana incomincia a farsi sentire. All’uscita in campo delle squadre noi intoniamo ancora “Pope” mentre la curva di casa è tutto uno sventolio di bandiere rosse con lo stemma della città. Poi dalla curva pisana si alza un boato frastornante e tutti simultaneamente lanciano pezzi di carta colorando la curva di bianco come se fosse esploso un fuoco d’artificio. L’inizio del nostro tifo è splendido: tutti urlano a squarciagola cercando di sostenere la squadra, che nei primi cinque minuti è pressata e rischia subito di prendere un gol: un colpo di testa ravvicinato parato d’istinto da Aprea. I due gruppi nella nostra curva in sostanza si ignorano, anche se nei diversi cori si percepisce una certa rivalità. Loro scandiscono “Vincere”, mentre noi “Noi vogliamo questa vittoria”. Quando noi intoniamo “A sostegno di un ideale”, loro intonano “Noi siamo la curva Sud”. Mentre loro incentrano i cori sull’insulto verso i pisani, noi continuiamo solo a incitare il più possibile l’Unione. 

Sul campo la squadra ha incominciato a macinare il suo consueto gioco, crea occasioni e dimostra una certa superiorità tecnica. Verso il ventesimo, Collauto batte un calcio d’angolo a rientrare direttamente verso la porta. Il portiere del Pisa smanaccia la palla proprio sulla linea, un difensore allontana come può di testa la palla che finisce nella zona del dischetto dove c’è Moro: gran tiro al volo che finisce all’incrocio dei pali. La curva esplode in una gioia incredibile. Io mi lancio giù dalla gradinata, scavalco spintonando la gente festante, raggiungo il plexiglass e con gli occhi sbarrati batto sul vetro verso i giocatori che sono venuti a festeggiare verso il settore. Incredulo salgo affannosamente i gradini abbracciando tutti e una volta raggiunta la Vale continuo i festeggiamenti. Sono ancora con la schiena rivolta verso il campo quando improvvisamente sento il boato dello stadio intero, mi giro di scatto e vedo la palla dentro la nostra porta. Non ci posso credere il Pisa ha pareggiato. Impreco, chiedo come è successo, impreco di nuovo. Ho goduto trenta secondi!

4. Il rammarico rimane fino alla fine del primo tempo soprattutto per il fatto che l’Unione ha giocato alla grande. Nell’intervallo accompagno la Vale in bagno, ma non si sa per quale motivo l’unico luogo adibito è unisex, senza porte, con la turca e con uno strato d’acqua in terra che nemmeno a San Marco nelle giornate di acqua alta. La Vale si unisce ad altre ragazze e signore più anziane, ma di un bagno per le donne nemmeno l’ombra. Uno sprovveduto “steward” (è la moda 2007, credo in omaggio a un decreto: l’inserviente dello stadio, adesso porta una pettorina fluorescente con scritto “steward”) cerca di difendersi: “Una volta erano qua, ma adesso…”. Poi inondato dagli insulti delle ragazze inferocite: “Di solito in curva ospiti vengono non più di venti persone e non ci sono ragazze”. La Vale decide di seguire le altre ragazze e fa un tentativo nei bagni putridi. Io risalgo le gradinate a partita già iniziata proprio quando Moro con un tiro rasoterra scheggia il palo a portiere battuto. 

La Vale torna in tempo per cantare e godersi il bel primo quarto d’ora del secondo tempo, quando l’Unione ha quattro occasioni per passare in vantaggio. Come si dice, nel calcio chi sbaglia paga: non ci vuole molto prima che il Pisa ci punisca in contropiede, passando in vantaggio. Sconforto. Ancora di più cinque minuti dopo, quando sullo sviluppo di un calcio d’angolo, il Pisa segna di nuovo. È andata. 

Mi siedo sconsolato ma, quando il capocoro incita il settore a cantare ancora, mi alzo e canto più forte di prima. Si ringrazia la squadra: “Grazie ragazzi”, “Di Costanzo show”, “Lo squadrone ce lo abbiamo noi”, “Noi non ti lasceremo mai”. I gruppi della curva Sud sono ammutoliti mentre noi cantiamo divertendoci incitando talmente la squadra che i pisani non si sentono. Così scatta lo strafottente: “3 a 1 e non cantate/ 3 a 1 e non cantate”.

La partita e la speranza di fare la finale play-off finiscono ma chiamiamo la squadra sotto il settore. I giocatori ci raggiungono sconsolati per il risultato e per non averci dato un’altra grande soddisfazioni. Capitan Collauto e Romondini sono in lacrime. Tutti lanciano le maglie. Paolino Poggi si spoglia completamente e resta a parlare con alcuni ragazzi. Nello Di Costanzo è ancor più rammaricato dopo l’ennesimo “Di Costanzo show”. Si avvicina al settore con gli occhi lucidi poi si allontana con le spalle ingobbite. Un momento fantastico con tutto il settore che ringrazia la squadra per il grande campionato nonostante la sconfitta. 

Epilogo

Dopo aver aspettato una decina di minuti, la polizia apre i cancelli e incominciamo a sfollare. Nessuno è deluso. La maggior parte delle persone, pur rammaricate, sorride consapevoli della grande prestazione della squadra. La colonna di macchine e pullman “unionisti” raggiunge l’autostrada scortata dalla polizia. Nonostante una marea di pisani che insulta e lancia oggetti, tutti tengono bandiere e sciarpe fuori dal finestrino. Nella strada del ritorno, io e la Vale concordiamo che è andata bene così. La serie C resta ancora la realtà giusta per l’Unione; per la società; per le due città che anche in un’occasione così importante si sono dimostrate poco coinvolte; per i ragazzi del “settore” che possono avere ancora un anno da trascorrere “tranquilli”, senza le complicazioni di regolamento che la B avrebbe senz’altro portato, a parte le partite in tutti i giorni della settimana. Poi ci saranno altri due derby con il Padova. Visto che da due anni consecutivi la squadra che vince il campionato di serie C1 festeggia la promozione all’Euganeo, speriamo di giocare il derby all’ultima giornata. Che figata sarebbe festeggiare la promozione a Padova! 

Al prossimo anno.

Archiviato in:La città invisibile, Matteo Di Lucca Contrassegnato con: calcio, cronaca, Unione, Venezia-Mestre

Emozioni. Unione-Pisa, 13 Maggio 2007

16/05/2007

di Matteo di Lucca

L’imponderabile

Come quei film thriller in cui nei primi fotogrammi viene svelato l’omicidio per poi cominciare un lungo flash-back, anche questa cronaca deve iniziare dalla fine. Sono le 16.50, la partita è ancora sullo 0-0 ed è già un pezzo che l’arbitro ha segnalato i minuti di recupero. Romondini viene servito al limite dell’aria e con le ultime forze rimaste scaglia verso la porta un tiro che non sembra irrefrenabile. Il portiere del Pisa si butta sull’angolino alla sua destra, con la mano aperta tocca la palla che però lo scavalca e va in rete. Apoteosi.

1. Oggi si gioca l’ultima partita di campionato e c’è da seguire la partita nostra e delle altre squadre, e fare di continuo conti in classifica. L’Unione spera ancora in una congiuntura astrale che la porti ai play-off; il Pisa può ancora sperare nella promozione diretta. Tra scontri diretti e classifiche avulse, la situazione intricatissima. Per l’Unione una partita da dentro o fuori.

Io e la Vale decidiamo di partire intorno alle 12.30, in anticipo rispetto al solito visto che lo stadio sembra essere tutto esaurito e si prevede un vero e proprio “esodo” di pisani in laguna. La Vale si presenta con l’abbigliamento portafortuna: pantaloni verde militare, maglietta arancione e sciarpa arancioverde (versione estiva: di maglia, fatta a mano da mia mamma) che le copre la fronte raccogliendole i capelli. Visto che aveva portato bene contro il Sassuolo, decidiamo di andare in stazione a Mestre e andare in treno a Venezia. Parcheggiata la macchina vicino all’entrata della stazione (lato Marghera) corro a fare i biglietti. In stazione sembra tutto tranquillo: si vede solo un tifoso con la maglia dell’Unione che pare molto teso, tanto che saliti sul treno nello stesso scompartimento ci accenna un “Ma voi siete tranquilli?”. Scesi dal treno poi si allontana di buona lena esclamando: “Buon pomeriggio”. Io rispondo “Anche a te” e raggiungiamo l’imbarcadero per prendere il vaporetto verso Sant’Elena. 

Anche all’imbarcadero ci sono pochi tifosi dell’Unione mentre ci ritroviamo intorno almeno una ventina di tifosi pisani che chiedono informazioni per raggiungere Sant’Elena. Salgono tutti nel nostro stesso vaporetto e giunti all’imbarcadero di piazzale Roma, colmo di tifosi unionisti, l’equipaggio non fa salire nessuno probabilmente per motivi di ordine pubblico. Immaginatevi le eresie di quelli restati a terra. I “cani sciolti” pisani sono visibilmente alticci e incominciano a farci una serie di domande sulla nostra tifoseria, a dichiarare con sicurezza che vinceranno e andranno dritti in B. Molti portano una maglietta rossa con la croce bianca simbolo di Pisa e con scritto sulla schiena “Per fortuna non sono un livornese”. Alcuni di loro fumano, facendo imbufalire alcune persone sul vaporetto; altri bevono delle bottiglie di birra che una volta finite lanciano in laguna; altri ancora cercano di attaccare bottone le ragazze salite sul vaporetto, direzione Lido per sfruttare la bellissima giornate di sole. Poi tutti insieme intonano un coro della serie “Solo la nebbia / avete solo la nebbia”: peccato che proprio in quel momento stiamo passando davanti a piazza San Marco sotto un sole estivo. Già prima un pisano mi aveva detto con il suo classico accento: “Non sono mai venuto a Venezia, ma mi sembra caruccia”. La Vale parla con loro ma mostra un certo malumore e disgusto soprattutto quando uno di loro cerca di convincerla che l’uomo è superiore alla donna. Il pisano mi guarda perplesso e alla fine esce sconfitto dal duello. Come previsto. A parte questi episodi, il viaggio in vaporetto è tranquillo e giunti a Sant’Elena ci affrettiamo ad entrare allo stadio. 

2. Nei pressi dello stadio sembra tutto tranquillo. Ci sono molte più forze dell’ordine del solito, una parte in tenuta antisommossa. Raggiungendo l’ingresso dei distinti, scorgo, attraverso i varchi della curva Sud, che la Nord opposta è già colma di pisani. Entrati nel settore distinti il colpo d’occhio è straordinario e mi ricorda gli anni in cui l’Unione partecipava a campionati più importanti e lo stadio era sempre pieno. Mi accorgo subito che i pisani non occupano solo la curva Nord ma anche il terzo dei distinti più vicino alla curva ospite e molte bandiere nerazzurre sventolano anche in tribuna. Saranno almeno in quattromila. Anche il nostro settore pur mancando ancora mezz’ora al fischio d’inizio è già bello pieno e l’atmosfera è quella delle grandi occasioni. Salendo le gradinate per raggiungere i soliti posti sentiamo un boato impressionante dalla curva pisana: mi giro verso il campo e mi accorgo che la curva pisana sta salutando l’ingresso in campo della sua squadra per il riscaldamento. Tutta la squadra del Pisa va sotto la curva a salutare i tifosi e dalla curva Nord sale un rumore assordante, che ci fa presagire una domenica difficile anche per noi che cantiamo. 

Quando i “nostri” scendono in campo il saluto è un po’ più freddo: la curva infatti non si è ancora riempita e nel settore sembrano ancora tutti piuttosto distratti. Si vedono passare molti pisani sotto il settore tranquillamente mescolati con i fioi e con i vecchietti veneziani che solitamente occupano l’altra zona dei distinti. La Vale sbotta: “Ma come! rompono i coglioni per delle magliette con su scritto Ultras e poi mettono diverse tifoserie nella stessa zona dello stadio?”. Il pensiero viene spontaneo, ma il clima è veramente rilassato. Sulle gradinate si nota, già schierato, cordone di polizia che separerà le due tifoserie nel momento in cui ognuno prenderà i propri posti (sarà per la serie: “l’affrontamento simbolico”?). 

Leggendo la fanzine autoprodotta da “A sostegno di un ideale” scopro che il gruppo non è gemellato con i pisani, ma le tifoserie si rispettano e portano avanti insieme alcuni progetti come quello del “Futbol rebelde” o la contestazione contro il decreto Amato. Le cose non vanno altrettanto bene, anzi al contrario, tra pisani e i gruppi rimasti in curva Sud; è per questo che i “capi” della curva pisana hanno invitato i propri concittadini a non girare per Venezia con i vessilli pisani. 

Man mano che si avvicina l’inizio della partita la tensione incomincia a salire. Mentre il settore rimane ancora in silenzio, dalla curva Sud iniziano una serie di cori contro i pisani (che puntualmente replicano) e si alzano al vento molte bandiere ufficiali del Venezia Calcio gentilmente offerte dalla società per creare una coreografia in curva. Proprio in quel momento il nostro capocoro sale sulla balconata avvisando che saranno distribuiti palloncini arancio-bianco-verdi da gonfiare e sventolare al momento dell’ingresso in campo delle squadre. Il settore è stato diviso con del nastro in tre zone per delimitare i colori. A noi che siamo sulla sinistra del settore capita il verde, ai ragazzi che occupano gli scalini solitamente usati per salire tocca il bianco, mentre a quelli più a destra l’arancione. Tutti si affrettano a gonfiare i palloncini e una volta entrate in campo le squadre tutti li sventolano intonando il classico “Un grido sarà quando le squadre scenderanno in campo…”. Una coreografia riuscitissima e col pregio di essere autoprodotta. Quando la partita sta per iniziare tutti lanciano i palloncini in aria e per un momento il cielo si colora di arancioverde. I palloncini che finiscono in campo costringono l’arbitro a iniziare la partita con qualche minuto di ritardo. 

3. Il settore si è riempito più del solito e per tutto il primo tempo il tifo è straordinariamente caldo. Soprattutto nel primo quarto d’ora c’è una vera torcida brasiliana e i cori della curva pisana sono sovrastati, anche se loro sono più numerosi di noi. Io e la Vale cantiamo talmente forte che già ci manca la voce. Si sciorinano i classici cori di quest’anno e dall’eco si capisce come le calli di Sant’Elena risuonano dei nostri canti. 

La tensione all’interno del terreno di gioco non produce effetti altrettanto belli: la partita offre poche emozioni. L’Unione gioca meglio e tenta più spesso la via del gol ma non riesce a concretizzare la mole di gioco anche perché solo dopo dieci minuti capitan Collauto è costretto a lasciare il campo dopo un intervento omicida di un difensore toscano (per lui cinque punti di sutura al collo del piede). 

Il caldo è allucinante e durante l’intervallo, per evitare la disidratazione, cerco di recuperare un po’ di acqua ma al bar c’è una coda infinita. Così dopo aver visto i nuovi gadget estivi dei ragazzi di “A sostegno di un ideale”, risalgo le gradinate mentre le squadre stanno facendo il loro rientro in campo. Quando inizia il secondo tempo il tifo nel settore non si è ancora organizzato e ci vogliono cinque minuti perché riprenda. Sarà il gran caldo, la tensione della partita, il fatto che l’Unione non riesce a sbloccare il risultato, ma il tifo nel secondo tempo è meno intenso rispetto al primo. La Vale è talmente tesa che, per calmarsi, ogni tanto deve sedersi (non ho mai specificato una cosa ovvia: la partita si segue in piedi). Cantando assisto alla partita e anche se il tempo passa inesorabile ho come l’impressione che prima o poi qualcosa accadrà. Le squadre si sono allungate talmente tanto che è un continuo susseguirsi di occasioni da una parte e dall’altra. 

Il nostro Rebecca, entrato da poco, dopo aver saltato tre/quattro avversario tenta un tiro improbabile invece di servire Paolino Poggi, liberissimo. Marea di eresie. Pradolin si immola sulla linea di porta respingendo un tiro a colpo sicuro di un attaccante pisano. Ovazione generale. Poggi dopo una bella azione personale calcia di poco a lato. Urlo smorzato in gola. Ormai le speranze sono ridotte al lumicino. Qualcuno nei distinti già esce per non fare coda al vaporetto.

4. Poi l’imponderabile. L’“omicidio” di Romondini e il delirio collettivo. Io mi getto verso la Vale e mi ritrovo con lei sopra disteso su un seggiolino urlando a squarciagola. La Vale abbraccia tutti quelli che stanno accanto a lei. Quando riesco ad alzarmi un ragazzo ci viene incontro e ci abbraccia urlando insieme a noi. Prendo il telefono e chiamo un amico che so che sta soffrendo davanti al televideo (al televideo!). Quando risponde urlo “GOOOOOOOOOOOOOOOOOL” e metto giù. Il delirio è totale tanto che nessuno ha capito che l’arbitro ha fischiato la fine della partita senza nemmeno rimettere la palla al centro del campo. 

Quando il settore lo capisce è un’altra indescrivibile gioia. Ma non è ancora finita. Bisogna aspettare i risultati dagli altri campi. Lo speaker prima annuncia i risultati poi non dice più nulla e nessuno capisce perché. Tutti aspettano una reazione dai giocatori che sono rimasti in campo in attesa del verdetto. Poi quando uno di loro alza le mani in cielo in segno di vittoria è un’altra ovazione collettiva. I giocatori si spogliano, lanciano le magliette – chi in curva chi nel settore –, vengono sotto il settore festanti. Partono i cori della vittoria: “Ce lo abbiamo noi / ce lo abbiamo noi / lo squadrone ce lo abbiamo noi”; “Di Costanzo show” con il mister che festeggia sotto il settore visibilmente emozionato; “Un capitano/ c’è solo un capitano” in onore dello sfortunato capitan Collauto. E poi: “Chi non salta è un padovano”. Anche i presidenti della società scendono in campo e vengono sotto il settore a esultare insieme a noi. Dieci minuti bellissimi. Poi una volta usciti i giocatori, mi siedo in disparte e richiamo il mio amico – che mi immagino tramortito dalla mia precedente chiamata – spiegandogli cosa era successo e rassicurandolo sul nostro passaggio ai play-off. Una volta usciti dalla stadio mi affretto a chiamare tutti gli amici padovani possibili e mando un messaggio al “gufatore” ultras padovano per rovinargli la vacanza a Berlino. L’adrenalina è completamente scesa, il caldo si fa sentire, ecco pure la disidratazione all’improvviso: ci accasciamo stremati su una panchina di sant’Elena. Un’emozione incredibile!

Il giorno dopo

Il giorno dopo mi sveglio con il sorriso, vado al lavoro e sfotto il collega padovano, leggo tutte le cronache possibili e l’intervista a mister Di Costanzo che dedica la vittoria e il passaggio ai play-off a Pier e al Bae che meritavano di vivere questa grande emozione. Scopro che alcuni giornalisti padovani urlano allo scandalo sostenendo che la partita era truccata, offro da bere ad alcuni amici. Poi chiamo ancora il mio amico: “Che dire, oggi vivere a Padova è una figata”.

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Perquisizioni pesanti. 15 aprile 2007, Unione-Pro Sesto

16/04/2007

di Matteo Di Lucca

Prologo

Venerdì 13 aprile. Il Padova gioca all’Euganeo l’anticipo contro la Massese. Io e la Vale, dopo aver bevuto in compagnia di amici un paio di spritz, passiamo in macchina accanto allo stadio e intoniamo una serie di cori nella speranza che la squadra toscana faccia uno “scherzetto” ai biancoscudati. La Vale mi avverte che in curva del Padova c’è il ragazzo di una sua collega, che sicuramente incontreremo domani a un matrimonio. La speranza di un passo falso delle “gallinacce” aumenta ma, rientrato a casa dopo la serata, il televideo è brutale: il Padova ha vinto 3-1. 

Sabato 14 aprile. In attesa degli sposi, costringo la Vale e un suo collega ad andare a bere un caffè. Usciti dal bar scorgo in lontananza la collega della Vale e il suo ragazzo, che si avvicina con ghigno impertinente e mi fa a bruciapelo: “+ 3”. Non accenno alcuna reazione e anche per tutto il periodo del pranzo (nota: 5 ore) non reagisco alle provocazioni e alle continue “gufate” del padovano fiducioso che domani una buona prestazione dell’Unione ci riporti appaiati in classifica.

Allo stadio

1. A mezzogiorno siamo già pronti per partire verso Sant’Elena con in mente ancora le parole e gli sfottò dell’ultras padovano. All’ultimo momento si aggregano un nostro amico padovano che insieme alla sua ragazza e a sua sorella vogliono venire a vedere la partita per poi fare un giretto in compagnia a Venezia. Accettiamo con qualche perplessità e incominciamo il solito lungo viaggio per raggiungere il Penzo.

La giornata è splendida e Venezia si mostra in tutta la sua bellezza. Giunti a Sant’Elena corriamo a fare i biglietti e decidiamo di entrare allo stadio con mezz’ora di anticipo. Entrati rimango stupito nel vedere il settore ancora vuoto: i gruppi che occupano di solito la curva sud non hanno fatto il loro ingresso, nessun capo ultras gironzola nei pressi della balconata.

Ipotizzo che sia stato organizzato uno sciopero del tifo mentre la Vale ritiene che il motivo sia il solito ritardo dei vaporetti che portano allo stadio. Ad un tratto dall’ingresso del settore arriva a petto nudo e con la maglietta in mano uno dei capi ultras che, salito sulla balconata tira un calcio fortissimo alla struttura in tubi innocenti. Con lui entra molta altra gente che ha l’aria di essere parecchio “incazzata”. Mentre il settore incomincia a riempirsi, decido di andare a bere un caffè e raggiungendo il bar, posto proprio accanto all’ingresso dei distinti, mi accorgo che molti ragazzi – di cui molti vestono la maglietta del gruppo “Nuova guardia” – si appoggiano uno a fianco all’altro alla rete metallica nella classica posizione di che deve essere perquisito. Non capisco bene che sta accadendo, la gente ha l’aria spaesata se non incredula: molti dei ragazzi sulla rete sono giovanissimi. Gli animi mi sembrano tranquilli e non resto a guardare più di tanto. 2. Quando riprendo posto sulle gradinate, vedo che il settore si è ormai riempito e le squadre stanno per fare il loro ingresso in campo. Il capo ultras sale sulla balconata e a gran voce spiega a tutti quello che è successo all’ingresso dei distinti. Durante le perquisizioni la polizia ha infatti imposto a molti ragazzi di togliersi le magliette recanti scritte come “Nuova guardia”, “Rude Fans” e addirittura “Ultras unisce razzismo divide”. Tutto questo per seguire i dettami della nuova legge Amato contro la violenza negli stadi che dal 30 Marzo di quest’anno vieta l’introduzione all’interno dello stadio di tutti quegli oggetti che possono diventare contundenti come megafoni, tamburi, aste per le bandiere ecc. Inoltre vieta la preparazione di coreografie e l’esposizione di striscioni a meno che non vengano inviate in questura non oltre il venerdì prima dell’avvenimento sportivo le fotografie che ne mostrino il contenuto.

Poiché non ero presente all’ingresso dei distinti durante quei momenti, riporto alcune lettere ricevute e pubblicate dal portale www.vesport.it. Spiegano perfettamente quel che è accaduto.

sono un tifoso che segue il Venezia da 30 anni e sono qui a scrivervi questa mail di protesta perché domenica ho assistito a scene che mai avrei voluto vedere in un contesto di festa come è per me la domenica in stadio!
Sono circa le 2 e 30 e come ogni domenica mi metto in fila, abbonamento in mano, fuori del settore distinti per assistere al match tra Venezia e Pro Sesto; la giornata è delle migliori e infatti la gente che affolla in quell’ora i cancelli d’entrata è molta.
Una volta entrato nel settore però tutto l’entusiasmo che avevo è venuto meno davanti a scene che, a mio dire, hanno veramente dell’incredibile: alla solita perquisizione gli agenti della Polizia di Stato, senza dare più di tante spiegazioni agli interessati (forse perché neanche loro sapevano bene del perchè stavano compiendo quei gesti), incominciavano a costringere i ragazzi che animano da qualche mese il settore distinti a togliersi le maglie sequestrando inoltre loro anche sciarpe e aste delle bandiere.
Ma la cosa che mi ha lasciato veramente stupefatto è vedere come questo nuovo decreto legge venga applicato senza quel “buon senso” che servirebbe in un contesto tranquillo come quello che si è venuto a creare negli ultimi anni a Venezia.
Ho assistito personalmente al sequestro da parte degli agenti di una bandierina e una sciarpa a un bambino che avrà avuto sì e no 10-12 anni che, tutto felice perché andava a vedere una partita di pallone, alla richiesta dell’agente, si riversa in una valle di lacrime perché privato della sua bandierina!
Inoltre, parlando con altre persone, sono venuto a conoscenza anche del fatto che a molte persone, donne incluse, è stato intimato di levarsi o comunque girarsi la maglietta per motivi che non sono stati delucidati con chiarezza.
Ora io mi domando questo: se veramente l’obiettivo è quello di eliminare la violenza negli stadi, perchè creare queste situazioni di tensione […]?
A mio modo di vedere domenica, impedendo alla gente di entrare con sciarpe e bandiere della propria squadra, non fornendo chiare spiegazioni di tali gesti, si è violata la più importante norma che vige nel nostro stato: la libertà individuale!
Antonio

Agli stilisti della Questura di Venezia non piacciono le t-shirt. Non piacciono le sciarpe. Non piacciono le felpe. Insomma non piace il look da tifoso. Preferiscono il blu notte.

De gustibus…..

E così è arrivato il divieto di accesso allo stadio per chi sfoggia le magliette del FUTBOL REBELDE, quelle antirazziste di ULTRAS UNISCE RAZZISMO DIVIDE, quelle dei RUDE FANS e della NUOVA GUARDIA. Non piacciono neppure quelle degli ormai scomparsi ULTRAS UNIONE.

Naturalmente tutto questo rigore estetico viene applicato a singhiozzo. Tu sì e tu no. Tu entri, tu o ti spogli o resti fuori. E via con lo strip alla Full Monty. Potevano almeno attrezzare dei camerini…

Agli stilisti della questura non piacciono neppure le bandierine arancioverdi sventolate da bambini di 7 anni. Quell’astina di plastica di 60 cm è un’arma davvero pericolosa. E poi le coreografie sono sovversive…

Gli stilisti della Questura di Venezia, veri esperti di look da stadio, non sopportano manco i tatuaggi. Peccato non poterli scuoiare ‘sti tifosi…. Questo è accaduto domenica allo stadio Penzo all’entrata del settore DISTINTI. E ci risulta che lo stesso sia avvenuto anche in altri settori.

In base a quale norma sia stata attuata questa umiliazione di massa di centinaia di cittadini non ci è dato sapere. Ci hanno detto che così si combattono violenza e razzismo negli stadi italiani. Quello che si combatte davvero è la libertà dei cittadini. Di pensiero. Di espressione. Di aggregazione. Non abbiamo chiesto permessi per i nostri striscioni. Non chiederemo il permesso per vestirci come ci pare. NON SI CHIEDE IL PERMESSO PER ESSERE LIBERI.

VMFC A SOSTEGNO DI UN IDEALE

[…] ciò che han visto i miei occhi domenica al P.le Penzo di Venezia mi ha fatto ACCAPPONARE LA PELLE!!!

Non ho visto dei celerini in divisa che, in una normale domenica di routine controllano se si introduce allo stadio materiale contundente o accendini pericolosissimi, NO, ho visto poliziotti in assetto di guerra (veramente) che con aria minacciosa vietavano l’ingresso di qualunque tipo di sciarpa, cappellino, MAGLIETTA(!), recante il nome ultras (o sinonimi, badate non sono esperto in materia ma mi sembra di aver letto tipo Nuova Guardia e RudeFans) a ragazzi e ragazzini. “Quella maglietta la deve girare, se no non può entrare!”, COSA!? Ma stiamo scherzando vero??? Ditemi che siamo su scherzi a parte! Vi prego.

[…] Francesco Rigo

3. Ora il capo ultras scaglia parole pesanti contro la legge Amato che vuole ammutolire il tifo e che vuole svilire questa forma di aggregazione e di espressione; contro la polizia; contro la società del calcio Venezia; contro le televisioni che ammazzano il calcio. Molti alzano le magliette incriminate e tutti applaudono. I cori iniziano quando la partita è già iniziata. Per il primo quarto d’ora abbondante sono tutti contro ciò che era accaduto all’ingresso del settore e contro la nuova legge. In successione si canta: “Non ci avrete mai, come volete voi”, “Odio eterno al calcio moderno”, “Il calcio siamo noi”, “I tamburi siamo noi” (accompagnato da un battimani che simula il solito ritmo dei tamburi). Alcuni cori contro i “caschi blu” e il nuovo coro sull’aria di una canzone degli 883: “Se togliete pure noi che rispettiamo le tradizioni, e gli stadi noi riempiamo con i cori e gli striscioni, resterete solo voi con le vostre televisioni, e solo allora potrete capire che il calcio è fatto di emozioni!”. 

I cori di questo stampo si susseguono fino a che, verso il quindicesimo, viene assegnato un rigore all’Unione. Mentre Paolino Poggi si prepara a tirarlo il capo ultras invita tutto il settore a dare le spalle al campo in segno di protesta. Quasi tutti si girano, io mi metto a trequarti, vedo il rigore ed esulto, come altri, al gol. Un gesto non molto apprezzato dai capi ultras ma già da un paio di minuti, pur cantando e sostenendo la contestazione a questi ignobili episodi, avevo esternato alla Vale che secondo me era giunto il momento di sostenere la squadra.

Solo dopo venti minuti dall’inizio della partita inizia il tifo per l’Unione: partono i soliti cori come “Ricordo quand’ero bambino, sognavo una maglia e un pallone, ed ora che sono cresciuto l’Unione è il mio unico amor, se vedo il settore che esplode, sento un brivido al cuore, l’Unione è il mio unico amore, per te canterò fin che vivrò”; “Unione alè, Unione alè, in ogni stadio in tutta Italia siamo accanto a te, quando l’Unione segnerà dal settore s’alzerà, questo canto d’amor, che ci viene da cuor”. 

Proprio mentre stiamo intonando “Pope” la Pro Sesto pareggia con un bel tiro dal limite dell’area, che sbatte prima sul palo e poi finisce in fondo alla rete. Il coro simbolo della tifoseria unionista nonostante il gol avversario non si ferma e il tifo aumenta di intensità a seguito della buona reazione della squadra al pareggio e l’espulsione per doppia ammonizione di un giocatore avversario. Tra tutti i cori, il più riuscito e partecipato è stato quello in cui il settore si divide in due parti uguali che si ribattono: “E siamo qua – siamo qua/ siam sempre qua – sempre qua /ovunque giocherai saremo sempre qua – sempre qua / e canteremo – canteremo /e grideremo – e grideremo / (tutti insieme) VENEZIAMESTRE NOI SIAMO I TUOI ULTRA”.

4. Nell’intervallo mi siedo stremato dal gran caldo, parlo con la Vale e gli amici e leggo la fanzine autoprodotta dai ragazzi di “A sostegno di un ideale”. Quando le squadre rientrano in campo il tifo non si è ancora organizzato e ci impiega un po’ prima di ricominciare. Nel secondo tempo mi concentro più sulla partita in attesa di un gol dell’Unione che ci regalerebbe tre punti importantissimi per la nostra classifica. Tuttavia a parte uno sterile assedio alla porta avversaria la squadra dimostra il suo momento negativo e soprattutto un sensibile calo fisico. Tra un coro e l’altro impreco contro alcuni giocatori, in particolare contro “l’acquisto di gennaio” Cocco che a dieci minuti dalla fine viene finalmente sostituito. Alla sua uscita viene giustamente fischiato dai “vecchietti” dei distinti; lui risponde con un provocatorio applauso. Il suo sostituto, Momentè, altro “acquisto di gennaio” in dieci minuti riesce a sbagliare quasi tutti i passaggi e si mangia un gol quasi a porta vuota. E nonostante il caldo torrido, la Pro Sesto ci fa venire i “brividi” con alcuni contropiedi che con altri avversari ci sarebbero costati sicuramente la sconfitta. Poi quando al quarto minuto di recupero Moro butta fuori di testa l’ultimissima occasione, l’arbitro fischia la fine dell’incontro. I giocatori dell’Unione cadono a terra stremati e delusi. 

Nonostante il risultato, come in altre occasioni, chiediamo alla squadra di venire sotto il settore ma solo pochi di loro vengono a ricevere applausi e sostegno.

Epilogo

Mentre ricominciano i cori contro la legge Amato, ci avviamo sconsolati verso l’uscita. Mi fermo un attimo soltanto per ascoltare gli altri risultati del nostro girone. La gente sfolla delusa e convinta che sarà difficile raggiungere i play-off, visto il calo fisico della squadra rispetto ai primi mesi di campionato. Mentre ci avviamo a piedi verso Rialto per bere uno spritz in compagnia, esprimo tutto il mio disappunto e i miei compagni di viaggio fanno fatica a rincuorarmi. La Vale sostiene che comunque vada bisogna rimanere vicini alla squadra; le do ragione e intoniamo insieme “Noi non ti lasceremo mai/ noi non ti lasceremo mai/ al tuo fianco sempre noi sarem/ Veneziamestre alè”.

Questa domenica è andata così. Certo abbiamo passato una bella giornata e ci siamo un po’ abbronzati. Ma torniamo a casa con l’Unione che si allontana sempre più dai play-off, con la consapevolezza che questa nuova legge invece di frenare la violenza la istiga, grazie anche a certi atteggiamenti della polizia; e con la consapevolezza che i padovani “gufano” proprio bene.

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Ultras di sinistra

09/03/2007

di Filippo Benfante e Piero Brunello

Rispondendo alla lettera di Francesco Bianchini, un lettore del “manifesto” che si dichiara “tifoso della Roma” e di “estrema sinistra”, Sandro Portelli fa la seguente osservazione a proposito della differenza dei gruppi ultras “di sinistra” dai gruppi di estrema destra: “La differenza non può stare solo nel colore delle sciarpe o delle magliette, ma nel fatto che chi è di sinistra sta in una logica altra da chi è di estrema destra, non speculare ad essa. Cose incoraggianti da questi compagni ne abbiamo viste e sentite; sarebbe bello che insistessero e andassero oltre e fossero ancora più nitidamente diversi” (“il manifesto”, 10 febbraio 2007). Per continuare questa discussione nel nostro sito, che ha cominciato a pubblicare le cronache calcistiche di Matteo Di Lucca, riproponiamo un intervento di Filippo Benfante e di Piero Brunello (L’obiettivo è la nonviolenza, “il manifesto”, 27 giugno 2001), con lievi modifiche e un nuovo titolo. Benfante e Brunello sono autori di Lettere dalla curva sud. Venezia 1998-2000, Odradek, Roma 2001.

La partita VeneziaMestre-Verona, disputata allo stadio Penzo di Venezia, nell’aprile del 2000, è stata una delle più riuscite manifestazioni politiche a cui abbiamo partecipato negli ultimi anni. Quando il portiere Frey del Verona è venuto sotto la curva del VeneziaMestre per mettersi tra i pali della porta, noi abbiamo cominciato a fargli “buu, buu” come i tifosi della sua squadra fanno quando toccano palla i giocatori neri. Lui ha guardato in su con la coda dell’occhio e gli veniva da ridere. La Curva Sud è una struttura di tubi Innocenti e sovrasta la rete di recinzione del campo di gioco. Le facce dei giocatori si vedono bene. Frey è bianco come tutti i giocatori della sua squadra. 

Quel giorno una buona parte della curva Sud, incitata dal gruppo Ultras Unione, applicava a suo modo il decreto che il governo aveva promulgato contro gli episodi di razzismo, e che la polizia applicava anche lei a suo modo, sequestrando stelle rosse, Che Guevara e foglie di marijuana disegnate a pennarello.

Ecco un buon esempio di politica: divertimento, piacere di fare cose assieme, ironia. Ci sarebbe piaciuto trovare lo stesso clima sfilando a Vicenza l’anno prima, manifestando contro le bombe sul Kosovo. Allora ci era capitato di entrare in piazza, con un corteo pacifista, accompagnati dalla colonna sonora di Avanti popolo, tuona il cannone. La debolezza di un movimento dipende anche dal fatto di non riuscire a staccarsi da un vecchio repertorio di simboli, di canzoni, di ritualità. Ed ecco qui invece, nella curva di uno stadio, un inatteso colpo di fantasia: per controbattere gli slogan antimeridionali avevamo già cantato “O sole mio”, ora per rendere ridicoli gli ululati razzisti si faceva “buu” a tutti i giocatori bianchi.

Da qualche tempo la geografia dei rapporti tra gruppi ultras si sta ridisegnando attorno al contrasto tra razzismo e antirazzismo. Su questa base si modificano gemellaggi, amicizie e rapporti di non belligeranza. L’atteggiamento nei confronti delle croci celtiche, degli striscioni antisemiti e dei cori razzisti sono diventati una discriminante. Ne discutono le fanzine in tutta Europa. Anche le società sportive devono misurarsi, sia per motivi di immagine, sia per evitare multe e penalità. Bisogna però chiederci se tutto questo sia sufficiente.

Un giocatore nero viene insultato ricordandogli il colore della pelle, e uno bianco viene insultato urlando “puttana” alla moglie. Perché il primo caso suscita una mobilitazione antirazzista e il secondo è considerato normale e nessuno ci fa caso? Eppure hanno una radice comune. L’antirazzismo non mette in discussione la ritualità, i modelli di comportamento e il maschilismo che sta alla base dell’adesione ai gruppi ultras. Per esempio la campagna che molti gruppi ultras stanno facendo per isolare nel disprezzo quanti usano coltelli negli scontri tra tifoserie è stata ed è molto importante. Ma gli appelli (“Basta lame, basta infami”) vengono fatti in nome di un codice d’onore virile che prevede scontri leali, tra ultras, in numero pari e a mani nude, senza coinvolgere semplici spettatori; così come prevede, tra le altre cose, destrezza nel rubare striscioni o stendardi degli avversari, e capacità di difendere i propri striscioni, la propria fetta di stadio e gli spazi antistanti il proprio bar.

Ammettiamo che nelle curve si cominci a cantare sull’aria del canto anarchico “Nostra patria è il mondo intero / nostra legge la libertà / e un pensiero…” con finali del tipo “l’Unione in serie A”o “la Lazio in Champions League”. È difficile da immaginare. Forse queste parole modificherebbero il modo di fare di chi le canta. Ma cosa cambierebbe, se l’atteggiamento di fondo e il modo di presentarsi dovesse rimanere lo stesso? Trattandosi di un repertorio espressivo, le forme dell’azione sono altrettanto, se non più importanti. Quello che soprattutto importa nei cori da stadio è cantare a comando, così come è decisivo il fatto che a lanciare il coro sia sempre un maschio, che le donne accettate nella gerarchia debbano avere modi di fare maschili, che i tifosi avversari siano “merda” e così via.

Crediamo che i gruppi ultras che stanno discutendo di razzismo, pay tv e misure di polizia, dovrebbero mettere come obiettivo non l’antirazzismo (questo sarebbe una conseguenza), bensì la nonviolenza. Questo obbligherebbe a interrogarsi sui rapporti tra ultras e gli altri protagonisti dello spettacolo, dagli spettatori della propria curva ai tifosi della squadra avversaria. Si tratta di riflettere sul comportamento dei gruppi organizzati e su quello della polizia, le cui azioni non vanno viste solo come una “reazione” (che perciò tutti giustificano anche quando è violentemente cieca e spropositata), ma come una politica messa in atto da uno dei protagonisti. La discussione che alcuni gruppi, come gli Ingrifati del Perugia, hanno avviato su come intervenire per la “riduzione del danno” nei conflitti all’interno degli stadi, ci sembra vada in questa direzione. Il calcio ritualizza lo scontro: proprio per questo si può imparare molto dalle componenti fantasiose che si esprimono nel tifo. Scriviamo queste righe pensando alle persone che frequentano le curve dello stadio e seguono una tifoseria organizzata per il gusto di stare assieme e di fare spettacolo: oltretutto questo sarebbe un modo, per quanto piccolo, per rifiutare complicità con un sistema corrotto e ipocrita, quello del calcio professionistico, che una parte degli ultras sente sempre più distante e ostile.

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