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autobiografia

Dai bagni e dai salari alla pace e al disarmo. Autobiografie di donne proletarie

07/03/2018

di Virginia Woolf

Nel 1931 la Lega cooperativa delle donne (Co-operative Women’s Guild), fondata a Londra nel 1883, pubblicò alcune autobiografie di donne proletarie inglesi. Era un progetto che risaliva a molti anni prima, a lungo rimandato per molte ragioni, compresa la prima guerra mondiale.

Invitata a scrivere una Prefazione alla raccolta, Virginia Woolf lo fece, vincendo una certa riluttanza, sotto forma di una lettera a Margaret Llewelyn Davies, segretaria della Lega. Vi rievocava un congresso della Lega del 1913, a cui aveva assistito, e una discussione avvenuta qualche mese dopo presso l’ufficio centrale dell’organizzazione, dove per la prima volta aveva potuto vedere le lettere che alcune donne avevano indirizzato alla Lega, raccontando le proprie vite. In quei testi trovò “qualcosa della minuziosità e della chiarezza di una descrizione di Defoe”.

Dopo aver affrontato il tema dei rapporti tra donne borghesi e proletarie, Virginia Woolf osservava che quelle autobiografie, scritte “in cucina, nei ritagli di tempo libero, in mezzo a ogni sorta di distrazioni e ostacoli” rappresentavano un documento della “stupefacente vitalità dello spirito umano”, di quella “innata energia che nessuna sequela di parti e di bucati era riuscita a spegnere”.

Lettera introduttiva a Margaret Llewelyn Davies

Quando mi chiese una prefazione per una raccolta da lei curata di lettere di donne proletarie, le risposi che avrei preferito annegare piuttosto che scrivere una prefazione a qualsiasi libro del genere. Il mio ragionamento – e credo si tratti di un ragionamento corretto – era che i libri debbono reggersi sulle proprie gambe: se hanno bisogno di essere puntellati da una prefazione di qua e da introduzione di là, non hanno diritto di esistere più di un tavolino che non stia dritto se non gli si infila un pezzo di carta sotto una gamba. Ma lei mi lasciò quelle lettere e sfogliandole mi accorsi che in questo caso il mio ragionamento non funzionava: questo libro non è un libro. Voltando le pagine, cominciai a chiedermi: che cos’è allora questo libro, se non è un libro? Quali qualità possiede? Quali idee fa venire in mente? Quali antichi ragionamenti e ricordi suscita in me? E poiché tutto ciò non aveva nulla a che fare con una introduzione e una prefazione, bensì mi riportava alla memoria lei e talune immagini del passato, ho allungato la mano per prendere un foglio di carta e ho scritto questa lettera, che è diretta non al pubblico, ma a lei.

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Un errore di memoria? La Cicci e la Resistenza a Venezia

01/08/2017

di redazione sito sAm

La Cicci intervistata da Danilo Montaldi nel 1957 racconta del fidanzato veneziano arrestato e poi fucilato – presumibilmente nel 1944 – “sulle macerie di Venezia” insieme ad altri sei. Almeno così le era stato raccontato. Abbiamo provato a fare qualche piccola verifica, ma riusciamo solo a farci alcune domande.

La Cicci

Cicci è una delle protagoniste delle Autobiografie della leggera raccolte e pubblicate da Danilo Montaldi nel 1961. Montaldi la presentò con queste parole: «Cicci è una donna che “ha fatto la vita”, e l’allusione si riferisce al suo passato di prostituta. Essa ha dettato la propria biografia – titolo compreso – nelle pause del lavoro casalingo al quale s’è adattata da quando ha cambiato genere di vita. Il testo riproduce fedelmente il suo racconto orale, con gli sbandamenti tipici e senza sosta dei monologhi femminili» (p. 63). Il titolo del suo racconto è Il pro e il contro di due vite.

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Storia di Alvisa Zambelli alias Lea Gaon: ebrea convertita, sospetta indemoniata, santa mancata nella Venezia del Settecento

28/06/2017

di Adelisa Malena

Pubblichiamo il testo della relazione che Adelisa Malena ha presentato alla festa di storiAmestre, il 27 maggio 2017. Un fascicolo del tribunale dell’Inquisizione di Venezia conserva frammenti dell’autobiografia che un’ebrea convertita scrisse su indicazione del suo confessore, a cui – un giorno festivo del 1727 – aveva riferito di avere delle visioni. Scelte individuali e conflitti con la famiglia; aspettative e controlli di parenti spirituali, vicini e inquisitori; trovare un modello di scrittura per raccontare un’esperienza interiore.

Premessa

Qualche tempo fa un’amica mi ha fatto conoscere un’opera dell’artista israeliana Sigalit Landau, dal titolo Salt bride (sposa di sale). Si tratta di una sequenza di foto subacquee scattate nel Mar Morto. Il soggetto è un costume teatrale indossato nella pièce Il Dybbuk. Tra due mondi – scritto da S. Ansky fra il 1913 e il 1916 – dalla leggendaria attrice Hanna Rovina che interpretava la parte della protagonista femminile Leah.

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I comunardi e il “diritto alla biografia”. Pagine da un libro recente

30/07/2014

di Enrico Zanette

La tesi di dottorato del nostro amico, socio nonché webmaster Enrico Zanette è da poco diventata un libro: Criminali, martiri, refrattari. Usi pubblici del passato dei comunardi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2014. Si tratta di uno studio dell’uso che avversari e fautori della Comune di Parigi del 1871, all’indomani della repressione, fecero del genere biografico per denigrare e condannare o al contrario per commemorare ed esaltare come modello rivoluzionario le personalità più in vista della tentata rivoluzione parigina. Zanette prende inoltre in esame le autobiografie che due ex comunardi, Jules Vallès – che già in altre occasioni abbiamo ricordato sul nostro sito – e Louise Michel, pubblicarono a distanza di alcuni anni, e le interpreta come strumenti di comunicazione politica, per la costruzione e la diffusione di due diverse idee di rivoluzionario e di rivoluzione. Su gentile concessione dell’editore, proponiamo ai nostri lettori alcune pagine del libro (con minime modifiche e senza tutte le note).

All’indomani della repressione, circa un centinaio di comunardi acquisirono quello che Juri M. Lotman ha chiamato il diritto alla biografia1. Un diritto alla biografia esercitato, in questo caso, esclusivamente dai vincitori, nella gestione autonoma del significato complessivo delle vite dei vinti. In un’epoca di affermazione dei mezzi di comunicazione, il monopolio esclusivo della costruzione della memoria si presentava come lo strumento più efficace di cancellazione. In effetti, la censura, formalizzata dalle leggi del dicembre 1871 e novembre 1872, che durò per un decennio fino alla legge generale del 1881 sulla libertà di stampa, non impediva di parlare della Comune e dei comunardi, ma di parlarne liberamente, senza esprimere giudizi di chiara condanna. Nel sistema di propaganda messo in piedi all’indomani della repressione, la biografia mirava quindi alla presa di possesso dell’identità dei rivoluzionari dopo la presa brutale sui loro corpi. La biografia non veniva impiegata per comprendere il processo di mobilitazione, o per illustrare la complessità e la fragilità delle esperienze, delle aspirazioni, delle convinzioni, il loro interagire con le circostanze storiche della guerra e delle trasformazioni economiche, bensì per richiudere le vite degli insorti all’interno di alcune traiettorie biografiche che, come sbarre retoriche, ne avrebbero controllato le possibili, scomode, eccedenze. Erano traiettorie che poi sarebbero state disponibili per utilizzi successivi, poiché, come scriveva uno dei biografi, non ci si doveva accontentare di contrastare le idee rivoluzionarie, ma anche coloro che le avevano e le avrebbero diffuse. 

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  1. J. M. Lotman, La semiosfera: l’asimmetria e il dialogo nelle strutture pensanti, Venezia, Marsilio, 1985, p. 181 e sgg. [↩]

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