di Piero Brunello
Pubblichiamo l’intervento tenuto da Piero Brunello il 14 maggio 2015, in occasione della riapertura della sede dell’Archivio di Stato di Venezia alla Giudecca, che conserva fondi ottocenteschi e novecenteschi.
Chiedevo documenti del Governo austriaco, e mi portavano una busta di cartone che nessuno aveva mai aperto dal 1821 o dal 1840, anni in cui un imperial regio impiegato d’ordine l’aveva legata con uno spago. Prima scuotevo con attenzione la busta per togliere lo strato di polvere, poi mi davo da fare per sciogliere il nodo (a volte non c’era altra scelta che strappare lo spago), e alla fine andavo a lavarmi le mani, operazione che mi sarei trovato a ripetere più volte nel corso della mattina. Spesso dovevo chiedere uno straccio per togliere la patina nera sulla busta e pulire il tavolo. Da allora mi è rimasta l’abitudine, quando vado in Archivio di Stato a Venezia, di mettermi una maglia scura, meglio se di colore blu: sconsigliate camicie bianche e giacche; mentre i miei amici che studiavano il Cinquecento, ricevevano registri tirati a lucido, come se una Fata Piumetta passasse ogni notte con la cera sui settanta chilometri di scaffali nei corridoi e nelle stanze dell’ex convento dei Frari. Anche la carta dei loro documenti mi pareva diversa: quella che portavano a me mi sembrava si sgualcisse con un niente, mentre quella del Cinquecento mi ricordava la pergamena dei film in costume, con i paggi e le trombe.