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anniversari

La Comune: tramonto o alba? Pagine scelte per un anniversario

17/03/2022

di Enrico Zanette

Anche quest’anno ci affidiamo al nostro Enrico Zanette per ricordare l’anniversario dell’inizio della Comune di Parigi (18 marzo 1871). Riprendiamo alcune pagine dal suo recente Una e centomila. La Comune di Parigi del 1871 (manifestolibri, Roma) che sarebbe dovuto uscire al tramonto dell’anno anniversario tondo (1871-2021) e invece, per gli imponderabili dell’editoria, è diventato alba di un nuovo ciclo di ricostruzioni e riflessioni. Zanette si interroga su alcune questioni fondamentali che continuano a sollecitarci sul piano storiografico e politico, chiedendosi infine a quale Comune, tra le tante sognate a Parigi nel 1871 o immaginate in seguito a quegli avvenimenti, si rivolgono le nostre domande di oggi. 

Morta la Comune, viva la Comune! All’indomani del 28 maggio, tra il fumo delle macerie, emerge la seconda vita della Comune, un’esistenza fatta di letture mitiche, rappresentazioni simboliche e usi politici. È un’altra Comune quella che segue nell’immaginario dei posteri, una Comune che si moltiplica e si confonde confermando la sua natura enigmatica, una sfinge come la chiamava Karl Marx1. È una vicenda lunga e complessa, ricca di scontri, riletture e contaminazioni che dura fino ai giorni nostri. 

A dire il vero, questa storia non inizia con la fine, ma fin dai primi giorni, quando il governo con il sostegno della stampa conservatrice alimenta il mito di una Comune terroristica per minarne i consensi e indottrinare al massacro i soldati. In seguito, tra il 1871 e il 1873 escono un migliaio di pubblicazioni a tema in un clima di rigida censura che rende la condanna obbligata2. E non solo a parole. Per giorni la città non viene ripulita per consentire ai cittadini di aggirarsi inorriditi tra le rovine fumanti della rivoluzione, mentre, per riparare ai peccati dei comunardi viene dato il via alla realizzazione di una – da anni progettata – basilica, il Sacro Cuore, proprio sulla collina di Montmartre, origine dell’insurrezione. […]

All’origine dell’insurrezione: il parco di artiglieria al Champ des Polonais (sulla collina di Montmartre), 18 marzo 1871
(fonte: internet)
 

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  1. Karl Marx, La guerra civile in Francia, Roma, Editori Riuniti, 1990, p. 31. [↩]
  2. Più precisamente, la censura comincia nel 1872 lasciando una breve finestra aperta a letture meno partigiane. [↩]

Archiviato in:Enrico Zanette, La città invisibile Contrassegnato con: 18 marzo, 18 marzo 1871, Andrea Lanza, anniversari, Comune di Parigi, Parigi, storiografia

Il pomeriggio del 12 dicembre 1969. Pagine da un libro

11/12/2021

di Corrado Stajano

Per l’anniversario della strage di piazza Fontana, riprendiamo alcune pagine da un bel libro di Corrado Stajano. Un sopralluogo, durante una esplorazione della città cambiata, è occasione per tornare con i ricordi al pomeriggio del 12 dicembre 1969: Stajano, appena rientrato a Milano in treno, si fece portare da un tassista in piazza Fontana. La notizia aveva appena cominciato a girare in città. Riuscì a entrare nella sede della banca devastata prima dell’arrivo delle autorità; solo allora fu fatto uscire.

Nel pomeriggio del 12 dicembre 1969 ero tornato da Roma e alla Stazione centrale avevo preso un taxi. In piazza Fontana, mi disse il tassista, è appena successo qualcosa di grave, è scoppiata una caldaia alla Banca dell’Agricoltura e si parla di molti morti. Gli dissi di portarmi alla banca, non più a casa. In piazza Fontana c’era solo qualche ambulanza, qualche macchina della polizia e dei carabinieri, si sentiva che da via Larga stavano arrivando i pompieri. Non c’erano ancora curiosi. I sopravvissuti, informi ossessi, uscivano barcollando dal portone della banca e si scontravano, nell’aria nerastra, con i barellieri che correvano in senso contrario.

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Archiviato in:Corrado Stajano, La città invisibile Contrassegnato con: anniversari, Milano, pagine scelte, Piazza Fontana

“L’avvenire è diventato possibile”. Victor Hugo contro Napoleone “il piccolo”

02/12/2021

di Victor Hugo, a cura della redazione di storiamestre.it

Oggi è un anniversario più o meno tondo: centosettant’anni fa, il 2 dicembre 1851, Luigi Napoleone Bonaparte, presidente della Repubblica francese nata nel corso del 1848, compiva un colpo di Stato. Per ricordarlo, riprendiamo alcune pagine con cui Victor Hugo, dall’esilio, denunciava quelle vicende all’opinione pubblica liberale europea. Sono brani dedicati all’invettiva, annunciata sin dal titolo del pamphlet – Napoléon le Petit –, con cui Hugo (che restava sempre affezionato al mito del primo Bonaparte) distingueva sarcasticamente Luigi Napoleone dallo zio. E in conclusione un elogio del 1848, con un’apertura di credito alla storia e all’avvenire.

Luigi Bonaparte è un uomo di media statura, freddo, pallido, lento, che ha l’aria di non essere completamente desto. […] Cavalca bene. La sua parola è strascicata con lieve accento tedesco.

[…] Ha i baffi folti che gli coprono il sorriso, come il duca d’Alba e l’occhio spento, come Carlo IX.

Giudicandolo all’infuori di ciò che egli chiama i suoi atti necessari o i suoi grandi atti, è un personaggio puerile, volgare, teatrale, vano.

[…] Gli piace la gloriola, il pennacchio, il passamano, il ricamo, le pagliette e i cordoncini, le grande parole, i grandi titoli, tutto ciò che rimbomba, tutto ciò che scintilla, tutte le cortesie del potere. Nella sua qualità di parente della battaglia di Austerlitz, si veste da generale.

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Archiviato in:redazione sito sAm, Victor Hugo Contrassegnato con: 1848, 1851, anniversari, Luigi Napoleone Bonaparte, pagine scelte, Parigi

La morte dell’autorità e una libertà da rabbrividire. L’8 settembre 1943

07/09/2021

di Franco Fortini

Per ricordare l’8 settembre 1943, quest’anno riprendiamo un articolo di Franco Fortini, uscito sull’Avanti! il 9 settembre 1945. Furono i giorni della scelta: chiamati a decidere, da soli, senza avere il riparo di parole d’ordine, autorità, Stato. Si intravvidero, per un momento, possibilità infinite di rifare tutto nuovo. Non era più come prima.

Forse, col trascorrere degli anni, il ricordo perderà i contorni, come è sorte di quelli d’infanzia e d’amore; ed i figli ne ascolteranno la narrazione come si fa di un’alta avventura. E se già fin da ora non siamo sazi d’udire la vicenda degli altri e di riandare la nostra, si è perché sappiamo, in qualche modo, che nessuna narrazione o cronaca può esaurire i significati di quelle giornate; che qualcosa, dunque, vi si cela alla nostra volontà d’indagine. Accadde allora, in quasi tutta Italia, quel che ben di rado passa nella vita d’una generazione e che è altro da una rivoluzione o da una disfatta: e questo fu la morte dell’autorità.

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Archiviato in:Franco Fortini, La città invisibile Contrassegnato con: 8 settembre, anniversari, antifascismo, pagine scelte

“Bella come la libertà sognata”. Una lettera del 26 luglio 1943, con una nota

24/07/2021

di Adolfo Vacchi

Per ricordare l’anniversario del 25 luglio 1943, quest’anno ripubblichiamo la lettera che Adolfo Vacchi (1887-1944) scrisse a sua figlia Urania il pomeriggio seguente alle dimissioni di Mussolini. Sperava di farle avere “la lettera più bella che io abbia mai scritto”, che fosse in grado di restituire l’euforia e le speranze esplose a Milano in quelle ore. Vacchi fu tra quelli che non videro la Liberazione: fu ucciso dai fascisti il 5 settembre 1944. Con una nota che presenta alcune notizie biografiche tratte dal fascicolo al Casellario politico centrale: un socialista insegnante di matematica (precario?) sorvegliato dalla polizia.

[Milano] Ore 15 del 26 luglio 1943, Anno I, dell’Era Nuova

Mia cara figlia,

Oggi è giorno di libertà, di redenzione, di ebbrezza: qui a Milano sembriamo tutti ubriachi ed i più assennati sembrano pazzi… gli altri non ci sono più, tutti sfasciati, non più ritrattoni gorilleschi e grotteschi. Esultate, esultate!!

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Archiviato in:Adolfo Vacchi, Filippo Benfante, La città invisibile Contrassegnato con: 25 luglio, anniversari, antifascismo, Giovanni Focardi

Una rivoluzione del costume. Le speranze scambiate per certezze, estate 1945

24/04/2021

di Carlo Levi, con una nota di Filippo Benfante

Per i nostri auguri di buon 25 aprile, quest’anno ricorriamo ad alcuni appunti che Carlo Levi scrisse nel giugno 1945, quando poté raggiungere il Nord Italia – Torino e Milano – quale inviato della “Nazione del Popolo”. Era condirettore di questo giornale, quotidiano del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, fin dai giorni della battaglia di Firenze (cominciata l’11 agosto 1944, la città fu interamente liberata a fine mese). Nell’esplosione di vitalità, nella vita “estremamente popolare” in cui si trovò immerso per un attimo a Milano, Levi vedeva il segnale di una “realtà” in atto. La guerra partigiana e l’esperienza democratica dei CLN avevano lasciato un segno indelebile, non si sarebbe tornati indietro. Il tirannicidio che mancava alla storia d’Italia (ovvero l’esecuzione di Mussolini) segnava un “taglio netto” con il passato. A distanza di pochi anni, nelle pagine dell’Orologio, Levi avrebbe riconsiderato quella sicurezza; ma non cambiò la sua opinione su ciò che furono – per un breve momento, ma per davvero – quei giorni che oggi mettiamo sotto l’etichetta di 25 aprile.

La guerra partigiana, con il suo complesso di attività e di modificazioni, che hanno inciso sulla vita non soltanto di coloro che stavano sui monti, ma nella popolazione intera, ha lasciato in tutti un segno che non si cancella; è stata una grande esperienza collettiva, e, a parte il suo valore bellico e politico, è stata una scuola di autogoverno, una tangibile dimostrazione di democrazia. Chi non si rende conto di questo, e vagheggia impossibili ritorni a una «normalità» prefascista, o, al contrario, senza valutare quello che è avvenuto, sogna palingenesi da avvenire, al solito, in un indeterminato futuro, non tiene conto della realtà. Il carattere estremamente popolare della vita milanese che colpisce anche l’osservatore che si fermi agli aspetti esteriori delle cose, questo mescolarsi di uomini e donne di tutte le classi, questo vivere in strada, non sono che uno dei segni esterni di questa realtà.

C’è il rovescio della medaglia, ci sono le insufficienze e le miserie di una situazione difficile, gli errori di eccesso o di difetto, gli squilibri dovuti alla divisione del paese, per ragioni obiettive e per la politica a settori praticata purtroppo dagli alleati, ecc. Ma un fatto è certo: una rivoluzione del costume è avvenuta, un taglio netto separa l’oggi dal passato. Il sangue dei capi fascisti, il distributore di benzina di piazzale Loreto è stato un simbolo benefico e non dimenticato di questa frattura. Esso pone tutte le cose su un’altra prospettiva, le fa vedere con altri occhi. Non importa se talvolta impedisce anche di vedere (il Dittatore di Charlot, per esempio, questa singolare e alta opera d’arte, qui a Milano è stato male accolto, e criticato perché, si dice, dopo Buchenwald e piazzale Loreto esso sembra inopportuno). Potrà per un certo tempo soffrirne la poesia, finché gli animi siano ancora tesi, e gli interessi rivolti tutti alle costrizioni quotidiane: ma non vi è in questo nessun male: si ritrovano le cose, dopo anni di prigione. Gli uomini della Resistenza sanno ormai di poter governare, e di doverlo fare, nell’interesse comune. Ferruccio Parri, il capo della Resistenza, è presidente del Consiglio, e ha fatto sentire, nei suoi primi discorsi, una voce, un tono morale, veramente nuovi; e perfino una forma nuova di eloquenza civile.

Che cosa sia, politicamente, questa novità, cercherò di dire altra volta, quando tornerò, nei prossimi giorni, in questa capitale del Nord, dopo questo primo passaggio fuggevole, e mi ci fermerò più a lungo. Ora lascio Milano e i suoi balli estivi: l’automobile mi aspetta per portarmi a Torino.

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