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25 luglio

“Una data che non dimenticherò mai”. Il 25 luglio 1943 nel diario di Camilla Benaim

25/07/2016

di Camilla Benaim

Per l’anniversario del 25 luglio, quest’anno ricorriamo al ricordo di Camilla Benaim (1904-1996). Anch’esso era stato suscitato da un anniversario, il primo. L’autrice infatti rievocò quanto accaduto quella sera della piena estate ’43 sotto la data del 25 luglio 1944, in un diario che tenne a Firenze, in un appartamento di via Gino Capponi dove la famiglia si era rifugiata per sfuggire alla persecuzione, per due mesi esatti, dal 18 giugno al 18 agosto 1944. Sono i mesi in cui il fronte, dopo la liberazione di Roma (4 giugno 1944), risale e si avvicina a Firenze, che ai primi di agosto conoscerà i “giorni dell’emergenza”, con la distruzione dei ponti sull’Arno, l’arrivo degli alleati in Oltrarno accolti dal Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, l’insurrezione partigiana dell’11 agosto, la progressiva liberazione della città, dopo una lunga battaglia urbana.

Del 25 luglio 1943 Camilla ricorda lo scompiglio che portò la notizia della destituzione di Mussolini nell’albergo di un paesino della montagna pistoiese pieno di villeggianti. Porte che si aprono e si chiudono, su e giù per i corridoi per scambiarsi notizie, mancamenti per l’emozione, livore dei fascisti, felicità che si legge negli occhi.

Le pagine del diario di Camilla sono state pubblicate di recente a cura di Marta Baiardi, grazie alla disponibilità di Valentina Supino, figlia di Camilla Benaim e Giulio Supino (vedi anche la nota finale).

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Archiviato in:Camilla Benaim, La città invisibile Contrassegnato con: 25 luglio, anniversari, Filippo Benfante, Firenze, Marta Baiardi, ricordi

L’estate del 1943 a Vicenza, con una nota sull’aria di una sinfonia. Dai ricordi di Mario Mirri

24/07/2015

di Filippo Benfante

Anche in mancanza di anniversari tondi – siamo al 72° – cominciamo a rievocare le giornate del 25 luglio e dell’8 settembre 1943. Le prendiamo un po’ alla larga, grazie ad alcuni ricordi relativi all’estate 1943 a Vicenza, che lo storico Mario Mirri rese pubblici circa trent’anni fa. Mirri, nato nel 1925, dal 1939 viveva a Vicenza con la famiglia, di origine toscana, vi frequentava il liceo e gli ambienti dell’antifascismo azionista e liberalsocialista da cui sarebbe uscita la banda dei “piccoli maestri”: nel romanzo di Luigi Meneghello è “Marietto”, il più giovane di tutti. Questi ricordi sono anche l’occasione per tornare sul canzoniere partigiano che qualche mese fa ci ha accompagnato per gli auguri di buon Primo maggio.

I brani che seguono sono ripresi da un lungo intervento intitolato Fra Vicenza e Pisa: esperienze morali, intellettuali e politiche di giovani negli anni ’40, che Mario Mirri pubblicò nel 1989, come appendice al volume degli atti di un convegno dedicato al Contributo dell’Università di Pisa e della Scuola Normale Superiore alla lotta antifascista ed alla guerra, che si era tenuto a Pisa il 24-25 aprile 19851.

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  1. Il contributo dell’Università di Pisa e della Scuola Normale Superiore alla lotta antifascista ed alla guerra, atti del convegno (Pisa, 24-25 aprile), a cura di Filippo Frassati, Giardini, Pisa 1989. Il saggio di Mirri alle pp. 267-402. [↩]

Archiviato in:Filippo Benfante, Letture, Mario Mirri Contrassegnato con: 25 luglio, 8 settembre, anniversari, antifascismo, Luigi Meneghello, Resistenza

Caduto il regime, se ne rifece una specie di copia… Variazioni su 25 luglio e 8 settembre 1943

14/09/2013

di Luigi Meneghello

Sono molto note le pagine dei Piccoli maestri in cui Luigi Meneghello ha rievocato l’8 settembre 1943 (a proposito, lo abbiamo già ricordato: anche per questo libro è un anniversario, il cinquantesimo). La citazione più celebre è forse quella dei soldati protetti dal popolo, o meglio dalle donne: «“Per di qua, alpini!, per di là”: il popolo italiano difendeva il suo esercito, visto che s’era dimenticato di difendersi da sé: non volevano saperne che glielo portassero via. Alla stazione di Vicenza fummo afferrati e passati praticamente di mano in mano finché fummo al sicuro. Le donne pareva che volessero coprirci con le sottane: qualcuna più o meno provò». (Questo è l’inizio del capitolo 3, è da leggere anche tutto il 2.)

Ma abbiamo chiesto a un amico di consigliarci altri passi, altre pagine in cui Meneghello parla dell’8 settembre o, meglio, dei temi dell’8 settembre: rapporti tra autorità e subordinati, tra Stato e cittadini, continuità delle istituzioni e dei costumi, libertà, iniziativa individuale, opportunismo, fascismo e antifascismo. Il nostro amico ha preso in mano i tre volumi delle Carte, usciti (per Rizzoli) tra il 1999 e il 2001, e questo è il risultato, avvisando che l’ultima selezione, la sequenza e la presentazione sono solo responsabilità nostra.

1. «Bisogna tirare dalla nostra il prete» disse Giacomo. «Dobbiamo fare un po’ di politica. Politique d’abord! Ci troviamo alle otto.»

Andando a casa Nane mi chiese «Cosa vuol dire politì da Bor?».

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Archiviato in:La città invisibile, Luigi Meneghello Contrassegnato con: 25 luglio, 8 settembre, anniversari, pagine scelte, ricordi, storiografia

La goccia che fa traboccare il vaso. Il 25 luglio e l’8 settembre di Roberto Battaglia

03/09/2013

di Roberto Battaglia

Roberto Battaglia (1913-1963) fino all’8 settembre 1943 svolse, a Roma, la sua attività di studioso nel campo della storia dell’arte. Qualche settimana dopo l’armistizio, e la creazione della Repubblica Sociale Italiana (fine settembre 1943), decise di diventare partigiano: sarebbe entrato nelle formazioni del Partito d’Azione, agendo in Umbria e in Toscana. Già nella primavera del 1945 raccontò la sua esperienza in un libro – Un uomo, un partigiano – a lungo rimasto marginale, ma che oggi è riconosciuto come una delle più importanti e acute testimonianze di quel periodo e dell'esperienza partigiana. In occasione del settantesimo anniversario dell’8 settembre, riprendiamo alcune delle sue pagine.

L’8 settembre 1943 ero un tranquillo studioso di storia dell’arte, chiuso in un cerchio limitato di interessi e di amicizie; l’anno dopo, l’8 agosto, ebbi il comando d’una divisione partigiana che ha dato più di un fastidio al tedesco.

Per spiegare questo cambiamento della mia appartenenza sociale, se non di me stesso, debbo accennare a quella che fu la mia vita negli ultimi tempi del fascismo; per chiarire poi che cosa è stato il movimento partigiano in Italia non posso commentarlo che attraverso ciò che io stesso ho visto o fatto, ossia commettere l’immodestia di parlare in prima persona.

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Il 25 luglio 1943 a Venezia

24/07/2013

a cura di redazione sito sAm

Il 15 giugno 1934 una piazza San Marco gremita acclamava Mussolini e Hitler. Coreografia di regime? Senz’altro, ma non solo: anche consenso di massa e conformismo. Nove anni dopo, il 26 luglio 1943, nella stessa piazza si svolsero manifestazioni per festeggiare la caduta di Mussolini che, contrariamente alla catastrofe che ne sarebbe seguita, sembrava alimentare ogni speranza. Di quest’ultima giornata presentiamo tre documenti: un brano del diario di Franco Calamandrei che in quel periodo viveva a Venezia (lavorava all’Archivio di Stato); la cronaca pubblicata dalla “Gazzetta di Venezia” del 26-27 luglio 1943; un ricordo di Armando Gavagnin – pubblicato per la prima volta negli anni Cinquanta – che aveva già alle spalle quattro anni di carcere per antifascismo.

Non bastano scene di felicità a cancellare anni di passività e di silenzi: e la libertà è una pratica che va costruita nei rapporti sociali. Alcuni in quella giornata ci provarono.

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Archiviato in:Armando Gavagnin, Franco Calamandrei, Letture, redazione sito sAm Contrassegnato con: 25 luglio, anniversari, ricordi

Letture d’anniversario. 25 luglio 1943-25 luglio 2013

22/07/2013

a cura di Filippo Benfante

Settant’anni fa, il 25 luglio 1943, poco prima delle 23 la radio annunciava le dimissioni di Mussolini e la nomina del generale Pietro Badoglio a capo del governo. In molte città ci furono esultanze immediate: scene di festa, statue e altri simboli del fascismo abbattuti, assembramenti davanti alle prigioni per chiedere la liberazione dei prigionieri politici. . Invece bastarono in certi casi poche ore, talvolta pochi giorni, per accorgersi che il peggio doveva ancora arrivare. Chi voleva la fine della guerra si scontrò subito con la fine del proclama: “la guerra continua”. Poi si ci accorse che la gestione dell’ordine pubblico di Badoglio non era così diversa da quella del regime; alla radio il generale aveva detto anche: “Chiunque turbi l’odine pubblico sarà inesorabilmente colpito”: monito forse rivolto anche agli ultimi fedeli di Mussolini, ma che prima di tutto valeva per gli antifascisti, per gli operai che scioperavano, per chi chiedeva la fine della guerra. E quarantacinque giorni dopo sarebbe arrivato l’8 settembre.

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