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25 aprile

La divisione Acqui a Cefalonia, primo atto della Resistenza italiana

18/04/2023

di Sandra Savogin

In occasione del 25 aprile riceviamo e pubblichiamo il testo che ci ha inviato la nostra socia Sandra Savogin sulla resistenza della divisione Acqui a Cefalonia.

Un estratto delle interviste che Sandra Savogin ha fatto agli ultimi reduci della divisione Acqui – alcuni scampati miracolosamente al massacro – e ai loro familiari, è visibile nel documentario "Cefalonia e Corfù. Testimoni della Acqui 1943-2017", pubblicato da Associazione Nazionale Divisione Acqui – Sezione di Padova e Venezia insieme a Iveser.

 

Il processo "Cefalonia"

L’eccidio dei militari italiani della Divisione Acqui risulta essere, per dimensioni, il più grave crimine di guerra compiuto dai tedeschi nei confronti degli italiani ma paradossalmente, anche perché compiuto dalla Wehrmarcht, il crimine rimasto maggiormente impunito.

Il tema è trattato con rigore nel bellissimo saggio Cefalonia. Il processo, la storia e i documenti di Isabella Insolvibile e Marco De Paoli. Il “processo Cefalonia” è stato celebrato solamente nel 2013, grazie alla determinazione del procuratore militare di Roma De Paolis e delle figlie di due ufficiali fucilati che si sono costituite parte civile, e si è concluso il 18 ottobre dello stesso anno con la condanna del caporale Alfred Störk all’ergastolo. Questa condanna stabilisce definitivamente le responsabilità, ma non modifica dal punto di vista simbolico la percezione, presente nelle vittime e nei loro famigliari, di una sostanziale impunità di cui hanno goduto i colpevoli per questa e per altre stragi compiute dalla Wehrmacht nel periodo successivo all’armistizio nelle isole greche. Può tuttavia restituire pienamente alla resistenza della Acqui a Cefalonia e Corfù il valore di primo atto della Resistenza Italiana, come tale consegnandolo alla memoria pubblica, superando sull’episodio i dubbi posti da una “memoria divisa”.

Nel suo saggio Isabella Insolvibile dimostra la legittimità e doverosità della scelta operata da Gandin di non cedere le armi e di resistere ai tedeschi, fatta in ottemperanza ad un ordine emanato dall’unico potere legittimato a farlo, quello del re e Badoglio. La reazione tedesca fu non solo illegittima, perché attuata in spregio di tutte le leggi di guerra, ma anche criminale perché spropositata e brutale per le sue proporzioni.

Di seguito, sulla base della ricostruzione fatta nel saggio di Insolvibile e De Paolis, vengono brevemente presentate le tappe della vicenda della Acqui.

Caduta di Mussolini e armistizio

Dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, dovuta al pessimo andamento della guerra, il nuovo governo presieduto dal Maresciallo Pietro Badoglio attese fino al 3 settembre per firmare l’armistizio, che fu annunciato alla radio la sera dell’8 settembre. La notizia era stata tenuta segreta alle gerarchie militari, tranne che all’Alto Comando Militare, e nessun piano fu preordinato e trasmesso ai comandanti delle unità della Marina, dell’Aeronautica e dell’Esercito. Nemmeno al momento dell’annuncio Badoglio o l’Alto Comando impartirono direttive precise ai generali dei Corpi d’Armata, a parte l’indicazione di cessare le ostilità contro le forze angloamericane, ma di reagire ad “eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”. L’esercito italiano in patria e nelle zone occupate si sfasciò e per una gran parte gli ufficiali accettarono di consegnare le armi ai tedeschi; tra questi vi fu anche il Generale Vecchiarelli, comandante della XI Armata in Grecia a cui appartenevano le truppe stanziate nelle isole ioniche.

La situazione a Cefalonia 

A Cefalonia il Generale Gandin si trovò di fronte alla stessa alternativa posta dai comandi tedeschi alle forze armate italiane: passare con i tedeschi, arrendersi e cedere le armi, resistere ai tedeschi, senza alcuna certezza di appoggi esterni. Il giorno 9 settembre iniziò a trattare con il tenente colonnello Barge, comandante delle forze tedesche, in quel momento minoritarie rispetto al contingente italiano. L’11 settembre arrivò un vero e proprio ultimatum tedesco, con l’intimazione di cedere le armi comprese quelle individuali, mentre nuove truppe tedesche sbarcavano nell’isola. Alcune batterie italiane aprirono il fuoco contro mezzi da sbarco tedeschi manifestando la volontà di non arrendersi. In modo informale venne svolta, su iniziativa di Gandin, una consultazione tra le truppe sulle tre alternative: alleanza con i tedeschi, cessione delle armi, resistenza. Era infine giunto anche un radiomessaggio dal governo italiano in cui si ordinava di considerare le truppe tedesche come nemiche: di conseguenza il 14 settembre Gandin comunicò ai tedeschi che “per ordine del comando supremo italiano” la Divisione Acqui non cedeva le armi.

La resistenza italiana e le stragi  

Gli uomini della divisione Acqui combatterono contro le truppe tedesche dal 15 al 22 settembre. Di fronte agli iniziali successi italiani i tedeschi risposero intensificando i bombardamenti con i caccia Stukas, che agivano indisturbati poiché i soldati della Acqui non disponevano di appoggio aereo. Nuove truppe sbarcarono e, informato dell’accanita resistenza della Acqui, il Fürher impartì l’ordine che a Cefalonia non venissero fatti prigionieri “a causa del loro comportamenti insolente”. Già dal 20 e 21 i tedeschi iniziarono ad uccidere a sangue freddo i soldati italiani che si erano arresi, senza rispettare le convenzioni internazionali sui prigionieri di guerra.

Gli italiani non venivano considerati nemici catturati ma traditori, perciò i loro corpi furono abbandonati per giorni all’aperto. Il 22 settembre, dopo che Argostoli fu occupata dai tedeschi, Gandin chiese ai tedeschi la resa senza condizioni che fu accettata. Il generale fu fucilato il 24 mattina e tutti gli altri ufficiali furono condotti al capo San Teodoro e fucilati. Secondo le fonti italiane gli ufficiali e i sottoufficiali passati per le armi furono 136.

E’ tutt’ora molto complessa e lungamente discussa la stima esatta dei caduti o dispersi a Cefalonia e Corfù, per la disparità delle cifre presenti nelle numerose fonti e nelle diverse pubblicazioni. La lapide posta sul monumento ai caduti di Cefalonia e Corfù, inaugurata nel 1978 riporta, secondo stime del Ministero della Difesa, il numero complessivo di 9.970 di caduti tra soldati e ufficiali. Le pubblicazioni recenti Cefalonia di Elena Aga Rossi e Né eroi, né martiri solamente soldati di Camillo Brezzi propongono che gli italiani della Divisione Acqui morti in battaglia o fucilati dai tedeschi dopo la cattura siano stati 3.800 circa.

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Archiviato in:Sandra Savogin Contrassegnato con: 25 aprile, 8 settembre, Resistenza

Una rivoluzione del costume. Le speranze scambiate per certezze, estate 1945

24/04/2021

di Carlo Levi, con una nota di Filippo Benfante

Per i nostri auguri di buon 25 aprile, quest’anno ricorriamo ad alcuni appunti che Carlo Levi scrisse nel giugno 1945, quando poté raggiungere il Nord Italia – Torino e Milano – quale inviato della “Nazione del Popolo”. Era condirettore di questo giornale, quotidiano del Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, fin dai giorni della battaglia di Firenze (cominciata l’11 agosto 1944, la città fu interamente liberata a fine mese). Nell’esplosione di vitalità, nella vita “estremamente popolare” in cui si trovò immerso per un attimo a Milano, Levi vedeva il segnale di una “realtà” in atto. La guerra partigiana e l’esperienza democratica dei CLN avevano lasciato un segno indelebile, non si sarebbe tornati indietro. Il tirannicidio che mancava alla storia d’Italia (ovvero l’esecuzione di Mussolini) segnava un “taglio netto” con il passato. A distanza di pochi anni, nelle pagine dell’Orologio, Levi avrebbe riconsiderato quella sicurezza; ma non cambiò la sua opinione su ciò che furono – per un breve momento, ma per davvero – quei giorni che oggi mettiamo sotto l’etichetta di 25 aprile.

La guerra partigiana, con il suo complesso di attività e di modificazioni, che hanno inciso sulla vita non soltanto di coloro che stavano sui monti, ma nella popolazione intera, ha lasciato in tutti un segno che non si cancella; è stata una grande esperienza collettiva, e, a parte il suo valore bellico e politico, è stata una scuola di autogoverno, una tangibile dimostrazione di democrazia. Chi non si rende conto di questo, e vagheggia impossibili ritorni a una «normalità» prefascista, o, al contrario, senza valutare quello che è avvenuto, sogna palingenesi da avvenire, al solito, in un indeterminato futuro, non tiene conto della realtà. Il carattere estremamente popolare della vita milanese che colpisce anche l’osservatore che si fermi agli aspetti esteriori delle cose, questo mescolarsi di uomini e donne di tutte le classi, questo vivere in strada, non sono che uno dei segni esterni di questa realtà.

C’è il rovescio della medaglia, ci sono le insufficienze e le miserie di una situazione difficile, gli errori di eccesso o di difetto, gli squilibri dovuti alla divisione del paese, per ragioni obiettive e per la politica a settori praticata purtroppo dagli alleati, ecc. Ma un fatto è certo: una rivoluzione del costume è avvenuta, un taglio netto separa l’oggi dal passato. Il sangue dei capi fascisti, il distributore di benzina di piazzale Loreto è stato un simbolo benefico e non dimenticato di questa frattura. Esso pone tutte le cose su un’altra prospettiva, le fa vedere con altri occhi. Non importa se talvolta impedisce anche di vedere (il Dittatore di Charlot, per esempio, questa singolare e alta opera d’arte, qui a Milano è stato male accolto, e criticato perché, si dice, dopo Buchenwald e piazzale Loreto esso sembra inopportuno). Potrà per un certo tempo soffrirne la poesia, finché gli animi siano ancora tesi, e gli interessi rivolti tutti alle costrizioni quotidiane: ma non vi è in questo nessun male: si ritrovano le cose, dopo anni di prigione. Gli uomini della Resistenza sanno ormai di poter governare, e di doverlo fare, nell’interesse comune. Ferruccio Parri, il capo della Resistenza, è presidente del Consiglio, e ha fatto sentire, nei suoi primi discorsi, una voce, un tono morale, veramente nuovi; e perfino una forma nuova di eloquenza civile.

Che cosa sia, politicamente, questa novità, cercherò di dire altra volta, quando tornerò, nei prossimi giorni, in questa capitale del Nord, dopo questo primo passaggio fuggevole, e mi ci fermerò più a lungo. Ora lascio Milano e i suoi balli estivi: l’automobile mi aspetta per portarmi a Torino.

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Archiviato in:Carlo Levi, Filippo Benfante, La città invisibile Contrassegnato con: 25 aprile, anniversari, antifascismo, pagine scelte, Resistenza

Salve per un soffio. L’attività di soccorso di suor Pier Damiana a Venezia nel 1943-1944

23/04/2021

di Albarosa Ines Bassani

Suor Pier Damiana nel 1944 si trovava nell’istituto San Filippo di Venezia, dipendente dalla casa delle Suore Maestre di Santa Dorotea di Vicenza. Riprendiamo alcune pagine a lei dedicate dal recente libro di suor Albarosa Ines Bassani, Le suore della libertà. Tra guerra e resistenza (1940-1945) (2020), che documenta attività di soccorso a favore di donne ebree e perseguitate politiche prestate dalle suore dorotee durante la Seconda guerra mondiale. Ce le ha segnalate il nostro socio e amico Elvio Bissoli, come occasione per riflettere sui temi della Resistenza civile, del rapporto tra obbedienza e scelte di coscienza, delle reti di relazione e della fiducia (cercare aiuto bussando a una porta con una lettera di presentazione, senza certezza sull’esito di quel gesto).

Era successo dieci anni prima, nel 1944. Con fatica aveva tentato di rimuovere il ricordo di quell’angoscia terribile, e ora che si trovava da due anni nella Casa Madre di Vicenza, come responsabile del laboratorio di paramenti sacri, non capiva perché le avevano mandato quella grande busta. Conteneva una lettera del presidente della Comunità Israelitica di Venezia, datata 24 ottobre 1955, e un cartiglio disegnato a matita, intitolato “Certificato di riconoscenza”. Nell’aprile di quell’anno l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane aveva conferito la medaglia d’oro a ventitré persone scelte tra quelle che avevano rischiato la vita per salvare gli ebrei negli anni della persecuzione. Ma ne rimanevano fuori tante, e poiché quelle segnalate dalle varie Comunità o da singoli ebrei erano numerosissime, il Comitato centrale aveva istituito un Certificato di riconoscenza, a ricordo “del bene che, fra tanto male, è stato compiuto in quei tristissimi anni”1. 

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  1. Cfr. il certificato di riconoscenza con la lettera accompagnatoria 24 ottobre 1955, del presidente della Comunità Israelitica di Venezia Vittorio Fano, in AIF [Archivio Istituto Farina], Persone, al nome “Suor Pier Damiana”. […]. [↩]

Archiviato in:Albarosa Ines Bassani, Letture Contrassegnato con: 25 aprile, Elvio Bissoli, pagine scelte, Resistenza civile, soccorso, suor Pier Damiana Cadorin

In nome di quale Stato? Il processo contro i torturatori di Emanuele Artom, a 70 anni dalla prima sentenza

18/04/2021

di Bianca Guidetti Serra

Ci avviciniamo al 25 aprile pensando a chi ebbe “la strana idea di battersi per la libertà”, ma non poté vedere la Liberazione. Riprendiamo le pagine che Bianca Guidetti Serra dedicò a Emanuele Artom, ucciso nell’aprile del 1944, dopo due settimane di orrende sevizie. Vent’anni dopo, la Guidetti Serra decise di verificare se i torturatori di Artom (e dei partigiani Ferrero e Costabel, e di Giovanni Balonsino, Guglielmo “Willy” Jervis, Jacopo Lombardini, altri compagni uccisi dopo essere stati seviziati) avevano pagato per i loro crimini, consultando gli archivi giudiziari: la sua attività di avvocato la aiutò ad accedere alla documentazione. Appurò altri vilipendi: lo Stato italiano, che nelle carte processuali si era intestato l’attività partigiana di Artom, depennò la condanna emessa in contumacia contro l’unico responsabile identificato con nome e cognome, latitante; entro il 1960 gli riconobbe addirittura la pensione, con gli arretrati. Nulla da ridire sul piano formale: tutto legale sulla base di articoli del codice, di provvedimenti di legge, di sanatorie, e di una legge del Regno Sardo del 1858 passata al Regno d’Italia e infine alla Repubblica. Una “storia esemplare”, avvisa amaramente Bianca Guidetti Serra cominciando la sua ricostruzione.   

Sono trascorsi più di vent’anni ed una sera, riandando con amici al tempo passato, si discorre di Emanuele. Di lui il ricordo è ben presente. Ma i suoi torturatori furono individuati, giudicati, con quali esiti? E qui la memoria di ciascuno si confonde, diviene approssimativa. Non solo: c’è chi si chiede se valga la pena ricordare quei fatti infami. Le opinioni sono divise. Io decido di rivangare un po’ di quel passato.

Comincio dall’Archivio della Corte d’Assise di Torino che ha giudicato una parte della vicenda. Il fascicolo del processo dapprima non si trova. Mi aiuta, con la memoria, un vecchio Cancelliere: “Guardi che è finito in Cassazione e poi a Genova…”. Insomma lo trovo quel benedetto fascicolo: incompleto, privo di molti verbali e di altri atti, ma l’essenziale, la sentenza e qualche documento rilevante ci sono. Quanto basta per ricostruire una storia esemplare.

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Un brindisi per la Liberazione. Guardando un film

24/04/2020

di Elvio Bissoli

Da alcuni anni storiAmestre organizza un brindisi per la Liberazione, preceduto dalla visione di alcuni spezzoni di film sulla Resistenza, e la guerra e il fascismo, introdotti brevemente dal nostro socio Elvio Bissoli. La quarantena non ci fa rinunciare a questa recente tradizione, ma dobbiamo trasferirla sul nostro sito. Elvio ci parla del film Il Terrorista, di Gianni De Bosio, uscito nel 1963. Buon 25 aprile, e salute.

Nel vasto panorama dei film dedicati alla Resistenza Il Terrorista è stata un’opera anomala e scomoda per il tempo in cui è stata realizzata. 

    

È un film anomalo, come anomala è stata la Resistenza a Venezia rispetto alle caratteristiche e alle forme della lotta di Liberazione condotta nelle aree rurali e montane del Veneto. 

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“I nostri morti”. Un necrologio di Marc Bloch del 1945

24/04/2019

di Gino Luzzatto

Per celebrare il 25 aprile, quest’anno ricorriamo al necrologio che Gino Luzzatto scrisse nel 1945 per Marc Bloch, lo storico francese ucciso dai nazisti nel giugno 1944. Il breve omaggio apparve sotto la rubrica “I nostri morti” sul primo numero della “Nuova Rivista Storica” uscito dopo la Liberazione. Luzzatto vi riprendeva pubblicamente il suo posto di condirettore, che aveva dovuto lasciare nel 1938 in seguito alle leggi razziali.

Nell’autunno del 1944, non appena furono ristabiliti, in misura ridottissima, i nostri rapporti col mondo culturale francese, una notizia estremamente triste ci giunse di laggiù: la morte eroica di Marc Bloch, caduto per la libertà e per la rinascita del suo paese! Sapevamo ch’egli doveva essere nella lista nera della Potenza occupante e dei suoi collaboratori, perché già nel 1939 avevamo letto il suo nome, accanto a quello di molti autorevoli scienziati e letterati, tra i firmatari di un manifesto che protestava contro la politica aggressiva e sopraffattrice della Germania di Hitler. Scoppiata la guerra, avevamo saputo che egli, nonostante l’età non più giovanile (aveva superato i 50 anni), s’era affrettato a compiere il suo dovere di soldato. Apprendiamo ora che, dopo il crollo della Francia, egli non aveva voluto abbandonare la sua patria ed aveva affrontato i disagi ed i rischi della resistenza clandestina, che lo condusse a cader vittima del piombo tedesco.

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