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1848

“La repubblica è morta”. Il 2 dicembre di Jacques Vingtras

02/12/2020

di Jules Vallès, a cura di Enrico Zanette

Oggi è un anniversario: il 2 dicembre 1851 Luigi Napoleone Bonaparte – che Victor Hugo chiamava Napoléon le Petit per distinguerlo sarcasticamente dallo zio – compiva un colpo di Stato contro le istituzioni della repubblica francese. Jules Vallès raccontò la fallita resistenza a Parigi nel suo romanzo Il diplomato, di cui abbiamo già parlato su questo sito. Ne riprendiamo ancora un capitolo: una giornata buia e cupa, spostamenti inutili, esitazioni, rassegnazione. E soprattutto la scoperta – per l’alter ego letterario di Vallès, Jacques Vingtras – di ritrovarsi tra redingote, tra «borghesi»; il popolo di Parigi, le bluse, gli operai, non li avrebbero seguiti. Per loro la repubblica era già morta da un pezzo, nelle giornate del giugno 1848, quando proprio quei repubblicani borghesi erano stati i loro carnefici, assassini della repubblica democratica e sociale, un sogno durato solo  pochi mesi.  

«Vingtras!».

Mi sfondano la porta!

«Vingtras, Vingtras!».

È una specie di grido di terrore! Salto giù dal letto e vado ad aprire, stordito… Rock! pallido, stravolto!

«Il colpo di Stato!…».

Mi viene la pelle d’oca.

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Archiviato in:Enrico Zanette, Jules Vallès Contrassegnato con: 1848, 2 dicembre 1851, anniversari, pagine scelte, Parigi, rivoluzione

Cosa successe a Mestre il 22 marzo 1848? Per l’anniversario della rivoluzione del 1848

22/03/2020

di Piero Brunello

Ricordiamo l’anniversario del 22 marzo 1848 pubblicando un saggio di Piero Brunello uscito per la prima volta nel 2011 nell’annuale “L’Esde. Fascicoli di studi e di vultura”, rivisto per l’occasione.

Il 22 marzo 1848 l’Arsenale di Venezia cadde nelle mani degli insorti veneziani; poco dopo il governatore militare austriaco firmò la capitolazione, impegnandosi a trasportare immediatamente le truppe non italiane a Trieste. 

Campane a festa dal campanile di San Marco; sventolare di stoffe cucite a mo’ di tricolori italiani, a volte con le bande verticali, a volte orizzontali; simboli e bandiere con il leone della Serenissima ripescati dalle soffitte; uomini svenuti in strada per l’emozione; cappelli con le piume in testa; cori d’opera a squarciagola; cortei di ragazzi fino a notte fonda con fiaccole, canti e tamburi; soldati lombardi e veneti in giro per le calli a bere con i civili nelle osterie; stemmi con l’aquila imperiale tolti dai muri delle case e buttati in acqua. Le guardie di polizia si chiusero in casa, e alcune vi rimasero nascoste fino all’agosto del 1849, quando la città fu riconquistata dagli Austriaci. Ancora non si avevano notizie da Milano, che in quei giorni si era riempita di barricate e di morti per le strade, ma sembrava davvero che l’impero asburgico fosse crollato su se stesso.

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I Daniel Blake (Regno Unito, 2016). Io Michele Padovani (Regno Lombardo Veneto, 1848)

30/04/2019

di Piero Brunello

Per i nostri consueti auguri di buon Primo maggio, riprendiamo un discorso che Piero Brunello ha tenuto in un’assemblea di storiAmestre alla fine del 2016, che aveva per tema rapporti di lungo periodo tra carità istituzionale, controllo della marginalità e proliferazione degli apparati statali. Ce lo hanno fatto tornare in mente le discussioni recenti sul reddito di cittadinanza. Con una nota finale.

Mentre guardavo al cinema il film di Ken Loach sulla vicenda di Daniel Blake pensavo a una storia dickensiana (si sa quanto sia importante Dickens nella tradizione del socialismo britannico), ma quando ho visto che a un certo punto il protagonista non ha altra possibilità di protesta che denunciare la propria situazione scrivendo sui muri ho pensato a un’altra storia, questa volta ambientata nel Lombardo Veneto, che riguarda la vita di un uomo di nome Michele Padovani.

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Archiviato in:La città invisibile, Piero Brunello Contrassegnato con: 1848, Daniel Blake, Ken Loach, Michele Padovani, Primo Maggio

“In che senso rivoluzione?”. Il Quarantotto a Venezia

16/03/2019

di Piero Brunello, a cura di Andrea Lanza

Primavera, tempo di rivoluzioni. Quest’anno ricordiamo l’anniversario delle “giornate rivoluzionarie” del Quarantotto a Venezia (17-22 marzo) riprendendo alcune pagine da un libro recente di Piero Brunello, Colpi di scena. La rivoluzione del Quarantotto a Venezia (Cierre, Sommacampagna 2018). L’autore parlerà del suo libro lunedì 18 marzo (il giorno dell’insurrezione popolare a Venezia, la prima delle cinque giornate del Quarantotto a Milano e il primo giorno della Comune di Parigi del 1871), alle ore 19 all’Avamposto a Rialto. Il libro sarà presentato a Mestre il 20 marzo, presso lo spazio Negozio Piave 67, alle 17,30 (con l’autore, Paola Sartori e Fabio Bortoluzzi).

Nota del curatore

Il libro di Piero Brunello di cui presentiamo qui alcune pagine è diviso in due parti diverse per approcci e linguaggi, separate da un breve intermezzo. Le prime duecento pagine sono un racconto corale di una rivoluzione in divenire, scandito per giornate: dal 17 al 22 marzo 1848. Sulla base di fonti raccolte in una quarantina d’anni di ricerche, l’autore alterna punti di vista diversi, con testimonianze talvolta inconciliabili, di persone che si trovavano in posizioni diverse – nella società e nello spazio fisico –, mettendole a confronto con il racconto degli eventi rivoluzionari che sarebbe diventato quello “ufficiale”. Brunello mostra come gli eventi che portano alla proclamazione della Repubblica si producano al di là delle previsioni e delle attese delle persone coinvolte, e grazie all’apparente convergenza di classi e visioni politiche diverse. Allo stesso tempo, osserva come non furono mai realmente superate le distanze e le diffidenze che separavano le classi popolari anche da quei benestanti impegnati nella rivoluzione, che si autodefinivano membri della classe “intelligente” (aggettivo che oltre a dare un’idea delle qualità che si attribuivano, contiene specularmente tutta l’incapacità di capire l’intelligenza popolare). Se per le prime la rivoluzione non poteva che essere sociale, per i secondi non doveva che essere politica, e agli stessi termini (repubblica, per esempio) erano attribuiti significati ben diversi.

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I cannoni asburgici di Cortina. Ladinità, marketing territoriale e disinteresse per la ricerca storica

10/09/2017

di Piero Brunello

A fine luglio, una notizia relativa alla ricollocazione di due cannoni ottocenteschi nell’atrio del municipio di Cortina suscita la curiosità di Piero Brunello. Verifica di alcune delle circostanze storiche rievocate, e riflessioni sulla etnicizzazione del discorso e sull’uso pubblico della storia.

1. A fine luglio sono rimasto incuriosito leggendo in un giornale online la notizia che “i cannoni di Radetzky”, a un certo punto rimossi dall’atrio del municipio di Cortina dal commissario straordinario con “malcontento della comunità ladina” (perché “Sono la nostra storia”), erano tornati dov’erano; la notizia di cronaca era corredata di una breve storia della vicenda.

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La difesa di ciò che dovrebbe essere. Parigi, giugno 1848

23/06/2017

di Andrea Lanza

Il nostro amico Andrea Lanza ci propone una riflessione sulle “giornate di giugno” del 1848, quando uomini e donne dei quartieri popolari di Parigi presero le armi contro la repubblica nata dalla rivoluzione di febbraio, in nome della repubblica democratica e sociale che pensavano dovesse esistere. La notte tra il 22 e il 23 giugno le strade dell’est parigino cominciarono a coprirsi di barricate; l’ultima avrebbe ceduto la mattina del 26, dopo quattro giornate di terribili combattimenti. Con una riflessione sul significato di insurrezione (e implicitamente di rivoluzione) e sull’uso dell’analogia storica: le ragioni e i sentimenti di chi prese le armi per la repubblica nel giugno 1848 possono essere pensate insieme a quelle di chi partecipò alla Resistenza e sognò la repubblica nel 1945?

Finire i Socialisti, questo mi ricorda ciò che vidi nelle giornate di giugno. Una truppa di soldati conduceva dei prigionieri (dei Socialisti) al Champ-de-Mars per fucilarli. Uno di questi sfortunati, sul ponte della Concorde, scappa, salta il parapetto e si tuffa nella Senna. Sta cercando di salvarsi nuotando, gli sparano dei colpi di fucile dal ponte. Ferito, continua a nuotare. È appena arrivato alla riva, ma della gente onesta che si trova lì lo finisce a colpi di calcio di fucile.

Pierre Leroux, La Grève de Samarez. Poème philosophique, Paris 1863, t. I, p. 293.

È una ricorrenza triste quella delle giornate di giugno, che passa ogni anno, da sempre, pressoché nel silenzio. La difficoltà di ricordare è anche dovuta alla particolare natura di quelle giornate. Cosa ricordare? Come chiamare quello che si dovrebbe ricordare? “Giornate”, “fatti”, “massacri”, “insurrezione”.

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