di Maria Giovanna Lazzarin
Il 30 novembre si è tenuta a Zelarino la presentazione del libro di Maria Luisa Torre, Memorie dalla Contea. 1943-44. Pubblichiamo il testo dell’intervento con cui Maria Giovanna Lazzarin ha aperto l’incontro.
1. Memorie dalla Contea parla di una bambina di circa settant’anni fa che a causa della guerra si trasferisce con la famiglia da Mestre in campagna1.
Quando esce un nuovo libro, la prima domanda che viene in mente è: serviva proprio? Ebbene questo libro serve innanzitutto a salvare un toponimo – la Contea – che racchiude in sé, da come ne parla Maria Luisa, un mondo di profumi, di suoni, di colori, di storie e di persone: ci viene incontro la Vica dell’omonima trattoria, la fornaia Angela, Adolfo e Dobrilla mugnai del mulino Orso Bianco, il droghiere Marcello, la Cristina con le labbra dipinte di un rosso brillante e una sigaretta sempre accesa.
Oggi, se chiediamo a qualcuno di indicarci la strada della Contea, credo che pochi saprebbero rispondere e molti si stupirebbero della domanda e ci guarderebbero con occhio strano. Ma fino a 50-60 anni fa era una località ben definita, lungo la Castellana, tra Zelarino e Trivignano e aveva come punti di riferimento la via Gatta a Nord e a Sud il fiume Marzenego e il molino Fabris, che la gente chiamava dell’Orso bianco.
Ambientato in quel luogo, scorre un racconto della memoria e dell’infanzia, cioè di quell’età quando immaginazione e realtà più si confondono e si integrano: un cane può diventare un cavallo e la parola partigiano può evocare nobili persiani, con eleganti camiciotti di seta sopra ampi pantaloni e la scimitarra al fianco.
La guerra resta spesso sullo sfondo per questi bambini e bambine, il mondo dei grandi, che cercano di rassicurarli come meglio possono, è ridotto a singoli aneddoti o abitudini salvate nella memoria, ma la scrittrice e i suoi piccoli compagni colgono le mezze frasi degli adulti, le conservano, le ricostruiscono a modo loro. Così quando il Corriere dei piccoli, tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943, dà la notizia della caduta di Mussolini scrivendo “La belva fascista è caduta” – questa almeno la memoria dell’autrice2 –, il gruppetto di bambini prepara nel cortile davanti a casa un proprio processo al dittatore perché “anche noi bambini avevamo qualcosa da dire, benché nessun adulto ci ritenesse desiderosi e capaci di farlo”.
Viene a galla in queste pagine una stagione della vita in cui una bambina ha potuto scoprire se stessa e paradossalmente questo è avvenuto proprio perché c’era la guerra e gli adulti di riferimento erano preoccupati in altri pensieri, quindi lei era libera di muoversi in questo spazio in libertà. Forse proprio l’esperienza della liberta è stato il senso più profondo di ritornare a quegli anni.
2. Nell’esercizio della memoria la vita può tornare con un’aggiunta di senso (alle volte anche di non senso), ma dalla memoria ci viene incontro anche la mancanza, la perdita.
Leggendo Memorie dalla Contea mi rendo conto di quanto abbiamo perso: la confidenza col fiume dove i bambini andavano a imparare a nuotare mentre adesso il Marzenego è spesso inaccessibile, la presenza dei fossi che Maria Luisa Torre descrive lungo la Castellana o del fosson dove i bimbi si divertivano a scivolare sul ghiaccio, l’umanità presente in quelle che adesso vengono chiamate periferie, mentre dal racconto emerge una comunità in cui i bambini potevano muoversi liberamente perché erano guardati da tutti e dove era possibile fare esperienza di altre vite nella solidarietà.
Maria Luisa ricorda con orgoglio la processione del sabato in cui mendicanti e vecchi, che a lei allora sembravano dei viandanti misteriosi, andavano per le case della Contea, le mamme mettevano sul davanzale delle monetine e i bambini le consegnavano salutandoli al nome di barba e amia.
Leggendo la storia di questa bambina si riscontra un investimento nuovo e interessante sul suo futuro da parte dei genitori.
Nel 1990 uscì un numero della rivista di storia delle donne Memoria dedicato ai racconti d’infanzia delle bambine3. Le redattrici avevano chiesto a sindacaliste come Paola Piva, storiche e sociologhe come Chiara Saraceno dei racconti autobiografici sulla loro vita di bambine negli anni Cinquanta.
Ogni racconto era diverso dagli altri, ma c’erano alcune costanti e la prima era la novità dell’investimento sullo sviluppo intellettuale delle figlie e non solo dei maschi. Un’attenzione rara in quegli anni, bisogna aspettare il 1973 perché venga pubblicato il libro Dalla parte delle bambine di Elena Gianini Belotti4, che denunciava le differenze nell’educazione tra maschi e femmine.
Nei ricordi di Maria Luisa questa attenzione emerge già, anche se eravamo in tempo di guerra e la famiglia faticava a tirare avanti: la madre è molto attenta al fatto che lei vada a scuola, tant’è che chiama anche una giovane maestra ad aiutarla; il padre le porta a casa il Corriere dei piccoli o i libri che trova nelle bancarelle e che l’aiutano a compensare con l’immaginazione le difficoltà, i divieti, l’impotenza nei confronti degli adulti, la grande distanza che c’era tra grandi e piccoli in quel periodo.
Nei racconti presentati dalla rivista citata, le bambine per questa attenzione dei genitori si sentono spesso diverse dal resto del mondo infantile.
Maria Luisa parla di quando traduce dal dialetto all’italiano per le sue compagne di classe o viceversa per la maestra, ma sembra ben accolta nel gruppo dei bimbi e delle bimbe della Contea, il gioco con loro è libero, senza la separazione delle femmine dai maschi che invece si nota in quei racconti. Forse una differenza sta proprio nei luoghi in cui quelle autobiografie sono ambientate, quasi sempre urbani. Maria Luisa infatti sottolinea come, nel passaggio della sua famiglia, in quanto profuga, dalla città Mestre alla Contea, si sia spalancata per lei una libertà di movimento, una possibilità di sperimentare le proprie capacità fisiche e mentali, una conoscenza della natura prima ignota.
In quegli anni città e campagna potevano offrire ancora spazi diversi per i bambini, mentre temo che oggi si siano ristretti dappertutto, ha preso il sopravvento la paura e, come la stessa autrice dice nel libro, tutti gli spazi devono essere organizzati e controllati dagli adulti.
Questo libro allora diventa una testimonianza per il futuro, ci invita a costruire un futuro a misura di bambini e bambine, a riprendere le idee di Francesco Tonucci sulla città dei bambini5, volte a pensare e costruire spazi in cui i bambini possano giocare, inciampare, scoprire in piena autonomia. Solo così secondo questo ricercatore e psicologo, potranno sviluppare un prezioso senso di responsabilità e di resistenza alle difficoltà.
3. La seconda parte del libro contiene uno scavo storico del nome e del luogo chiamato Contea. Il bel saggio di Claudio Pasqual ci spiega come questo toponimo rinvii ai possedimenti di una delle più importanti famiglie della nobiltà veneziana, i Foscari, la cui influenza nel territorio arriva fino a Pietro Foscari, uno dei padri, insieme a Volpi, dell’idea di Porto Marghera. A Zelarino c’è ancora la loro villa di campagna.
Il saggio è interessante anche perché va indietro nel tempo fino all’incerta investitura dei Foscari a conti da parte di Giovanni di Lussemburgo nel 1331 e formula l’ipotesi che le origini di questa nobiltà, che poi si distinse nell’arte della mercanzia d’oltremare e diede a Venezia un doge, Francesco Foscari, possano essere ricondotte proprio ai mansi di Zelarino e della Contea. Così questo luogo quasi dimenticato si apre a una realtà storica di lunga e avventurosa durata.
- Le Memorie coprono il periodo tra il 1943 e il 1944 in cui Maria Luisa Torre fu sfollata nella zona di Zelarino, dopo aver lasciato l’abitazione di Mestre, in via Manin. Dopo il bombardamento su Mestre del luglio 1944, la famiglia Torre lasciò la Contea trasferendosi a Venezia. [↩]
- Una verifica sulla collezione del famoso supplemento del Corriere della sera conferma che questo ricordo è una proiezione posteriore di Maria Luisa Torre: nelle pagine del giornalino nessun segnale degli avvenimenti politici e militari in corso tra il 25 luglio e l’8 settembre; il Corriere dei piccoli peraltro continuò a uscire puntualmente ogni settimana nel territorio della Repubblica Sociale Italiana fino alla fine della guerra – l’ultimo numero di questo periodo è datato 29 aprile 1945. [↩]
- Bambine, racconti d'infanzia, numero monografico di «Memoria. Rivista di storia delle donne», 28, 1990. [↩]
- Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, Milano 1973. [↩]
- Francesco Tonucci, La città dei bambini. Un modo nuovo di pensare la città, Feltrinelli, Milano 2015. [↩]