di Matteo Melchiorre
Nell’aprile 2004 uno dei cantieri per la costruzione della superstrada denominata SS 50 bis/var si apre a due passi da casa di Matteo Melchiorre, a Tomo, nel feltrino. Che fare di fronte agli sventramenti che cominciano subito a cambiare fisionomia al territorio? Che fare di fronte a un progetto che oltre alla terra muove parecchi soldi, ma sulla cui utilità e “sostenibilità” per le vite di chi abita in quella zona ci sono molti dubbi?
Melchiorre comincia a osservare, prende nota di come procedono i cantieri, scatta foto, segue i dibattiti e le cronache sui giornali locali, fa qualche ricerca d’archivio, discute con gli operai che lavorano alla strada, con i vicini di casa, con amici che come lui sono refrattari a questa ulteriore cementificazione di un territorio già saturo. Peraltro non tutti sono contrari alla costruzione della strada, anzi.
Cinque anni abbondanti di note: dal 2004 al 2009. Al diario-cronaca, l’autore affida anche riflessioni “sul dissenso” che sviluppa in un racconto di pura invenzione: le gesta di una “banda” creata dal protagonista-narratore e dai suoi amici per sabotare l’avanzamento dei lavori.
Nel maggio 2011, il manoscritto diventa un libro: La banda della superstrada Fenadora-Anzù (con vaneggiamenti sovversivi), edito da Laterza. Per gentile concessione dell’editore e dell’autore, che tra le altre cose è un socio di storiAmestre, ne pubblichiamo qui di seguito alcuni brani. Sia anche il nostro piccolo segno di solidarietà e stima – queste, invece, grandissime – per chi sta passando l’estate a resistere in Val di Susa.
Cani maledetti! Cos’avete fatto nel tempo di una giornata? Via la strada antica per il paese, con le sue muràde, via il sorgo, via il prato, via tutto. Ma non è mica un cantiere singolo, è una catena prodigiosa di escavazioni e smaltamenti. Tutto un cantiere che si tira. Nove chilometri.
[…]
La superstrada aggirerà da sud una subcittà diffusa: Feltre. […] La subcittà sta in provincia di Belluno, in cima al Veneto, territorio vagamente alpino e a margine delle correnti stradali. Considerate le esigenze dello sviluppo, la presenza di strade è giudicata un imperativo. Si deve arrivare nelle zone industriali, concentrate nelle valli, e raccogliere i turisti in strade più pratiche.
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Novembre 2004. Sui prati sopra il cantiere delle Rive staziona un gregge di pecore; gli armenti scendono dal Grappa e vanno per la Bassa. Un pastore, cane peloso seduto al fianco, guarda gli scavatori, brandenti benne dentute, mentre aprono una via sempre più fonda su cui passano ruspe, betoniere, camion. Intanto le perforatrici, girano, girano e girano.
I quotidiani di novembre dicono che nel Feltrino il cancro al polmone è del 40% superiore alla media veneta e che i tumori all’apparato orofaringeo sono superiori dell’80%. Per questo bisogna darci sotto coi lavori della superstrada, per tenere lontani dai polmoni il benzene e il monossido di carboni prodotti dalle auto. L’ingegner Elmo Condorelli, direttore dell’Anas per il Veneto: la Fenadora-Anzù sarà pronta entro dicembre 2005 (prima scadenza).
Un amico che frequenta una palestra di Feltre mi comunica che vi si allenano tutti i giorni alcuni operai dell’impresa Equetto. Detto fatto: mi sono iscritto alla palestra.
[…]
Gli operai della superstrada finiscono il lavoro, arrivano in palestra sulle sei e mezza, si cambiano in spogliatoio e cominciano con la cyclette. A dire il vero questi operai di Napoli parlano poco. La difficoltà linguistica in cui mi sono trovato, poi, ha peggiorato le cose poiché parlano tra loro un dialetto campano non penetrabile. Una volta gli operai si lamentavano di non so che direttore dei lavori o ingegnere. Un’altra volta l’operaio atletico rispondeva al titolare della palestra, il quale gli aveva chiesto se non poteva bastar loro lo sforzo nel cantiere, senza venire, in aggiunta, a sfinirsi anche in palestra. L’operaio gli ha risposto che garantisce: lo sforzo del cantiere si può definire tutto fuorché moto.
Ho raccolto altri elementi. Gli operai abitano a Feltre, in un condominio davanti alla stazione, e sono quel che si dice esternisti. Hanno i parenti nel Meridione e loro stanno quassù, un mese, due. Per le ferie e i ponti fanno fagotto e tornano a casa. Finita la ricorrenza tornano e riprendono con la Fenadora-Anzù. Mangiano, pranzo e cena, in ristoranti del Feltrino, avvalendosi di buoni e conti ad hoc. Hanno liberi il sabato e la domenica, a meno di straordinari.
Gli operai non parlano della superstrada, bisogna che siano aizzati con domande. La domanda dei frequentatori della palestra, tuttavia, è una soltanto: quando sarà finita la superstrada? Questa, di norma, è un’insinuazione precisa. Gli operai, mentre rispondono, ridacchiano. Ma fanno un discorso preciso. Dicono che loro non sanno, loro lavorano.
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Aprile 2005. All’una di pomeriggio gli operai della Equetto escono dalla trattoria Aurora di Feltre. Montano sul loro furgone e aspettano, poi quello alla guida tira giù il finestrino e urla: "E spicciate!". Uno degli operai, infatti, stuzzicadenti in bocca, si era attardato in ristorante.
Silvio De Boni, titolare di una tipografia a Rasai: è naturale che ci siano disagi. Ci sono sempre quando si affrontano lavori nuovi, in vista di un miglioramento. Il disagio specifico è la voce che i lavori della Fenadora-Anzù siano in preoccupante ritardo su tutto il fronte. Il consigliere comunale Oscar Budel è preoccupato. Il sindaco Ivo Lacedelli è preoccupato. Il consigliere regionale Nevio Trabucco è preoccupato: ritardi nella liquidazione delle imprese subappaltatrici? Stando così le cose Nevio Trabucco, il vicesindaco Ales Chenet e il deputato feltrino Giusto Talamini sono andati là dove si prendono le decisioni (Roma). Hanno discusso con il direttore generale dell’Anas Michele Minenna, il quale ha promosse un meeting tra Anas, amministrazioni locali e imprese esecutrici. Il consigliere regionale Nevio Trabucco: chiederò un’impennata ai lavori e la presenza d’ora in poi di almeno 50 operai al lavoro.
Lavori nisba. Altro che impennate. Ma basta una giornata ogni tanto in cui gli scavatori si impuntino perché tutto venga sconvolto di nuovo. Lo stesso delle Rive di Tomo è una voragine unica, dritto per dritto. Ci sono rivoli d’acqua che corrono dappertutto, vene sotterranee tirate in superficie dalle benne e che fluiscono scintillanti nel cantiere. Per terra ci sono oggetti di ogni genere: calzini, pacchetti di sigarette, una tuta verde della Bonifitech, tubi di fogge diverse, una maglietta fradicia di pantano, stivali, cavi d’acciaio, una bottiglia di vino che galleggia in una pozza. Qua non c’entra. Le Rive sono diventate una landa desolata e tristissima.
Sempre più triste, poi, è la casa colonica, qua sopra agli sterri. Che succede? La facciata si incurva in un gemito? Il mezzo oblò dell’altana urla o non urla la sua disperazione sacrificata?
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La seduta inaugurale della nostra cospirazione è stata organizzata al campo sportivo di Tomo […] hanno comandato che io cominciassi subito, senza tirar fuori tante cagne.
Come dice saggiamente un tipografo ci sono sempre dei disagi quando si affrontano lavori nuovi, in vista di un miglioramento. Ma guardiamoci intorno. Non hanno ormai preso una brutta piega? Costruiscono troppo, dico. Troppe case, prima di tutto, e magari fossero tante: sono di più. Fanno su questi muri e speculano; e intanto dicono che loro costruiscono per venire incontro alle giovani coppie e per rispondere alle richieste del mercato. Ma la realtà è che le giovani coppie mica se le comprano questo colate di cemento in cui andranno a stare. Le coprano le banche, non le giovani coppie; e le banche, per trent’anni di mutuo, sono loro i padroni di casa; a braccetto con gli impresari. Poi ci sono le industrie, i capannoni, i condomini e le lottizzazioni chilometriche.
Nel Veneto di pianura va peggio ancora e, in altre zone, montane, urbane o marittime che siano, va, se possibile, ancora peggio. Deve essere un marchio d’epoca ma ho l’impressione che andremmo a morire per un qualche improvviso soffocamento. Oppure, se sopravviviamo, le nostre esistenze diventeranno grigie come il nostro benessere. E poi oltre che case fanno strade: passanti, sottopassi, circonvallazioni, tangenziali, varianti, valichi, tunnel. Rotatorie. […]
Ma adesso, sulle Rive di Tomo, arriva questa superstrada. Ho parlato con tanti del problema e in molti capiscono il flagello di case-condomini-capannoni. Tirano su centinaia di firme e, alle volte, riescono a far modificare i piani regolatori. Però, se si contestano le strade, Fenadora-Anzù compresa, la storia cambia. Dicono: per le strade è un’altra cosa! Le strade servono. Ne abbiamo bisogno per spostarci. Lo spostarsi concede libertà, lega persone, destini, conoscenze! E trac: legittimata ogni strada e glorificato ogni viadotto, in vista di un incerto cosmopolitismo. Incerto, dico: può essere che una strada fallisca nel suo obiettivo? Può essere che anziché liberarci nei cieli limpidi di un cosmo unificato, ci condanni invece ad una costrizione triplicata?
E le progettano da padreterni, queste superstrade e autostrade, lor signori progettanti; e se ne infischiano delle conseguenze. E l’utilità della superstrada, allora? La Grande H! Al galoppo! Questa è l’utilità di andare al galoppo. Cinque minuti dalla Fenadora ad Anzù! Ah ciò! Non sarà il caso di agire? Bene o male noi sette ci siamo ritrovati in comune su questo giudizio negativo e io propongo allora di sabotare la superstrada. Alternative? I comitati, le lettere aperte sui giornali, i libri, gli incontri pubblici sul tema. Il tutto avallato e, in un certo modo, censurato. E invece chiunque sarebbe indotto alla riflessione apprendendo la notizia di qualcuno di ignoto che ferisce il regolare svolgimento della superstrada.
Ermolao ha formulato un regolamento preciso, che girerà tra di noi. Voglio dire: danni al cantiere e a quanto ci sta dentro. Dovremmo fare un danno più piccolo la prima volta, uno maggiore la seconda, uno più grande ancora la terza e così via. in seguito bisognerà ascoltare: primo, le chiacchiere che ci raggiungono; secondo, i giornali. Aspettare e regolare le azioni successive. Infastidire l’opulenza dei ribaltatori di quattrini!
Preferisco omettere il finale del discorso poiché troppo appassionato, me ne sono vergognato all’istante. Dicevo, in sostanza, che non si può andare avanti così perché stiamo vorticando verso un mondo di assenze, di transiti, di smarrimenti e di nostalgie. […] Le discussioni si sono prolungate di molto ed Ermolao, infine, ha spiegato che costituiremo una banda e saremo la Grande H. Ho cercato allora di spiegare a tutti che il termine banda è indecentemente generico, un poco ambiguo nonché sbagliato nella sostanza. Ma niente. Marino precisava che banda va benissimo perché la parola si usa, ad esempio, anche in sintagmi come questo: banda de móne.
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Nota. I brani presentati qui sopra sono tratti da Matteo Melchiorre, La banda della superstrada Fenadora-Anzù (con vaneggiamenti sovversivi), Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 8, 31-32, 50-52, 53-56.
Sul sito dell’editore Laterza è possibile leggere una riflessione sul libro del climatologo Luca Mercalli.
Nel 2010, Matteo Melchiorre ci aveva offerto un brano dell’allora manoscritto, ancora in cerca di un editore. Inoltre, nel 2006 ha contribuito al quarto quaderno di sAm intitolato Andare a vedere e dedicato all’inchiesta. Il suo esordio letterario risale al 2004, con Requiem per un albero. Resoconto dal Nord-est, pubblicato dalle Edizioni Spartaco (il libro ha avuto una seconda edizione nel 2007).
Luca dice
buona idea se collegare la sp 1 alla ss 50 bis var così diventerà una bretella, che collega l’autostrada A27 fino alla SS 47…