di Filippo Benfante
18 marzo 1871-18 marzo 2018: per l’anniversario della Comune di Parigi, pubblichiamo un saggio in cui Filippo Benfante ripercorre le vicende della prima traduzione italiana dei Refrattari di “Giulio Vallès, membro della Comune”, promossa dal giornalista e critico letterario della Scapigliatura milanese Felice Cameroni. All’indomani degli eventi di Parigi, Cameroni proponeva di leggere i Réfractaires celebrati da Vallès nel decennio precedente per rompere i canoni tanto estetici quanto politici dell’Italia post-risorgimentale: “bohème, avanguardia del proletariato che soffre ed anela distruggere la schiavitù dei bianchi, ed il vassallaggio del lavoro alla bancocrazia”.
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Introduzione1
Pochi mesi dopo i fatti della Comune di Parigi, l’allora giovane giornalista e critico letterario milanese Felice Cameroni (1844-1913) intraprese la traduzione del volume Les Réfractaires, una raccolta di articoli che Jules Vallès – uno dei comunardi più in vista – aveva pubblicato nel 1865. Quella di Cameroni è un’impresa editoriale che si protrae, sotto varie forme, per oltre tre anni: per prima cosa la pubblicazione in feuilleton di due capitoli (quelli considerati i più “bellicosi”), tra la fine del 1871 e l’inizio del 1872, sul Gazzettino rosa, uno dei quotidiani della scapigliatura lombarda; poi la pubblicazione integrale (con l’eccezione del capitolo “L’Habit vert”) sempre in feuilleton, dall’ottobre 1873 al giugno 1874, sulla Plebe, il periodico fondato da Enrico Bignami nel 1868; infine l’edizione in volume (sempre priva dell’“Habit vert”), nell’estate 18742. Cameroni tradusse il testo – benché alcuni elementi lascino pensare che sia stato un lavoro collettivo della redazione della Plebe3 –, e a ogni tappa editoriale presentò Jules Vallès al pubblico italiano, offrendo una precisa lettura estetica e politica dei Réfractaires.
Nelle pagine che seguono, cerco di riprendere da questo punto di vista una vicenda che per molti aspetti è già nota. La traduzione e la ricezione dei Réfractaires in Italia all’indomani della Comune sono infatti temi già affrontati da altri studiosi verso cui sono debitore4. I giornali su cui inizialmente comparve – Gazzettino rosa e Plebe – sono stati studiati per il loro ruolo nella nascita e nello sviluppo dei primi gruppi internazionalisti in Italia e per l’elaborazione del primo socialismo italiano5. Felice Cameroni, infine, non è affatto sconosciuto agli storici che si sono occupati dei primi decenni dell’Italia post-unitaria e agli storici della letteratura e della critica letteraria, in particolare per la sua “militanza” a favore del verismo e del naturalismo e per aver introdotto in Italia soprattutto l’opera di Émile Zola, ma anche di molti altri autori francesi6.
Non è possibile richiamare tutti gli elementi del contesto generale, ma l’ideale sarebbe avere presenti i forti legami tra le vicende italiane e quelle francesi almeno dai tempi delle rivoluzioni del 1848. Nei mesi cruciali del 1870 e del 1871 questo intreccio di storie nazionali si fa, se possibile, ancora più fitto: la caduta di Napoleone III permette al Regno d’Italia di annettere Roma (settembre 1870); volontari in camicia rossa partono per aiutare la nuova repubblica francese contro l’invasore prussiano; quindi gli avvenimenti della Comune scuotono lo schieramento repubblicano e democratico italiano di tradizione risorgimentale: anche in Italia arrivano l’Internazionale e il socialismo, e si può dire che cominci da qui la storia del movimento operaio italiano.
Felice Cameroni, il “profeta della letteratura moderna”
Veniamo a Felice Cameroni, venticinquenne verso la fine degli anni Sessanta, quando – nel tempo libero che gli lascia il suo lavoro di impiegato alla Cassa di Risparmio7 – comincia la sua attività di cronista letterario e politico. Vive in una Milano che, alla fine degli anni 1860, si sta trasformando – anche nella sua struttura urbana –, ed è percorsa da importanti fermenti economici, politici, sociali e culturali. Frequenta gli ambienti mazziniani e garibaldini, dove è viva la delusione per l’esito monarchico e moderato del Risorgimento; i repubblicani si indignano per gli indirizzi politici intrapresi dalla prima classe dirigente del Regno, che ai loro occhi appare già inetta e corrotta. Esaurita la spinta ideale all’unità, cominciano anche a emergere dissensi all’interno del campo repubblicano: se i limiti politici di Garibaldi sono compensati dal suo attivismo, è soprattutto l’ideologo Mazzini a essere messo in discussione. Egli resta un “venerabile maestro”, ma i giovani, sempre più anticlericali e attirati da una cultura materialista e positivista, non sopportano più lo spiritualismo dell’apostolo del “Dio e popolo”.
Tutta questa agitazione si manifesta anche sul piano culturale, dove una nuova generazione di letterati è alla ricerca sia di un ruolo nel contesto post-risorgimentale che di nuovi modelli e di nuove forme espressive, per far piazza pulita di tradizioni, classicismo e romanticismo di maniera. Si guarda alle letterature straniere, quella francese in primo luogo; attraverso di essa o attingendo direttamente alle fonti, questi giovani scoprono anche altro: per esempio Poe e Heinrich Heine (verosimilmente letti in traduzione francese). Si cerca un nuovo stile, facendo ricorso, all’irriverenza e alla dissacrazione, all’ironia e al sarcasmo: lo sberleffo è una divisa, ci si distingue per anticonformismo. Si introducono temi che la letteratura ufficiale ritiene indegni: è questa una delle vie per cui il realismo entra nel panorama delle lettere italiane.
Sono “individui di ambo i sessi, fra i venti e i trentacinque anni, non più; pieni d’ingegno quasi sempre, più avanzati del loro tempo come l’aquila delle Alpi; pronti al bene quanto al male; irrequieti, travagliati,… turbolenti”. Così almeno secondo Cletto Arrighi (pseudonimo di Carlo Righetti) che per primo consacrò e battezzò questa (ampia) generazione, con il suo romanzo La Scapigliatura, ovvero il 6 febbraio 1853 (uscito per la prima volta nel 1862), sottotitolo che rimandava a una data del martirologio patriottico e repubblicano: un’insurrezione popolare anti-austriaca scoppiata a Milano repressa nel sangue8.
Con una certa approssimazione, si può dire che la scapigliatura sia l’equivalente italiano della bohème francese. Come bohème, scapigliatura è un termine che designa un movimento eterogeneo dove si incontrano varie tendenze, alcune confinate su un piano strettamente artistico e letterario, altre che si tingono di colore sociale e politico. Come la bohème, la scapigliatura si manifesta in una galassia di quotidiani e riviste, spesso effimeri9. In questo panorama spicca il Gazzettino rosa10 che si distingue per solidità e durata, seguito e originalità, e anche per una chiara posizione politica: è un giornale repubblicano e radicale.
Quando Cletto Arrighi, dalle colonne del suo giornale Cronaca grigia, indirizza ai “gazzettinanti” un saluto che suona come desiderio di riconoscimento reciproco – “siete della grande famiglia degli scapigliati” –, la definizione è accettata con riserva. A patto – precisano quelli del Gazzettino rosa – che si chiarisca che il loro è un impegno politico e sociale.
La redazione del Gazzettino rosa accoglie invece subito e con entusiasmo – per gusto dell’antifrasi – un altro epiteto lanciato dai loro critici: “perduti”, termine dalle evidenti molteplici valenze semantiche. Achille Bizzoni, uno dei due fondatori del Gazzettino rosa (l’altro è Felice Cavallotti), alternerà “Perduto numero 1” e “Fortunio”11 tra i suoi pseudonimi (tutti ne usano, per vezzo e nel vano tentativo di tenersi al riparo dai guai con la censura).
Felice Cameroni comincia a collaborare con il Gazzettino rosa nell’estate 1869. Aveva già fatto i suoi esordi sulla stampa mazziniana, ma anche lui sta maturando un distacco dal “maestro” e un percorso autonomo, perché è un materialista convinto. Diventa subito uno dei redattori più importanti del giornale, che in certi periodi confeziona quasi da solo, dimostrando grandi estro e inventiva. Lo si ritrova sotto molti pseudonimi, scelti per evidenziare alcuni tratti del suo carattere e sui suoi gusti letterari: Pessimista, Orso, Atta Troll, Huaenofobo (ovvero odiatore dell’azzurro, colore per indicare un’arte formale, astratta e sterile), Stoico. Molti anni dopo, Francesco Giarelli, uno dei suoi compagni di gioventù nelle redazioni dei giornali radicali milanesi, lo avrebbe ricordato così:
Era il patriarca, il profeta, l’apostolo della letteratura moderna. Era il precursore del verismo. […] Fu lui che popolarizzò fra noi i raggi di sole di Heine, di Musset e di Mürger. Lui che ci avviò attraverso Giulio Vallès e la sua scuola alle battaglie del realismo, gloria di Onorato di Balzac e fortuna di Emilio Zola. Fu lui che ci mise d’accordo nel cuore gli eroi Vittorughiani, da Enjolras a Courfeyrac, da Mario a Gavroche – tumultuanti sulle barricate fulminatrici coi boemi della Sciarpa d’Iride e del Manicotto di Francine riprodotti nel libro immortale che ha nome: Vie de Bohème. Fu lui che […] continuò a battere e ribattere, con sempre nuova lena su quello stesso chiodo della trasformazione letteraria insegnataci, additataci, impostaci dalla Francia, i cui capilavori moderni erano la più clamorosa protesta contro l’accademia e la prova più convincente che i menestrelli della penna avevano fatto il loro tempo12.
Cameroni scrive appendici letterarie e teatrali in cui presenta autori, libri e spettacoli, sotto forma di recensioni e schede di lettura. Sono altrettanti consigli per una nuova biblioteca, nuovi interessi, nuovi modi di guardare al mondo, e intervenirvi. Cerca di consolidare una serie di punti di riferimento culturali, un lessico e uno stile attraverso interventi ricorrenti sotto titoli quali Album del Pessimista (collezione di citazioni da autori prediletti), Paradossi (aforismi), Vocabolario dello Stoico (definizioni estrose di vari termini), talvolta le Effemeridi storiche (elenco di avvenimenti storici più o meno recenti, dandone un giudizio politico e storico e creando un calendario civile alternativo).
È lui a ricordare periodicamente che i “perduti” sono “repubblicani, socialisti e razionalisti”13, o a ribadire cos’è il Gazzettino rosa:
Monitor della bohème lombarda, scarlatta in politica ed atea in filosofia. Dal connubio della scapigliatura democratica col giornalismo ebbe vita questo organo fazioso ed empio, odiato dagli azzurri, perché partigiano del patatrac, dai neri perché professa la negazione di qualunque dogma, o credenza nello spiritualismo. [Il] Gazzettino in sé raduna le poche virtù ed i diversi vizi, che caratterizzano la scapigliatura; a Mentana, a Digione, in carcere, sulla breccia… di S. Pietro all’Orto… propugna l’utopia dell’oggi che sarà… forse… la realtà del domani […] fa eco alle canzoni di Murger, beve con Musset, sogghigna con Heine. Dal lato della forma, il Gazzettino lo si può considerare come un sostantivo ribelle talvolta… anzi spesso… ai paragrafi della grammatica, nemico degli arcaismi e dell’arte per l’arte, zelante partigiano dei neologismi e del paradosso “l’enfant gaté de la bohème”14.
Ecco un condensato del gergo e di molti tratti della personalità di questi giovani, compresa l’alternanza di speranza e disillusione, entusiasmo e scetticismo.
La Comune dei Refrattari: scoperta, traduzione e invenzione
Nella primavera del 1871, la Comune conferma che è sempre alla Francia, o meglio a Parigi, che si deve guardare: dalla prima grande Rivoluzione – non quella “borghese” del 1789 beninteso, ma quella sanculotta del 1792-93 –, alle rivoluzioni ottocentesche in nome della repubblica.
La condanna espressa da Mazzini nei confronti della Comune fa precipitare le tensioni già evidenti tra i repubblicani italiani. I giovani che già avevano maturato un distacco rompono apertamente, taluni ancora a malincuore e con prudenza, altri quasi sollievo. Saranno questi ultimi a prendere le vie dell’Internazionale e del socialismo.
Le pagine del Gazzettino rosa sono uno dei luoghi su cui è possibile seguire queste vicende. Accanto ai “gazzettinanti” si distingue anche l’altro giornale che abbiamo già ricordato: la Plebe, pubblicata a Lodi dal 1868. Il percorso del gruppo della Plebe è simile: garibaldini e mazziniani, approderanno al socialismo, all’Internazionale. Nel 1871 questa sintonia si rafforza in nome della Comune e comincia una collaborazione tra i due gruppi, che si manifesta anche con la comparsa della firma di Cameroni sulla Plebe, a partire dal settembre 1871.
Cameroni e Vallès
Cameroni racconta le circostanze del suo incontro con i Réfractaires di Vallès, all’indomani della Comune, in una lettera a Ernesto Bignami premessa all’edizione in volume del 187415. Per primo, gliene parlò “un garibaldino francese”. Tralascio ogni ipotesi sull’identità di questo “garibaldino francese”, finora mai individuato; quel che voglio sottolineare è che il testo viene subito messo sotto il segno del garibaldinismo, questione su cui tornerò.
L’altra fonte è la “veemente requisitoria in nome dell’ordine” pubblicata da Elme-Marie Caro sulla Revue des deux mondes nell’estate del 187116. In quell’articolo Caro lanciava la tesi che la Comune era stata una “barbarie lettrée”, “l’invasion de la bohème littéraire”, una generazione di artisti e di savants senza talento e capacità, avidi di successo e di potere. Caro citava più volte i Réfractaires per illustrare la sua tesi e per biasimare la noncuranza con la quale quelle pagine di guerra erano state accolte. Cameroni aderisce a questa lettura, ma ovviamente ne inverte il segno: la bohème ha il merito di aver preparato la Comune.
In generale, Cameroni ammette più volte di aver dovuto ricorrere alla stampa conservatrice per i suoi articoli su Vallès – che a ridosso degli eventi presenta come “martire della Comune”, pensando che avesse trovato la morte durante la settimana di sangue. Con il passare del tempo, incrementa le sue conoscenze; solo talvolta cita esplicitamente le sue fonti, in altri casi è possibile riconoscerle: per esempio nelle sue frasi è facile scorgere calchi dalla biografia di Vallès pubblicata da Jean Richepin nel 187217.
Una lettura radicale dei Réfractaires, e non solo
Gli studiosi di Vallès mettono sempre in guardia dal considerare i Réfractaires del 1865 un testo già radicale. Ne sottolineano le molte ambiguità, a partire dal titolo e dal contenuto del capitolo omonimo. Solo una lettura retrospettiva dopo i fatti della Comune, e dopo che Vallès vi ha partecipato, avrebbe permesso un’interpretazione radicale del testo, elevato a “dichiarazione di guerra”. Ma è proprio questo che accade a Cameroni, e che vogliamo sottolineare qui. Ecco come presenta il testo sul Gazzettino Rosa del 16 dicembre 1871:
Finora vi compiaceste del sogghigno di Heine e del sorriso di Murger; perché non vi riuscirebbe grata la virile protesta di Vallès? […] Jules Vallès il fondatore del Cri du peuple, l’apologista dei Réfractaires, il comunardo caduto sulle barricate del maggio 1871 tesse l’epopea dei martiri ignoti ed alza lo stendardo dei vinti dell’oggi, che saranno, lo speriamo, i vincitori del domani. Da un lato la bohème coll’inesauribile umorismo, le coraggiose aspirazioni, le franche risate, i facili amori ed il ditirambo che termina in elegia, dall’altro la stessa bohème nel suo più tetro aspetto, che studia, lavora, combatte, soffre e muore senza un lamento, col grido di guerra sulle labbra, l’eroismo nel cuore, ed il vessillo della rivendicazione fra le mani.
[…]
Nei fucili che difesero in Parigi il diritto contro la reazione monarchica, pretina e borghese di Versailles, servirono da cartucce non soltanto le pagine del 1792 e del giugno 48, ma altresì quelle di Delescluze e Grousset, di Pyat e Rigault, di Vermorel e Rochefort, di Blanqui e Vallès.
La penna del bohème prepara la barricata del Comunardo.
Qualche giorno dopo Cameroni parla di “bohème, avanguardia del proletariato che soffre ed anela distruggere la schiavitù dei bianchi, ed il vassallaggio del lavoro alla bancocrazia”18.
Cameroni distinguerà in modo sempre più preciso i réfractaires dai bohémiens – come già risulta evidente nella prima citazione –, ma in questa fase sembra più interessato a suggerire una rilettura radicale di tutto il movimento. Del resto i refrattari sono messi sin dall’inizio sotto l’egida di Murger: come esergo al primo feuilleton dedicato a Vallès, si trova una frase tratta dalla Prefazione alle Scene della vita di Bohème.
In effetti, nel periodo che stiamo prendendo in considerazione, sulle pagine del Gazzettino rosa e della Plebe, le presentazioni di Murger e di Vallès si intrecciano di continuo, suggerendo che stanno svolgendo lo stesso ruolo. Alla fine del 1871 Murger viene presentato sulla Plebe, dove comincia la pubblicazione integrale in feuilleton delle Scènes (che si prolungherà sino ai primi giorni del 1873); nel frattempo, nel gennaio 1872 sul Gazzettino Rosa – che già aveva pubblicato parti della Vie de Bohème nel 1869, promettendone la prosecuzione ai suoi lettori19 – Cameroni presenta in successione i suoi articoli biografico su Vallès e su Murger, e a partire da febbraio uscirà la traduzione del Manicotto di Francine, un capitolo delle Scene della vita di Bohème; nel corso del 1872 le Scene della vita di Bohème escono in un volume aperto dai Paradossi del Pessimista, una serie di massime che in sostanza condensano quel che Cameroni va dicendo anche sull’opera di Vallès. Per esempio, che “La scapigliatura politica prepara la mina rivoluzionaria col giornale, la carica di polvere coll’agitazione, la fa scoppiare alle barricate”; oppure che “La bohême è destinata a passare dal campo semplicemente artistico alla lotta sociale. Dopo il pensiero, l’azione”20 (gioco di parole inevitabile per un mazziniano).
La bohème è dunque una famiglia allargata, sono le circostanze a determinare le sorti dei suoi membri, sapendo che in tempi di rivoluzione, i bohémiens saranno sempre pronti. Da qui anche l’insistenza su Hégésippe Moreau “il poeta repubblicano delle giornate di luglio”21.
Al momento di chiudere la dedica a Vallès apposta ai Refrattari, Cameroni si firmerà “perduto entusiasta / Per la Scapigliatura sociale / Da Moreau a Murger / Dalle Camicie rosse / Ai refrattari dell’Hòtel de Ville”.
La Comune è una faccenda di bohème: c’è quella della politica, rappresentata da Delescluze e Pyat; quella dell’esercito da Cluseret, Rossel e Dombrowsky; quella dell’arte da Courbet e Billioray; quella della scienza da Beslay e Rogeard; quella del lavoro da Assy e Megy; e quella della letteratura “splendidamente personificata in Rochefort, Grousset, Maroteau, Rigault, Vermorel, Vermersch, Vésinier, Millère, Tridon, Vallès”22.
Nell’autunno del 1873, i testi di presentazione che Cameroni pubblica sulla Plebe hanno un impatto ancora maggiore perché compaiono su pagine sempre piene di notizie, discussioni, commemorazioni della Comune e profili biografici dei protagonisti di quegli eventi. I martiri della miseria: così Cameroni aveva presentato la prima traduzione del capitolo Les morts sul Gazzettino rosa; e prima ancora, il 15 aprile 1871, il giornale aveva dato la notizia della morte di Gustave Flourens sotto il titolo I martiri della democrazia. A distanza di due anni, sulla Plebe il feuilleton dei Réfractaires compare accanto a rubriche che si intitolano I martiri della Comune o Gli uomini – molto raramente Le donne – della Comune23.
Tradurre, forzare, sovrapporre
Il fatto è che non si tratta solo di tradurre: presentare il testo di Vallès significa indicare un programma, in estetica e in politica. “Siamo noi questi refrattari”, sembra dire Cameroni ai suoi compagni e al suo pubblico: “questa è la direzione” e “questo il nostro ruolo”. Dunque Cameroni non è solo il passeur di un testo e di un autore sconosciuti in Italia, ma lavora alla costruzione di un mito del bohème/refrattario e della Comune e lo fa orientando la lettura del testo, per mezzo dei suoi articoli e della traduzione stessa. Altri hanno già indicato in modo efficace molte lacune e forzature della traduzione24. Confrontare una traduzione al testo originale è un esercizio classico, si trova sempre qualcosa, in genere parecchio; da parte mia, vorrei sottolineare tre cose.
1. L’edizione in volume del 1874 contiene anche una dedica scritta da Cameroni a nome dell’intero gruppo della Plebe: “A Giulio Vallès / che la causa dell’ateismo e del socialismo / validamente difese / […] La Plebe / atea pur essa e socialista / dedica…”. Va notato che l’ateismo (dunque il materialismo e il razionalismo) è persino anteposto al socialismo. Sotto questo segno sarà condotta tutta la traduzione: cadono, talvolta con effetti paradossali, tutti i riferimenti e le invocazioni colloquiali a Dio25. E se serve, il discorso si rende più esplicito: se Vallès scrive “sacrilège”, la versione italiana dice “atea”26.
2. Le consonanze lessicali vengono accentuate. Nei suoi articoli, Cameroni definisce Vallès è la “vera sentinella perduta della bohême!”27. “Sentinella perduta” – che come réfractaire (e avanguardia) viene dal gergo militare – è un’espressione ricorrente sotto la penna di molti nell’Ottocento. La ritroviamo tanto in Mazzini – “sentinelle perdute della rivoluzione” scrive in un testo del 183228 – che in Proudhon – “sentinelle perdue du prolétariat”, scrive nel 184129. A un appassionato di Heine come Cameroni, poteva essere sfuggita la prima strofa di Enfant perdu, che recita “Sentinelle perdue dans la bataille de la liberté, voici trente ans que je reste à mon poste. J’ai combattu sans espoir de vaincre: je savais que je ne reviendrais jamais sain et sauf au logis”30?
“Sentinelles perdues” o semplicemente perdus, “perduti”. Il capitolo eponimo del libro si chiude descrivendo la sorte che tocca al refrattario: “garçon flambé” scrive Vallès, “perduto” si traduce in italiano31.
3. Tutto contribuisce a rafforzare l’idea di una “fraternité en bohème” tra Francia e Italia o, volendo, di una “Internationale de la Bohème”. Questa fraternité emerge naturalmente dal testo, ed è attestata in primo luogo dagli scambi avvenuti sotto il segno del garibaldinismo. Nel capitolo Les Réfractaires, dove Vallès scrive “la chemise de couleur du volontaire”, il traduttore è esplicito e scrive “la camicia rossa del volontario”32. Analogo rafforzamento nel capitolo Les irréguliers, dove compare per la prima volta il nome di Paul de Flotte, il quarante-huitard che muore combattendo tra i Mille: il “bataillon de Flotte” sotto la penna di Vallès, diventa “il battaglione garibaldino di Le-Flotte” nella traduzione.
Vorrei sottolineare che non si tratta solo di uno sguardo proiettato dall’Italia verso la Francia: nei Réfractaires/Refrattari eventi e miti si intrecciano, dal momento che la tradizione repubblicana e il movimento popolare francese, sotto il Secondo Impero, guardano alle imprese, ai gesti, agli atteggiamento dei garibaldini. Nel suo articolo Rome, uscito nel 1867 sul giornale La Rue, Vallès per indicare i garibaldini usa proprio il termine irréguliers33.
Sono legami tenui, sulla base di un lessico che ricorre a tal punto da diventare anodino. Tuttavia, due dei bohémiens dell’esercito che anche Cameroni ricorda – Dombrowsky e Cluseret – erano stati a loro volta garibaldini.
La traduzione non nasconde peraltro una delle più contraddizioni più evidenti del testo: la tirade sulla conciliazione tra borghesia e mansarda, che prevede di piangere tutti i morti della bohème, dunque accanto a De Flotte anche quel Pimodan che pure nel 1860 combatté in Italia, ma dall’altra parte, nell’esercito del papa.
Altri elementi ancora potrebbero essere messi in valore, per illuminare il lavoro di traduzione/adattamento/trasformazione a cui si dedica Cameroni, per esempio: la centralità del capitolo Les victimes du livre, in cui si vuol sottrarre la bohème da pose puramente estetizzanti34; quella riga del capitolo Les Morts/I martiri della miseria, in cui l’originale “une idée” diventa “l’idea”35; oppure il controllo della polizia36 e il problema di guardarsi costantemente da spie e infiltrati; o ancora un’analogia di contesto: anche le grandi trasformazioni urbanistiche che il vecchio centro di Milano – dove gli scapigliati avevano i loro ritrovi – conosce negli anni 1860 contribuiscono a far sovrapporre la capitale lombarda con Parigi sconvolta dai picconi di Napoleone III e di Haussmann.
Conclusione
Gli eventi della Comune e le pagine di Vallès si inseriscono in una dinamica già avviata, ma si rivelano un fondamentale spartiacque politico, letterario ed estetico. A partire dal 1871, e per qualche anno, Cameroni vi trova una conferma del ruolo e degli obiettivi della bohème e allo stesso tempo la possibilità di definirli con maggiore precisione.
La sua principale battaglia si svolge sul piano estetico (e tuttavia a questo punto dovrebbe essere chiaro a che punto esso fosse anche politico), per la causa del realismo, considerato il fondamento di un’arte in grado di incidere sulla realtà sociale e politica. La Comune, Vallès e gli altri autori che vengono “arruolati” – talvolta a loro insaputa – in questa impresa servono anche come materiali per la costruzione di una cultura, di genealogie e persino di calendari alternativi tanto a quelli consolidati e istituzionalizzati quanto a quelli dei “vecchi maestri”. Queste novità avrebbero aiutato il gruppo di cui Cameroni fa parte ad acquisire un ruolo, una legittimità politica e sociale: “bohème, avanguardia del proletariato”. Questa autodefinizione che abbiamo già citato è peraltro al centro di una discussione inscritta nelle condizioni sociali del Regno d’Italia e della grande polemica in seno all’Internazionale moribonda. È noto il giudizio di Marx e Engels, per cui questa bohème era una riserva di uomini utile a progetti reazionari, come gli eventi del giugno 1848 e le vicende del Secondo Impero avevano dimostrato. Nel 1873 proiettarono questo punto di vista sull’Internazionale italiana che si era schierata con Bakunin, e le cui “pretese sezioni”
sono dirette da avvocati senza cause, da medici senza malati e senza scienza, da studenti di biliardo, da commessi viaggiatori e altri impiegati di commercio, e principalmente da giornalisti della piccola stampa, di una reputazione più o meno equivoca. L’Italia è il solo paese in cui la stampa internazionalista, o sedicente tale, abbia assunto un carattere figarista. Basta dare un colpo d’occhio alla scrittura dei segretari di queste pretese sezioni per constatare che essa è sempre commerciale o di uomini usi a servirsi della penna. Impadronendosi così di tutti i posti ufficiali delle sezioni, l’Alleanza riuscì ad obbligare gli operai italiani, per entrare in comunicazione tra loro o con gli altri consigli dell’Internazionale, a passare dalle mani dei declassati alleanzisti che nell’Internazionale trovavano una “carriera” e una “prospettiva”37.
Al contrario, Cameroni contribuisce alla costruzione di un mito rivoluzionario “refrattario” che – associato a un’idea di insurrezione di stampo bakuniano ma altrettanto ereditata dal Risorgimento democratico – influenzerà in modo molto concreto quanto sarebbe accaduto in Italia nel corso del decennio 187038.
Il contenuto del programma sociale e politico di Cameroni resta d’altra parte piuttosto fluido. Mazziniano e internazionalista, libertario e socialista riformista: paradossalmente tutte queste etichette – che di norma si escludono una con l’altra – potrebbero andare insieme per completare la figura di Cameroni. In questi anni, in cui tutto appare ancora aperto, Cameroni esprime soprattutto la sua volontà di trasformare il campo democratico senza spezzarlo, sulla base di un’idea che, basata su un approccio libertario, potremmo dire “federalista” e conciliante – d’altra parte è un aspetto che lo mette in sintonia con il “suo” Vallès.
Nel giro di poco tempo, proposte di questo genere non troveranno più spazio. Ma proprio per questo sembra interessante tornare a chi, come Cameroni, per un breve momento almeno, le diede voce e forza.
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- Questo testo è stato elaborato per la prima volta in francese, in vista del convegno “Regards sur la Commune de 1871 en France. Nouvelles approches et perspectives” (Narbonne, 24-26 marzo 2011). Ringrazio Piero Brunello ed Enrico Zanette per averlo discusso con me allora. Maurizio Gribaudi, Sabina Loriga e Judith Lyon-Caen mi hanno dato la possibilità di presentarne un’ulteriore versione nei loro seminari all’EHESS, nel marzo-aprile 2013. Da anni, Marc César (Université de Paris 13) e Laure Godineau (Université de Paris 13), organizzatori del convegno di Narbonne, assicurano che prima o poi troveranno tempo e modo di curare un volume frutto della rielaborazione dei lavori del 2011; in tal caso, questo testo si potrà leggere anche nella sua primitiva versione francese, per la quale ho potuto contare sull’aiuto di Frédérique Borde. [↩]
- Tra il 16 dicembre 1871 e il 1° gennaio 1872, il Gazzettino rosa (d’ora in poi GR) pubblica due capitoli: “Martiri della Miseria” (così si traduce l’originale “Les Morts”), introdotto da una lettera di Cameroni, e “I Refrattari” (or. “Les Réfractaires”). Il 21 dicembre 1871 e l’8 e 9 gennaio 1872 escono articoli di Cameroni con altre note sui Réfractaires e sulla biografia di Vallès. A distanza di quasi due anni si riprende il filo sulla Plebe (d’ora in poi P): tra il 18 ottobre e l’8 novembre 1873 Cameroni ripresenta “I Refrattari” e le prime note biografiche su Vallès, quindi dal 15 novembre comincia il feuilleton che si concluderà il 18 giugno 1874; nel frattempo il 24 novembre 1873 Cameroni pubblica uno studio biografico su Vallès, meglio informato e più preciso dei precedenti. Appena finito il feuilleton, esce l’edizione in volume (presso Emilio Croci, Milano 1874, dove il titolo del capitolo “Les morts” è tradotto letteralmente) preceduta dagli studi di Vallès già pubblicati sulla P (per l’occasione leggermente modificati) e da una lettera inedita di Cameroni a Ernesto Bignami (direttore della P). [↩]
- Cfr. Maria Luisa Perosa Premuda, Réfractaires e refrattari: note su una traduzione, “Lingua, letteratura, civiltà. Studi e ricerche”, 2 (Annali della Facoltà di Scienze Politiche, 16, a.a. 1979-80), pp. 129-168, in part. 141-144. [↩]
- Rimando in particolare a Perosa Premuda, Réfractaires e refrattari cit.; Ead., Présence de Vallès dans les milieux milanais d’avant-garde après l’Unité italienne (1870-1885), “Les amis de Jules Vallès”, 2 et Spécial (Centenaire de Vallès) (1985), pp. 261-271; Claudio Giovannini, La cultura della “Plebe”. Miti, ideologie, linguaggio della sinistra in un giornale d’opposizione dell’Italia liberale (1868-1883), Franco Angeli, Milano 1984; Silvia Disegni, Les Réfractaires entre deux mondes, “Autour de Vallès”, 32 (2002), pp. 133-149 ; Ead., Felice Cameroni: un critique milanais face aux Réfractaires, ivi, pp. 161-164, seguito dalla traduzione in francese (di Silvia Disegni) della prefazione di Cameroni ai Réfractaires (ivi, pp. 165-172). [↩]
- Resta fondamentale Nello Rosselli, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872) [1927], Einaudi, Torino 1967; mi limito a rimandare ancora a Renato Zangheri, Storia del socialismo italiano, I, Dalla rivoluzione francese a Andrea Costa, Einaudi, Torino 1993, in part. pp. 141-333. [↩]
- Cameroni ha una voce nel Dizionario biografico degli italiani, 17, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1974, ad vocem, firmata da Alessandra Briganti. Si vedano anche: Liliana Dalle Nogare, Stefano Merli, L’Italia radicale. Carteggi di Felice Cavallotti. 1867-1898, Feltrinelli, Milano 1959; La scapigliatura democratica. Carteggi di Arcangelo Ghisleri: 1875-1890, a cura di Pier Carlo Masini, Feltrinelli, Milano 1961; Carlo A. Madrignani, Il radicalismo critico di Felice Cameroni (con 12 lettere inedite ad A. Ghisleri), “Giornale storico della letteratura italiana”, CLIV (1977), 488, pp. 573-588. In particolare sui rapporti tra Cameroni e Zola: René Ternois, Zola et ses amis italiens. Documents inédits, Les Belles Lettres, Paris 1967 (raccoglie articoli apparsi tra 1961 e 1966), in part. “Felice Cameroni et les premiers admirateurs de Zola en Italie” (pp. 35-50) e “Pica et Cameroni (1894-1902 et au delà)” (pp. 135-147); Paolo Tortonese, Cameroni e Zola. Lettere, Champion-Slatkine, Paris-Genève 1987. Più in generale, si veda almeno l’antologia Felice Cameroni, Interventi critici sulla letteratura francese, a cura di Glauco Viazzi, Guida, Napoli 1975. [↩]
- Cameroni entrò alla Cassa di Risparmio nel 1860 come avventizio; vi avrebbe lavorato fino al 1886, quando poté andare in pensione, dopo regolari avanzamenti di carriera. Il 10 novembre 1888 scriveva all’amico Vittorio Pica: “Raggiunsi la completa indipendenza con 22 anni di lavoro snervante” (Felice Cameroni, Lettere a Vittorio Pica 1883-1903, a cura di Ernesto Citro, ETS Editrice, Pisa 1990, pp. 102-104, la cit. a p. 103). Tracce del percorso lavorativo di Cameroni si trovano nella documentazione conservata presso l’Archivio storico del Gruppo Intesa San Paolo (Milano), dove tuttavia risulta mancante il suo fascicolo personale (su questo archivio, si veda Barbara Costa, Silvia Rimoldi, Lavoro e identità professionale nei documenti della Cariplo 1823-1928, Hoepli, Milano 2012; ringrazio la dott.ssa Barbara Costa, responsabile dell’archivio, che mi ha aiutato nella mia ricerca, all’inizio del 2013); da questa documentazione non risulta che Giuseppe Cameroni, papà di Felice, fosse stato un impiegato della Cassa di Risparmio di Milano, così come invece si legge nella voce del DBI (vedi nota 6), notizia poi ripresa e ripetuta in tutti i profili biografici successivi. [↩]
- Nell’edizione definitiva del 1880, il romanzo cambia il sottotitolo mentre il prologo diventa esplicito aggiungendo la frase “I francesi la chiamano già da un pezzo la bohème”. Per uno studio delle varianti, cfr. Cletto Arrighi, La Scapigliatura. Romanzo sociale contemporaneo, a cura di Giuseppe Farinelli, Istituto Propaganda Libraria, Milano 1978. Sulla Scapigliatura, rimando alla recente sintesi di Giuseppe Farinelli, La Scapigliatura. Profilo storico, protagonisti, documenti, Carocci, Roma 2003. [↩]
- Per uno sguardo d’insieme: La pubblicistica nel periodo della Scapigliatura. Regesto per soggetti dei giornali e delle riviste esistenti a Milano e relativi al primo ventennio dello Stato unitario: 1860-1880, a cura di Giuseppe Farinelli, Istituto Propaganda Libraria, Milano 1984. [↩]
- Informazioni sul GR in quasi tutti i libri citati in queste note. Una utile sintesi in Umberto Gualdoni, Rapporto su «Il Gazzettino rosa», “Otto/Novecento”, VII, 1, gennaio-febbraio 1983, pp. 81-128. [↩]
- Fortunio è da considerarsi un omaggio al personaggio del Chandelier di Musset, non a quello dell’omonimo romanzo di Gauthier. [↩]
- Franceso Giarelli, Vent’anni di giornalismo 1868-1888, Tipografia Editrice A.G. Cairo, Codogno 1896, pp. 74-75. [↩]
- Cito da Tortonese, Cameroni e Zola cit., pp. 14-15. [↩]
- [Felice Cameroni,] Il vocabolario d’uno stoico, “GR”, 6 maggio 1871. [↩]
- Giulio Vallès, I refrattari, presso Emilio Croci, Milano 1874, pp. V-VI. [↩]
- Edme-Marie Caro, La fin de la bohème. Les influences littéraires dans les derniers événemens, “La Revue des Deux Mondes”, 15 juillet 1871, pp. 241-267. [↩]
- Jean Richepin, Les étapes d’un réfractaire, A. Lacroix, Verborckhoven et Cie, Paris 1872 (un’edizione recente a cura di Steve Murphy, Champ Vallon, Seyssel 1993). [↩]
- Dalla presentazione di Cameroni (sotto forma di lettera a Fortunio/Achille Bizzoni), “GR”, 21 dicembre 1871. [↩]
- Cfr. “GR”, 14 e 26 ottobre, 8 e 26 dicembre 1869; non ho potuto consultare l’annata e ricavo la notizia da La pubblicistica nel periodo della Scapigliatura cit., p. 511; si veda anche Gualdoni, Rapporto su «Il Gazzettino rosa» cit., pp. 122-123, nota 99; cfr. inoltre “GR”, 26 settembre 1870 per l’annuncio delle “appendici” di Murger a venire. Le Scènes de la vie de Bohème avevano avuto una prima edizione in italiano nel 1859: la traduzione di Gian Vincenzo Bruni era uscita sotto il titolo Scene della vita d’artista a Losanna e a Como (presso Annibale Cressoni). Come indicato qui di seguito, nel 1872 uscì una nuova edizione a cura di Cameroni, presso Sonzogno, poi riedita almeno altre tre volte, nel 1877, nel 1890 e nel 1896, quest’ultima sulla scia del successo dell’opera di Puccini, su libretto di Illica e Giacosa, di cui Cameroni fu un consulente (il 21 dicembre 1895 Cameroni scriveva a Vittorio Pica “Qualche anno fa, quando a Puccini balenò l’idea d’una commedia musicale sulla Bohême di Murger, e a lui e all’Illica ho potuto prestare libri e documenti, che devono aver giovato ai miei due giovani amici”; cfr. Cameroni, Lettere a Vittorio Pica cit., p. 144). [↩]
- [Felice Cameroni], La Bohême. Paradossi del Pessimista, in Enrico Murger, La Bohême. Scene della Scapigliatura parigina, Sonzogno, Milano 1872, pp. 6, 9. [↩]
- Felice Cameroni, La Bohême, da Murger alla Comune, “L’Arte Drammatica”, 21 marzo 1874; cito da Id., Interventi critici sulla letteratura francese cit., pp. 25-29, la cit. a p. 29. [↩]
- Felice Cameroni, Giulio Vallès, in Vallès, I refrattari cit., pp. 1-14, la cit. a p. 2 (riprende, con varianti, il testo già pubblicato sulla P il 24 novembre 1873). [↩]
- Sulla rubrica della P, rimando a Enrico Zanette, Usages politiques des récits de vie: la rubrique biographique de La Plebe (1873-1876), in Politische Kommunikation. Von der klassischen Rhetorik zur Mediendemokratie, hrsg. von Felix Heidenreich, Daniel Schönpflug, Lit Verlag, Berlin 2012, pp. 75-88. Di Zanette si veda anche Criminali, martiri, refrattari. Usi pubblici del passato dei comunardi, Edizioni Storia e Letteratura, Roma 2014. [↩]
- Si veda in particolare Perosa Premuda, Réfractaires e refrattari cit. [↩]
- Ho confrontato l’edizione italiana del 1874 (d’ora in poi RI) con l’edizione stabilita da Roger Bellet (d’ora in poi éd. Bellet) in Jules Vallès, Œuvres, I, 1857-1870, texte établi, présenté et annoté par Roger Bellet, Gallimard, Paris 1975, pp. 137-320 (notice et notes pp. 1246-1331). [↩]
- RI, p. 144; éd. Bellet, p. 232. [↩]
- Cameroni, Giulio Vallès cit., p. 9. [↩]
- Lettera pubblicata dalla Tribune del 20 settembre 1832, ora in G. Mazzini, Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini, edizione diretta dall’Autore, III (Politica, II), G. Daelli, Milano 1877, p. 31. [↩]
- Pierre-Joseph Proudhon, Lettre à M. Blanqui, sur la propriété, à la librairie de Prévot, Paris 1841, p. 112. [↩]
- Cito da Œuvres complètes de Henri Heine, 9, Poésies inédites, Calmann Lévy, Paris 1885, p. 336. [↩]
- Cfr. RI, p. 51; éd. Bellet, p. 155. [↩]
- Cfr. RI, p. 29; éd. Bellet, p. 138. [↩]
- Jules Vallès, Rome, “La Rue”, 26 ottobre 1867, ora in Id., Œuvres cit., pp. 991-994, dove (p. 992) Vallès chiama i garibaldini “irréguliers”, “mécréants d’aventure, impies de contrebande”; si veda anche l’articolo Londres, compreso nella raccolta La Rue (Faure, Paris 1866), dove Vallès si ricorda di un amico alverniano che aveva partecipato alla spedizione dei Mille (ivi, p. 777). Non è possibile sapere se Cameroni, dopo aver letto Les Réfractaires, si fosse procurato anche l’altra raccolta di Vallès. [↩]
- Si veda il passaggio di Felice Cameroni, I Refrattari, in Vallès, I refrattari cit., pp. 15-26 (che riprende, con varianti, i testi già apparsi in “P”, 25 ottobre, 1 e 8 novembre 1873), p. 24: “assai più dell’absinthe agita le menti il volume. [Gli ipocriti e gli opportunisti] della letteratura, compromisero la verità del motto: Lo stile è l’uomo. Invece sussiste ancora il proverbio: Dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei”. Per parafrasare un celebre motto dell’antifascista Piero Gobetti, verrebbe da dire che anche l’internazionalismo è una questione di stile. [↩]
- Cfr. RI, p. 107; éd. Bellet p. 201. Devo questa segnalazione a Enrico Zanette. [↩]
- Per un episodio, cfr. RI, pp. 35-36; éd. Bellet, pp. 143-144. La persecuzione poliziesca in questi ambienti è naturalmente un tema di per sé; rimando a Piero Brunello, Storie di anarchici e spie. Polizia e politica nell’Italia liberale, Donzelli, Roma 2009. [↩]
- Friedrich Engels, L’Internazionale e gli anarchici, a cura di Antonio Bernieri, Editori Riuniti, Roma 1965, p. 95, edizione dell’opuscolo L’Alliance de la démocratie socialiste et l’association internationale des travailleurs, rapport et documents publiés par ordre du congrès international de La Haye, Darson, London, Meissner, Hambourg 1873, attribuito anche a una stesura collettiva, opera di Engels, Marx, Paul Lafargue e Nicolas Utin (cfr. l’edizione francese in Marx/Bakounine: socialisme autoritaire ou libertaire?, textes rassemblés par Georges Ribeill, 2 vols., Paris, Union générale d’éditions, coll. 10/18, 1975). [↩]
- Cfr. Eva Civolani, L’anarchismo dopo la Comune. I casi italiano e spagnolo, Franco Angeli, Milano 1981, in part. pp. 112-128. [↩]