di Gianfranco Bonesso
Il nostro socio Gianfranco Bonesso ha lavorato per il Servizio Immigrazione del Comune di Venezia dalla fine degli anni Novanta al 2019, anni cruciali per l’immigrazione a Venezia-Mestre. Dopo di allora ha continuato come volontario e attivista.
Ci ha inviato una interessante rielaborazione dell’intervento effettuato il 19 gennaio 2024 al convegno “Mestre 2030. La sfida della Multiculturalità”1 in cui si affronta con un taglio storico il cambiamento demografico della città negli ultimi 30 anni, con attenzione agli aspetti socio antropologici.
Partirò dalle immagini che danno l’idea della Mestre multiculturale, della presenza della prima e della seconda immigrazione a Mestre.
Alcune immagini sono emblematiche, come questa.
Questa è una processione cattolica alla chiesa della Madonna Pellegrina dove i partecipanti sono in maggioranza filippini che hanno unito questa processione annuale con la loro ritualità del Santacruzan, una processione che si svolge nel mese di maggio nelle Filippine. La foto documenta una ricollocazione e un riposizionamento di queste ritualità. Sullo sfondo la presenza incombente della Fincantieri.
I dati statistici
TABELLA 2- Comparazione residenti secondo alcune fasce di età, 2022. Comune di Venezia
Nella Tabella 1 colpiscono i numeri della migrazione: dai 5.000 migranti del 2000 ai 40.000 del 2022. E in questa tabella non sono presenti 10.000 persone con background migratorio che hanno già acquisito la cittadinanza italiana. Questi numeri documentano che una persona su cinque in questa città ha un background migratorio e il grafico mostra come questo fenomeno sia presente e si sia evoluto costantemente negli ultimi vent’anni pur con dinamiche diverse a seconda dei periodi.
Alcune precisazioni: se nel 2000 il 55% delle persone residenti non italiane stavano a Mestre, nel 2022 sono l’85%. Anche questo è un dato che dobbiamo tenere in considerazione: la collocazione nei luoghi e nel tempo.
Qualche altro dato: il 36% dei bambini e delle bambine che vivono in terraferma tra 0 e 9 anni non ha la cittadinanza italiana, più di uno su tre. Alcune zone di terraferma hanno concentrazioni specifiche di famiglie e bambini residenti senza cittadinanza italiana. In alcune zone come via Piave, Santa Barbara di Chirignago, Cipressina, Marghera Centro i residenti senza cittadinanza italiana sono tra il 32 e 37%, nelle stesse zone i bambini tra 0 e 4 anni senza cittadinanza italiana, sono dal 55% al 63% del totale.
Nell’età centrale, tra i 20 e i 45 anni, le persone senza cittadinanza italiana costituiscono il 30% del totale dei residenti.
Un ultimo dato, per avere un’idea delle generazioni. Nel 2022 le persone con più di 80 anni in questa città erano 16.604, ma solo lo 0,7% , cioè 130 persone, non avevano la cittadinanza italiana.
Questi dati sono molto significativi, molto forti e danno l’idea delle divisioni per generazioni e anche dell’impatto demografico sulla città.
Scenari locali, nazionali, globali della migrazione a Mestre
Per avere un’idea della multiculturalità nell’immigrazione e del consolidamento dei gruppi in questa città, prima di tutto dobbiamo considerare la migrazione nel suo divenire e non pensare che siamo in un “eterno presente”. C’è stata una storia, ci sono venti, trent’anni di migrazione e di cambiamenti, con caratteristiche locali ma condizionati anche da situazioni nazionali e locali.
Quando pensiamo a Mestre, dobbiamo tenere in considerazione lo scenario nazionale e internazionale, che ha un impatto sul locale: Mestre, da questo punto di vista, è pienamente dentro ai circuiti della globalizzazione.
Ricordiamo, come tappa di questa storia, la vicenda delle regolarizzazioni. Dal 1985 al 2020 abbiamo avuto sanatorie e regolarizzazioni; questo vuol dire che moltissime delle persone che sono venute in Italia e a Mestre hanno avuto un periodo di irregolarità per quanto riguarda i documenti e l’hanno vissuto sulla propria pelle. Come si entra in Italia, rappresenta uno dei nodi cruciali dell’immigrazione e condiziona le persone, il loro radicamento e la rappresentazione che hanno di questo paese.
Come altre tappe importanti, ricordiamo i ricongiungimenti familiari a partire dagli anni Novanta, la crisi economica del 2007, gli arrivi dal 2011 con l’”Emergenza Nord Africa”. Questi alcuni dei principali modelli di ingresso in Italia, ancora da analizzare e conoscere approfonditamente.
Ci sono poi caratteristiche specifiche di Mestre e di Venezia. Prima di tutto lo sviluppo del turismo: dal 1992 al 2012 si passa da 2,5 milioni di turisti a oltre 6 milioni, questo impatto del turismo di massa avviene esattamente nel periodo in cui comincia e si sviluppa la migrazione, costituendo forte elemento di attrazione lavorativa.
Altra condizione interessante da vedere come elemento di attrazione per i lavoratori migranti riguarda i cantieri navali: nel 1991 si cominciano a costruire le navi da crociera della Fincantieri, che diventa in pochi anni il più grande gruppo di costruzioni navali d’Europa. Alla Fincantieri di Mestre lavorano tra 4.000 e 5.000 persone in condizioni differenziate tra loro, pensiamo ai subappalti dove la gran parte sono migranti.
Un elemento attrattivo negli anni Novanta è anche l’abitare. In quegli anni a Mestre e Marghera si trova ancora casa. Pensate alle case della CITA messe sul mercato dalle cartolarizzazioni2. Questo costituiva allora un forte elemento di attrazione, che si è modificato radicalmente con il tempo.
Altro elemento facilitante è la posizione geografica particolare: Mestre insieme a Venezia è città di frontiera. C’è l’aeroporto, c’è il porto, ci sono gli snodi ferroviari. E questo è un elemento molto importante per gli arrivi. E’ città che possiede un buon sistema di trasporti, elemento necessario per gli spostamenti dei lavoratori stranieri, allora ancora privi di automezzi propri e che quindi fanno affidamento sui mezzi pubblici.
Venezia è un modello polare, diversa in questo da Treviso o Vicenza, è un centro da cui le persone partono per andare ad abitare in provincia, ma solo quando non trovano casa in città; a Venezia e soprattutto a Mestre c’è ancora oggi il 50% di migrazione di tutta la provincia. Altre aree regionali, Treviso ma anche Vicenza, hanno una distribuzione molto più diffusa nel territorio e meno concentrata nel capoluogo. Un altro elemento di attrazione è il fatto che qui si radicano i primi gruppi di migranti e creano vere e proprie catene migratorie, chiamando i loro parenti e i loro connazionali. Alla fine degli anni Novanta, c’è una forte richiesta di assistenza a domicilio per gli anziani, a fronte di un welfare debole, conosciamo allora il fenomeno “badanti”, le assistenti familiari straniere. Questo bisogno di assistenza, quindi, si sviluppa e diventa un altro elemento di attrazione. Sono tanti quindi gli elementi da tenere in considerazione quando parliamo di storia della migrazione a Mestre e a Venezia.
Rappresentazioni della migrazione
L’impatto della migrazione ha vari livelli. C’è un impatto demografico, un impatto scolastico, un impatto economico lavorativo (per esempio non tutti sanno che in questa città i titolari d’impresa con background migratorio sono il 25%, che non è poco).
C’è l’impatto culturale, che va dalla risignificazione dei luoghi e degli spazi alle produzioni culturali dei gruppi, alle “rappresentazioni del fenomeno” da parte di vecchi e nuovi cittadini che influiscono sulla percezione della migrazione in città.
C’è la percezione della migrazione legata ai “campi profughi” degli anni Novanta”.
C’è poi la rappresentazione della migrazione come arrivo dei primi rifugiati (a Mestre erano i kurdi alla fine anni Novanta) .
C’è la migrazione massiccia e plurale dei ricongiungimenti (donne e bambini) dalla fine degli anni Novanta.
C’è la migrazione nella crisi economica dal 2007.
C’è la migrazione dell’ “emergenza profughi” dal 2011 in poi.
E infine possiamo dire che c’è la rappresentazione della migrazione come dato radicato e consolidato nella città multiculturale, quella dei nuovi riti di massa e della penetrazione delle diverse culture e religioni in tutti i luoghi della vita quotidiana della città.
Faccio solo due esempi di queste rappresentazioni collettive.
Il decennio dei campi. Ce lo siamo dimenticati, ma negli anni Novanta quando si parlava di migrazione, si parlava di campi profughi, dove c’erano 500 persone, mentre nella città ce n’erano 5.000. Però il simbolico era veicolato lì, a Zelarino e san Giuliano. Sui campi è stato fatto un convegno da storiAmestre proprio negli anni Novanta3. Sono passati trent’anni da quelle vicende!
Poi alla fine degli anni Novanta sono arrivati i curdi che hanno rappresentato per quegli anni un simbolo di una nuova migrazione, quella dei rifugiati.
Dino Frisullo, attivista per i diritti umani che nel 1998 era stato imprigionato in Turchia4 scrive questa cartolina ai miei colleghi e ad altri attivisti con la richiesta: cercate di accogliere i curdi che stanno scappando dalla Turchia. L’idea dell’asilo, del rifugio, dei richiedenti asilo in qualche modo ha avuto la sua rappresentazione in quel momento.
Quest’immagine rappresenta i primi curdi arrivati: con loro si costruiscono le prime sperimentazioni di accoglienza per i rifugiati, per esempio con il teatro come modo di comunicazione ed espressione. Quello nella foto era il “Teatro Nascosto” in alcune rappresentazioni al Centro Candiani proprio coi rifugiati curdi arrivati allora.
Gli spazi per la spiritualità
Negli anni Novanta e nel primo decennio del 2000 non c’erano le realtà e le dinamiche che ci sono adesso. Io lavoravo in una istituzione pubblica e ci facevamo in quattro per trovare gli spazi per garantire il diritto alla spiritualità e alle cerimonie.
In questa foto si vedono i primi migranti del gruppo dei bangla durante la cerimonia per la fine del Ramadan. Ricordo anche i Murid senegalesi che hanno celebrato il loro fondatore Amadou Bamba nell’atrio della scuola Stefani di Marghera, che era stata dismessa e veniva utilizzata talvolta per garantire questo spazio e questo diritto. Parliamo di atri e palestre di scuole dismesse, parliamo di parchi. Anche il centro sociale Rivolta ha dato lo spazio per molte delle feste. I luoghi di preghiera non c’erano, non c’era neanche una struttura organizzata, un gruppo che li organizzasse, come è avvenuto poi più tardi. Ma in quei primi dieci anni c’erano oltre 40 associazioni di migranti, tutte attive, molte delle quali poi crollate con la crisi economica del primo decennio del 2000.
Pensiamo inoltre ai vari momenti del ciclo della vita e focalizziamone uno: il rito di commemorazione per una persona deceduta. Nella prima fase della migrazione il saluto si è fatto nei parchi, poi la salma veniva rimpatriata. Solo nel 2013 c’è stata la creazione di spazi per i musulmani nel cimitero di Marghera.
Le religioni nella migrazione hanno una forza identitaria importante: rappresentano una forma di appartenenza e di identità che viene rivendicata, sentita e richiesta dagli stessi migranti. È significativo quindi valutarne l’impatto. Dalla tabella che ho preparato si vede che i cattolici, o potenziali tali (perché si fanno le stime sulle nazioni di provenienza) sono sicuramente una minoranza tra i 40.000 migranti rispetto agli ortodossi e ai mussulmani.
TABELLA 3 – Stima appartenenze religiose delle persone straniere residenti a Venezia (2022)
Sugli spazi nascono anche conflitti, pensiamo che lo spazio di via Piave per i mussulmani è stato assegnato dopo una vertenza giudiziaria.
In conclusione, dopo il periodo degli spazi più informali (primo decennio del 2000) ne sono sorti altri più organizzati, tra i primi il Centro Culturale Islamico, ora in un nuovo edifico a Marghera, in via Lazzarini dal 2023 o quello della CITA, sempre a Marghera dal 2013.
Le politiche pubbliche
Le politiche pubbliche servono a aiutare, a consolidare, a permettere la piena cittadinanza alle persone che sono arrivate, nella scuola, nei servizi in genere, nella sanità. Ma non dobbiamo dimenticare che ci sono sempre due aspetti, uno materiale e uno simbolico, ugualmente significativi. Tra il 2003 e il 2010 due amministrazioni comunali hanno fatto una serie di iniziative pubbliche in cui si sono esposte come istituzioni cittadine nei confronti dei vari gruppi di migranti: la Giunta del sindaco Costa ha sostenuto alcuni progetti di partecipazione, come il forum per i cittadini stranieri e quella del sindaco Cacciari per tre anni ha interloquito direttamente in una festa/evento organizzata dal Comune e da associazioni migranti che significativamente si era chiamata “Mestrini del Mondo”.
Sono passati già vent’anni dalla convocazione dei forum per i cittadini stranieri!
Nella foto che si vede sotto il Patriarca partecipa all’incontro delle varie minoranze religiose.
Questo è un aspetto simbolico non da poco. Non basta la predisposizione dei servizi, serve anche una visibilità e un riconoscimento da parte del potere e delle autorità.
E’ importante anche osservare come l’ente pubblico si muove rispetto ai disagi e alle proteste. Nel 2009 i quotidiani locali raccolgono le proteste degli inquilini della CITA che lamentano rumori e odori dei vicini bangladesi5. Su questo disagio l’ente pubblico costruisce un progetto che funzionerà per almeno tre anni alla Cita dal 2011, avendo come motto: C’è sempre un filo che unisce. A dimostrazione che si può lavorare e progredire proprio a partire dalle problematicità.
Oltre alle politiche pubbliche c’è la società civile. Pensiamo ai tentativi di attivisti e volontari di creare dialogo, tutela, partecipazione alle cose che riguardano la città, pensiamo alla manifestazione Riprendiamoci la città del 24 febbraio 2023 a Mestre in cui gruppi, comitati, attività e locali mestrini – e non solo – vogliono “riprendersi la città”, unendo alla protesta per il degrado di una zona sempre più vasta del centro, un segnale positivo di partecipazione e una proposta di rigenerazione urbana.
Domande finali pensando al futuro
Cosa fare per creare e sedimentare una condivisione del legame con questa città, dove una persona su cinque non ha la cittadinanza italiana?
Le iniziative dell’ente pubblico e della società civile, quanta capacità hanno di incidere sui processi?
La situazione oggettiva, la presenza massiccia di persone con background migratorio e la sproporzione nelle generazioni, cosa cambia nelle relazioni in città?
Il pluralismo di culture e religioni ha bisogno di fattori di coesione: che cosa “ci tiene insieme”?
Quanto e quando le iniziative esclusive di un gruppo sono manifestazioni di una separazione e quanto invece un segno di attivismo e autotutela?
C’è il rischio che si creino gruppi separati, ognuno teso al suo benessere, contro l‘idea di città coesa che pensa al benessere di tutti?
Quali sono i reali contesti/luoghi/situazioni di incontro?
Quali sono le situazioni che rinforzano il NOI/LORO?(e poi NOI chi?)
Con chi interloquire? Singoli cittadini, gruppi, rappresentanti, associazioni?
26 aprile 2015. Manifestazione in via Piave per la sicurezza e i diritti (La Nuova Venezia)
Mestre non è sola in questo tipo di percorso, tutte le città del Nord Est sia per percentuali di persone residenti sia per problematiche hanno questo genere di situazioni. Poter condividere i destini con altre città può anche essere un modo per affrontare il futuro non da soli.
Ma dove stiamo andando?
Dal punto di vista demografico, i dati del Comune sono chiari, prevedono che nel 2030, per mantenere un livello di residenti simile a quello attuale, ovvero per avere “solo” 10.000 residenti di meno, dovrebbero entrare dall’estero almeno 2.000 persone ogni anno, ovvero un livello di immigrazione piuttosto significativo.
Cosa può succedere in ogni caso? Che almeno 5 istituti scolastici avranno la maggioranza di bambini di provenienza migratoria. Cinque aree della città avranno maggioranza di residenti con background migratorio, il 15% degli italiani residenti avrà background migratorio, cioè avrà acquisito la cittadinanza italiana.
Senza che si radichino o vengano creati legami significativi con questa città, la mobilità potrebbe essere accentuata. Negli ultimi 15 anni tante persone immigrate, acquisita la cittadinanza, se ne sono andate in altre regioni o in altri paesi europei, con un ulteriore impoverimento demografico e sociale per la città.
Se non cresceranno gli sforzi di cooperazione, incontri, tutela, i gruppi potrebbero restare separati per paese di provenienza. Se non verrà affrontata la condizione di subordinazione e anche l’auto rappresentazione di subordinazione, per non dire di umiliazione oggettiva, anche la seconda generazione, sebbene laureata o professionista, ne risentirà.
Un’ultima ipotesi: i nuovi arrivati, quelli che potranno entrare con il “clik day” in questi giorni (marzo 2024) o l’hanno fatto l’anno scorso, faranno sempre più riferimento ai connazionali già arrivati prima e ne saranno orientati per la loro stessa integrazione, riproducendo le stesse rappresentazioni e dinamiche. Se non affronteremo la questione della partecipazione non solo attraverso i servizi, ma anche a livello di relazioni sociali, culturali considerando anche il livello simbolico della convivenza, il modello di città e convivenza potrebbe rafforzare le attuali criticità, rendendo più complesso il concreto vivere insieme quotidiano.
NOTE
1Venerdì, 19 Gennaio 2024, Centro Candiani, Mestre: La sfida della Multiculturalità. Verso isole chiuse e separate o comunità aperte al dialogo? Introduzione di Gianfranco Bonesso, Sguardi su una città multiculturale. Snodi fondamentali e temi critici. Colloquio con Renzo Guolo, sociologo. Modera l’incontro Andrea Biliotti dell’associazione Mestre Mia che ha organizzato la conferenza in collaborazione con Gruppo di lavoro di via Piave e la Fondazione Gianni Pellicani.
2Mirko Marzadro, La Cita: da complesso edilizio a quartiere urbano, Cattedra Unesco SSIIM, nell’ambio del Progetto Fei , Altrimenti nella città, a cura del Comune di Venezia, Servizio Immigrazione e Promozione Diritti di Cittadinanza e dell’Asilo.
3 CAMPI PROFUGHI A MESTRE E IN ITALIA. STORIE E PROGETTI (1992-1995), Convegno sull’insediamento dei rom della ex-Jugoslavia a Mestre, ospitati nei campi profughi di Zelarino e San Giuliano. StoriAmestre in collaborazione con la rivista Altrochemestre. 2-3 giugno 1995, Mestre
4 Il 21 marzo 1998 Dino Frisullo è a Diyarbakır, in Turchia, con una delegazione italiana di venticinque pacifisti, per festeggiare assieme ai curdi il loro capodanno, il Newroz. La celebrazione si trasforma ben presto in un corteo che rivendica i diritti civili e politici dei curdi. La manifestazione viene repressa dalla polizia turca, che arresta un centinaio di partecipanti tra i quali gli italiani Frisullo e gli studenti Giulia Chiarini e Marcello Musto, con l’accusa di istigazione alla violenza. Due giorni dopo il Tribunale per la sicurezza dello Stato scagiona i due studenti e rinvia a giudizio Frisullo. Durante il mese di aprile sia il governo italiano che il parlamento europeo chiedono a gran voce la scarcerazione del pacifista, che il 16 aprile inizia uno sciopero della fame contro l’isolamento a cui è sottoposto e le torture praticate nel carcere. Il 28 aprile Dino Frisullo viene scarcerato dopo quaranta giorni di carcere ed espulso il 16 giugno, dopo che la condanna a un anno di reclusione e a una multa di 6 miliardi di lire turche, emessa lo stesso giorno, è stata sospesa con una condizionale di cinque anni. Dall’esperienza vissuta a Diyarbakır nasceranno due saggi scritti da Frisullo, L’Utopia incarcerata e Se questa è Europa. (wikipedia) La cartolina presente nel testo si può trovare in https://www.albumdivenezia.it/Archivi/AlbumVE/Files/Associazioni/Immigrazione/Autostoria.pdf
5A partire dal 2009 compaiono alcuni articoli sui quotidiani locali che denunciano emergenti tensioni fra
vecchi e nuovi abitanti della Cita. “Alloggi sovraffollati. Cita, allarme sicurezza”, il Gazzettino ‐ Venezia,
2/10/2010; “La Cita fa i conti con l’integrazione. Duemila stranieri nel quartiere: i residenti si dividono sul
giudizio”, La Nuova Venezia, 16/11/2010.
NOTA della redazione
Le foto con la sigla ( GFB) sono di Gianfranco Bonesso. Le foto con la dicitura (La Nuova Venezia) sono tratte dal quotidiano La Nuova Venezia. La foto con la dicitura (Venezia Today) è tratta dal quotidiano on-line VeneziaToday.