di Giannarosa Vivian
Cose viste e sentite nella manifestazione in campo Santa Margherita, a Venezia, il 13 febbraio 2011.
1. La prima foto l’ho scattata dal ponte prima di arrivare dove una volta c’era la libreria Utopia, diventata poi Patagonia: gente che cammina lungo la fondamenta dei Tre Ponti, la coda si perde tra il verde degli alberi. Non è un corteo, ma l’insieme delle persone che arrivate a piazzale Roma con mezzi di trasporto pubblici si stanno dirigendo verso il luogo dell’appuntamento.
L’iniziativa è la risposta a un “invito alle donne italiane” – ma esteso anche agli uomini – lanciato a fine gennaio, dopo una prima manifestazione di protesta tenutasi a Milano per ridare dignità alle donne, e anche alle istituzioni.
2. Io ci sto andando con una coppia di amici con cui da anni festeggiamo il Primo maggio e facciamo tante manifestazioni insieme. Aspettiamo il bus 24 sotto la pensilina, vicino al parco Bissuola. Tanti sono in attesa come noi: una piccola folla in una domenica mattina di tempo grigio e freddino. Oggi è il giorno del “Basta! Vattene governo Berlusconi”. È questo lo slogan della manifestazione: “Se non ora, quando?”, sottinteso: “arriverà il momento di scendere in piazza per dire basta?”.
Dopo le prime fermate, i passeggeri potevano solo scendere: chi era a terra non riusciva a salire. Stessa cosa è successa anche con le corse che passano in viale San Marco, mi ha detto più tardi un’amica che ha aspettato un bel po’ prima di riuscire a prendere il 12. Tre corse strapiene, ha precisato.
Pressati come sardine arriviamo a piazzale Roma. Sul marciapiede dalla parte del ponte di Calatrava – tutti lo chiamiamo così anche se il suo nome ufficiale è "ponte della Costituzione" – un folto gruppo sta aspettando altri arrivi prima di mettersi in cammino verso Santa Margherita. Sono quelli della foto.
3. Arriviamo in campo Santa Margherita alle 10,40 ed è già bello pieno. Io e la mia amica sfoggiamo sciarpa e basco rossi, come facciamo a ogni manifestazione d’inverno. “Rosso? Avevano detto che bisognava mettersi una sciarpa viola!” ci dicono le prime due conoscenti che incrociamo.
Sul palco sta cantando un coro femminile – non riesco a fotografarlo, troppa gente davanti. Riconosco la canzone: è Chariot, il vecchio cavallo di battaglia di Petula Clark, che dice “Se verrai con me sul mio carro tra le nuvole…”.
Più tardi, un’altra mia amica arrivata prima di me, in tempo per sistemarsi proprio sotto il palco, mi spiegherà che il coro si chiama “Mamme per caso”. Queste donne si sono incontrate per caso, appunto, in occasione di un provino di canto delle loro figlie. Le figlie non hanno passato la selezione, loro invece si sono messe insieme e hanno formato il gruppo. Sono vestite di bianco, e questo – almeno oggi – non è un caso. In campo noto molte sciarpe bianche: le organizzatrici, infatti, hanno scelto questo colore come segno distintivo della manifestazione.
4. Dietro l’edificio in mattoni a forma di torretta che chiude lo slargo lato Carmini – vicino al quale nei giorni feriali ci sono i banchetti del pesce – incontro un mio ex collega di scuola, che orgoglioso m’invita a fotografare il cartello che ha preparato.
Un po’ mi stupisce, e penso ai discorsi che vado facendo in questi giorni con gli amici a proposito delle invocazioni al Vaticano, perché intervenga a porre un freno all’attuale andazzo. Ma perché mai – ci chiediamo – c’è bisogno di chiamare in causa il cattolicesimo, e la morale cattolica? Tra l’altro, questo permette di usare parole e concetti da parrocchia, anzi da confessionale: peccare è umano… chi non ha mai peccato scagli la prima pietra….
Anche lo slogan su cui da fine gennaio gruppi di donne si mobilitano – “ridare dignità”, difendere il buon nome, salvare la reputazione “dell’Italia”, “del paese”, “della nazione” – si presta a sfumature, ambiguità e contraddizioni. Tanto più in piena celebrazione del 150esimo dell’Unità, con tutta la retorica di queste giornate.
Ci sono poi state tutte le discussioni delle ultime settimane: si tratta di una mobilitazione femminista, oppure no? Questo appello “a tutte le donne”, che si conclude estendendo l’invito a partecipare agli uomini, è stato infatti contestato da alcuni gruppi femministi.
Perciò ancora ieri sera mi chiedevo: io domani vado a manifestare ma per che cosa?
5. Oggi in piazza spero di trovare una risposta. Come previsto, vedo cartelli e striscioni che esprimono chiaramente il collegamento donne italiane – nazione italiana, seppure con sfumature diverse di significato. Ecco un cartello:
Mi colpisce il fatto che sia appeso al collo di un uomo, come lo è quest’altro che augura:
Fa parte del gruppo anche una donna che al collo ha un cartoncino giallo con la stessa “firma”, “Per l’Italia la rivoluzione del buon senso”. Dice: “NÉ CON IL VELO / NÉ SENZA VELO”. Sopra le loro teste, appeso ai fili della luce, uno striscione di tela bianca porta scritto in parole alternate rosse e verdi:
6. Che per tanti e tante sia forte il collegamento donne italiane insultate-comportamento del premier-è ora di finirla, lo dimostrano questi cartelli:
Leggo poi gli slogan: “Berlusconi dimettiti! Noi donne e anche gli uomini ci vergogniamo di te”. “Non sono in vendita / No al mercato dei corpi”. “Non corpi muti / siamo donne di parola”. “L’utilizzatore finale di minorenni dovrebbe stare in carcere, non al governo!”.
L’operato della magistratura è approvato da tanti. Vedo un cartello con una parodia dell’inno a Berlusconi: “MENO MALE CHE LA MAGISTRATURA C’È”.
Il richiamo alla legalità e ai principi costituzionali sta a cuore a una signora sorridente che stringendosi sul cuore un volumetto dal titolo La Costituzione Italiana si porta in giro un foglio A4 con scritto “IL POPOLO SOVRANO / TI VUOLE BEN LONTANO”.
Su un altro A4, un fotomontaggio a colori dove si vede Berlusconi tra due poliziotti in tenuta da blitz anticrimine, e a mo’ di didascalia: “I HAVE A DREAM”.
Una certa animosità la manifesta il cartello “Berlusconi tu non puoi farci viola / noi sì (metaforicamente) firmato: il popolo”.
E ancora, “il popolo” chiede conto al premier delle promesse fatte pur di essere eletto, in un grande papiro modello foglio protocollo, con tanto di timbri a destra e a sinistra, dove sono riportati uno per uno i punti da affrontare e risolvere in base al “contratto con gli italiani” esibito in non ricordo più che campagna elettorale.
7. Le anime presenti oggi in piazza sono tante e diverse. Complementari però, nel senso che l’una non esclude l’altra. Sono assenti invece bandiere con insegne di partito o di sindacato. L’unica bandiera ufficiale presente è quella tricolore dell’Anpi, sezione di Maerne di Martellago. Alla ragazzina che regge in mano l’asta chiedo di stare in posa un attimo così da poterla fotografare. Ci tengo, le dico, perché Maerne è il paese natale di mio papà. E lei, orgogliosa: “E mio papà è il presidente della sezione dell’Anpi!”.
Vicino alla vera da pozzo al centro del Campo si è sistemato un gruppo di giovani attivisti dei centri sociali “Rivolta” di Marghera e “Morion” di Venezia. Maschi e femmine insieme. Due ragazzi portano al collo nuove versioni dello storico slogan femminista “né santa né madonna, solo donna”. La prima che vedo è “né santa né puttana”, l’altra “né escort né bacchettona”. Una ragazza dello stesso gruppo fa appello alle donne migranti, per rifiutare i Centri di Identificazione e Espulsione voluti dalla legge Bossi Fini.
Che l’obiettivo della protesta sia per questi ragazzi la rivendicazione dei diritti delle donne, ma anche altro, lo dimostra il lungo striscione bianco sul quale un altro giovane del gruppo sta scrivendo con la bomboletta spray “NÉ BERLUSCONI / NÉ MARCHIONNE”.
8. Ecco le foto di cartelli sulle abitudini sessuali di Berlusconi.
9. Non saprei dire in quante noi femministe “storiche” di Mestre e Venezia fossimo presenti oggi in campo Santa Margherita: noi donne che fin dagli anni Settanta abbiamo costruito il movimento che ha lottato per i consultori, gli asili, la legge sull’aborto, il divorzio, l’apertura del Centro Donna. Secondo me oggi eravamo tante. Lo si respirava nell’aria, lo si capiva dai discorsi che ci scambiavamo. Oltre che dagli striscioni, naturalmente.
In uno, bello grande, su sfondo dei colori della bandiera della pace c’era scritto “TANTE, LIBERE, CONSAPEVOLI”. A sinistra il disegno di una donna che tiene alto sulla testa un cesto con delle sfere che sembrano mele, e sul cesto c’è scritto “CONSULTORIO”. A destra una moracciona dagli occhi grandi impugna un bel “NOT IN MY NAME”. Sulle mele del consultorio non so dare spiegazioni, ma il water collocato proprio sotto lo striscione parla chiaro. Si potrebbe dire che è un’istallazione.
Attaccate al bordo del water, sul punto di caderci dentro, un paio di scarpe decolleté rosse col tacco a spillo, il solito, classico simbolo della trasgressione. Sui lati tre parole scritte in colori diversi (viola, arancio, rosso) che però dalla posizione in cui mi trovo sono tutte illeggibili, tranne una: “FUTURO”.
Nelle rivendicazioni del movimento femminista l’espressione “libertà di scelta” è stata ricorrente. È per questo che mi fa piacere ritrovarla nel cartello che dice “SE NON ORA QUANDO / LIBERE DI SCEGLIERE”.
Agli anni che ho appena rievocato sembra appartenere anche questo “CHI PENSA NON HA PREZZO / RISPETTO PER NOI GIOVANI DONNE!!!”.
Su una striscia bianca di tela indossata di traverso come una sciarpa da sindaco leggo: “IL PERSONALE È POLITICO”. E una Mafalda che al posto della bocca ha un grande buco nero urla “BASTA!” e si dichiara “LIBERA INDISPONIBILE RIBELLE”.
Apprezzo la creatività e l’efficacia comunicativa di chi ha costruito il pupazzo in dimensioni umane che un giovanotto porta disinvolto sulla schiena:
10. A un certo punto sono cominciati i discorsi dal palco. Non solo prosa, anche canzoni: ho riconosciuto la voce di Beppa Casarin, un brano che non conosco ma immagino appartenere al repertorio dei canti di lotta che lei interpreta di solito. Un’altra canzone, da un repertorio ben diverso, che ha acceso gli animi e le membra – le mie e di tanti attorno a me nonostante il minimo spazio a disposizione – è stato una hit degli anni Sessanta, quel pezzo delle sorelle Kessler che fa così “la notte è piccola per noi, troppo piccolina”.
Più swing invece la parodia della vecchia ma sempreverde Raindrops (keep falling on my head) di Burt Bacharach. Unico verso udito: “È Berlusconi che proprio non mi va”.
L’amica di prima, quella che è riuscita a piazzarsi sotto il palco, mi ha raccontato il programma che si è alternato sulla scena. Dice che due cabarettiste note in ambito mestrino hanno recitato un pezzo tratto dal loro ultimo spettacolo. Le protagoniste sono due donne non più giovanissime, Norma e Amalia, che intendono sottoporsi al papi-test. Norma, che ha la stessa età del premier, conta di superare il test perché ha una grande esperienza di vita e ormai è – testuali parole della Norma – “rotta a tutto”. Sul palco c’era anche il gruppo di lettura del Centro Donna di Mestre, che ha letto poesie di Antonella Barina. È stata letta anche la lettera che Luisa Muraro ha pubblicato sul sito libreriadelledonne.it (poi ripresa da molti commentatori), suscitando scalpore perché prendeva le distanze da tutto questo entusiasmo generale per la mobilitazione: lo considera una manovra per avere le donne in piazza, ma senza alcuna concessione alle loro battaglie di genere. Sono state delle ragazze giovani a leggere la lettera, intercalandola con brevi osservazioni personali.
C’è stato anche l’appello di un gruppo di donne di Chioggia che hanno preso posizione contro il governo Berlusconi. Devono essere davvero forti se sono le stesse che un paio di anni fa avevano organizzato nella loro città una manifestazione in difesa della legge 194, e giunte sotto il palazzo comunale al loro sindaco leghista che appoggiava il tentativo di rimettere in discussione questa legge dello Stato le ho sentite gridare un indimenticabile “Tiozzo Tiozzo / lascia il municipio / torna al bragozzo”.
11. Prima di tornare a casa fotografo ancora due lenzuola appese alle finestre del palazzo che lo chiude il Campo sul lato nord. Vi si legge: “UN PAESE PER DONNE / NÉ PERBENE NÉ PER MALE”.
Mentre con i miei compagni della partenza, e altri amici che nel frattempo abbiamo incontrato, riprendiamo la strada per piazzale Roma, mi volto a guardare il campo dal lato San Pantalon: c’era proprio tanta gente oggi.
In campiello Mosca, un piccolo spiazzo subito dopo San Pantalon, vedo appeso con le mollette al filo della biancheria fuori di una finestra un mezzo foglio di carta da pacchi bianca che intima “DIMETTITI”. E in questa sua essenzialità, il messaggio si ricollega ai tanti “VATTENE” visti oggi.
12. Un tempo succedeva che chi andava avanti e indietro come ho fatto io oggi si ritrovasse presto in mano un fascio di volantini di tante provenienze. Poi a casa li leggeva. Oggi invece l’unico volantino che sono riuscita a trovare si intitola “Se non ora quando … uscire dai luoghi comuni”, firmato “Donne in movimento”.
Perché dopo aver letto il volantino mi resta l’impressione che a scriverlo siano state delle ragazze giovani? Basta girarlo dall’altra parte. L’altra facciata si intitola Affinità e divergenze fra le escort e noi. Liberamente tratto dalle chiacchiere di Infosex di Vanessa Bilancetti, un testo che era stato messo in rete qualche giorno prima. Nella prima riga si legge: “Sono una ragazza, siamo le ragazze di questa Italia berlusconiana”.
Seguono stralci di dieci brevi testimonianze, che parlano del condizionamento prodotto da anni e anni di programmi Mediaset che “hanno plasmato i modelli estetici che ci portiamo dietro”.
“Non vogliamo vendere la nostra intelligenza – scrive una ragazza – per avere 1000, 2000 o 5000 euro o una casa pagata, per rimanere comunque sotto ricatto ma con una borsa di Gucci. Ma non vogliamo nemmeno abituarci a una vita di stenti tra stage a 500 euro o part-time di 800 euro al mese, e una finta borsa di Gucci”.
Giannarosa Vivian
Mogliano, 23 febbraio 2011
Rosanna Trolese dice
Bello leggere della quantità e qualità delle presenze il 13.02. Io credo nella possibilità di fare una partito dove siano le donne a fare il programma e a dirigerlo ovviamente con “partecipazione ” degli uomini che lo condividono. Brava Gianna