di Reinhold C. Mueller
Come annunciato prima di Natale, chiudiamo un lungo ciclo cominciato in dicembre pensando ai riti e ai simboli di fine anno, con un altro intervento a proposito di san Nicolò del nostro amico Reinhold Mueller. Come di consueto quando si tratta di saggi lunghi, presentiamo qui di seguito un breve estratto (le prime pagine e le conclusioni); per leggere il testo integrale, cliccare qui. Oltre all’autore, ringraziamo Matteo Melchiorre per la generosa collaborazione.
1. Questo saggio propone un’incursione nei campi del diritto canonico e civile, della teologia, degli ebrei, dell’arte, dell’agiografia e della letteratura per richiamare l’attenzione su fonti relative a denaro e ricchezza che sono raramente frequentate dagli storici dell’economia. Sono fonti al tempo stesso letterarie – vite e miracoli di santi – e visive – la decorazione dello spazio ecclesiastico – che toccheranno diversi temi: l’elogio del credito; la razionalizzazione della ricchezza; la sollecitudine per il francescano usus pauper della ricchezza; l’interazione tra miracoli e impresa bancaria, sia cristiana che ebraica; l’incontro fra ebrei e cristiani nel mercato.
Gran parte di questo saggio sarà dedicata ad alcune delle molte leggende legate al nome di san Nicolò di Myra e di Bari, e riguardanti in qualche modo denaro e ricchezza, ma nel riflettere sul problema della ricchezza e della povertà volontaria dovrò, all’inizio, richiamare anche altri santi1.
Cominciamo, come io stesso feci quando per la prima volta mi interessai a questo argomento, con il ciclo di san Nicolò raffigurato nella cappella Castellani della chiesa francescana di Santa Croce a Firenze, un ciclo che cita quasi alla lettera la Legenda aurea di Iacopo da Varazze, vescovo domenicano di Genova nel tardo XIII secolo, la cui raccolta di vite e miracoli di santi fu così importante per gli artisti quale fonte di ispirazione2.
La leggenda centrale del ciclo affrescato narra il seguente miracolo, che sarebbe avvenuto dopo la morte del santo. Un cristiano prese a prestito una certa somma di denaro da un ebreo, giurando solennemente di fronte all’altare di san Nicolò, «poiché non aveva altro garante [fideiussor]», di ripagare il debito non appena potesse («quam citius posset»).
Fig. 1. Cappella Castellani, chiesa di Santa Croce, Firenze. Agnolo Gaddi, bottega (tardo XIV secolo), storia del bastone spezzato, da destra a sinistra: il prestito negoziato davanti all’altare di san Nicolò, i giuramenti davanti al magistrato, l’incidente del carro che travolge il debitore. (Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Castellani_Chapel_-_Frescos_by_Agnolo_Gaddi)
L’ebreo è la figura che tiene in mano la saccoccia di denaro e che calza un cappello con una sorta di nappa; si noti che non è raffigurato con i tratti caricaturali degli ebrei tipici dell’arte medievale. La transazione e la promessa avvennero in una chiesa di fronte all’altare del santo. Sopra l’altare ne vediamo l’icona, con il santo nella sua classica posa, ovvero nell’atto di benedire l’astante; in questo caso egli sta elargendo la benedizione su una transazione creditizia della quale è l’unico testimone. Ma il debitore ritardò la restituzione del prestito e l’ebreo si recò da lui per chiedere il proprio denaro; in risposta, il cristiano sostenne di aver già ripagato il prestito. L’ebreo non poté che appellarsi alla magistratura per far citare l’uomo davanti a un giudice.
Nella seconda e centrale scena del ciclo (la storia si sviluppa da destra a sinistra), possiamo immaginarci nella corte della Mercanzia, in piazza della Signoria a Firenze. Il giudice richiese all’accusato di giurare sul Vangelo di aver onorato il proprio debito. Ma egli, prima di presentarsi in tribunale, aveva riempito un bastone cavo («baculum cavatum») di monete d’oro («aurum minutum») e l’aveva portato con sé come se avesse bisogno di sostenersi. Quando venne il momento di pronunciare il giuramento egli passò il bastone all’ebreo, affinché lo tenesse mentre egli giurava di aver ripagato il capitale più l’interesse («quod plus sibi reddiderit etiam quam deberet»). Egli dunque chiese indietro il bastone e l’ebreo, ignaro dell’inganno, glielo ridiede. Al momento di lasciare il tribunale, il debitore disonesto venne colpito da una sonnolenza «simile alla morte» e si accovacciò sul ciglio della strada per dormire. Giunse un carro trainato da buoi (quest’ultimo, nella terza scena, da destra, è carico di balle di lana) che passò sopra l’uomo e lo uccise. Il suo bastone si ruppe e ne uscirono le monete d’oro. Venuto a conoscenza della notizia, l’ebreo si precipitò sul posto e comprese la frode («dolus») di cui era stato vittima. Molti degli astanti dissero all’ebreo che doveva prendere il denaro, dal momento che gli era dovuto, ma egli rifiutò di farlo a meno che l’uomo morto non fosse stato riportato in vita da san Nicolò. Affermò che se ciò fosse avvenuto egli avrebbe accettato il battesimo; e così avvenne: il morto venne prontamente resuscitato e l’ebreo fu battezzato «in Christi nomine».
La morale di questa storia è pressoché unica. Com’è ben noto, teologi e giuristi del medioevo si premurarono generalmente di dimostrare quanto fosse difficile per un mercante varcare le porte del Paradiso e quanto ciò fosse ancora più difficile per un usuraio, specialmente se usuraio manifesto. Baldo (m. 1400), parlando ovviamente di usurai cristiani – l’unico tipo di usurai che Firenze e i fiorentini potevano conoscere per esperienza diretta nel tardo XIV secolo – affermò che essi erano in pericolo di dannazione e che persino dopo la penitenza e la restituzione sarebbe rimasto loro per sempre il marchio della infamia, rendendoli reietti. Se Baldo considerava legittime le transazioni tra cristiani ed ebrei, i prestatori ebraici, per la profonda natura della loro infidelitas, erano abitualmente considerati ladri e divoratori della proprietà dei cristiani3. Nell’affresco della cappella Castellani, tuttavia, il pittore non utilizzò per la figura del prestatore i soliti tratti marcatamente caricaturali dell’ebreo; benché l’ebreo indossi un peculiare cappello con nappa e una veste color giallo, attributi che lo definiscono senza equivoci ebreo agli occhi dello spettatore, sembra che la raffigurazione mirasse a ritrarre il prestatore tout court, per far capire con maggiore efficacia l’assoluta importanza, nelle relazioni umane ed economiche, della buona fede nel rimborso dei debiti e quindi nell’erogazione dei prestiti, indipendentemente dall’origine religiosa o etnica delle parti4.
[…]
Due parole di conclusione potranno bastare. Gli storici dell’economia e del pensiero economico generalmente non considerano quali fonti di indagine le leggende dei santi e le loro rappresentazioni artistiche. È mia speranza aver stimolato una ricerca più estensiva usando anche questo tipo di fonti. Abbiamo osservato la cappella di un banchiere in una chiesa francescana, in quel focolaio di spirito imprenditoriale e dibattito ideologico che fu Firenze: il suo programma pittorico rappresentava i santi patroni di una famiglia, ma si rivolgeva anche a degli astanti interessati al fatto che l’enfasi sulla povertà volontaria predicata dai fraticelli non doveva giungere al punto di mettere a rischio la liceità dei patrimoni accumulati o in corso di accumulo.
Un posto d’onore nel programma pittorico della cappella di Santa Croce ebbe Nicolò, un santo che permise di essere picchiato e ingiuriato, persino dagli infedeli; ma lui stesso aveva una mano pesante, punendo anche con la morte coloro che non onorarono le loro promesse di pagamento. Raddrizzò le scorrettezze economiche, prese la difesa non di chi ricorreva al prestito ma di chi prestava, di colui che aveva accumulato ricchezza e ne cercava protezione, anche se infedele. Per dirla più precisamente: Nicolò prese la difesa del prestatore ebraico per dimostrare che egli, l’infidelis, era l’unico ad aver avuto buona fede e fiducia, gli elementi cruciali che facevano – e fanno – funzionare il mercato, mentre il debitore cristiano, il fidelis, si rivelò privo di fides e indegno di fiducia. A sorpresa, data un’atmosfera in genere di incomprensione e di sospetto reciproco, in queste leggende del ruvido santo viene data priorità ai valori, alle virtù del mercato, al diritto contrattuale, anche nel delicato settore del prestito; l’etica dell’incontro sulla piazza risulta qui neutrale in termini religiosi o etnici.
Le storie, naturalmente, dovevano avere tutte un lieto fine cristiano, catturato anche nelle rappresentazioni artistiche: la fides economica diventava fede religiosa per l’infedele – egli aveva credito e quindi credeva (credit, da credere, ‘egli crede’) quindi l’ebreo si fa battezzare5; il debitore disonesto, fedele in religione, infedele nella piazza, il padre che non aveva mantenuto la parola con il santo e la banda di ladri, tutti cristiani, ebbero l’opportunità di pentirsi e di cambiare vita. È così, perciò, che Nicolò divenne il santo patrono, inter alia, di banchieri e prestatori, cristiani o ebrei che fossero, così come dei ladri, e che i suoi attributi più popolari nelle rappresentazioni artistiche, le tre palle d’oro dell’episodio delle Tre figlie, divennero il simbolo del banco dei pegni6.
Nota. Il presente saggio è l’edizione italiana rivista e aggiornata di Reinhold C. Mueller, St. Nicholas, patron of bankers: credits and debits, wealth and poverty in medieval legends, in Moneda y monedas en la Europa medieval (siglos XII-XV), atti della XXVI Semana de Estudios Medievales (Estella, luglio 1999), Pamplona, Gobierno de Navarra, 2000, pp. 277-308. Traduzione di Matteo Melchiorre, rivista e integrata dall’Autore.
- Nella vasta bibliografia sul santo e le sue leggende, gli studi più importanti sono: Charles W. Jones, Saint Nicholas of Myra, Bari, and Manhattan. Biography of a Legend, Chicago, University of Chicago Press, 1978; Edward G. Clare, St. Nicholas, His Legends and Iconography, Firenze, Olschki, 1985; Gerardo Cioffari, O.P., San Nicola nella critica storica, Bari, Centro Studi Nicolaiani, 1987, che elenca una dozzina di storie del santo che hanno a che fare con denaro, monete, mercanti e simili (pp. 220-224). Per la presente trattazione sono considerate solo quelle che hanno un’importante documentazione iconografica. Gli autori fin qui citati sono tutti debitori a Karl Meisen, Nikolauskult und Nikolausbrauch im Abendlande. Eine kultgeographish-volkskundliche Untersuchung, Düsseldorf, Schwann, 1931. Il più importante studio recente, con una vasta bibliografia aggiornata, è quello di Michele Bacci, San Nicola, il grande taumaturgo, Roma-Bari, Laterza, 2009, che, a differenza del presente breve saggio, si sofferma principalmente sulla tradizione agiografica bizantina del santo. [↩]
- Ho usato l’edizione critica curata da Giovanni Paolo Maggioni, 2 voll., Firenze, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, 1998. [↩]
- «In magno ergo periculo sunt usurarii, maxime manifesti, quia etiam post poenitentiam peractam et restitutionem usurarum remanente infames, cum infamia jam sit inflecta et sic sunt inhabiles ad testimonia et dignitates, quod tene menti». Bernard Schnapper, La repression de l’usure et l’évolution économique (XIIIe-XVIe siècles), «Tijdscrift voor rechtsgeschiedenis/Revue d’histoire du droit», 37 (1969), pp. 47-75, alla nota 62, pp. 64-65. Vedi anche Diego Quaglioni, «Inter Iudeos et Christianos commertia sunt permissa». Questione ebraica e usura in Baldo degli Ubaldi (c. 1327-1400), in Aspetti e problemi della presenza ebraica nell’Italia centro-settentrionale (secoli XIV e XV), Quaderni dell’Istituto di Scienze Storiche dell’Università di Roma, 2, Roma, 1983, pp. 283, 293, e Giacomo Todeschini, Usura ebraica e identità economica cristiana: la discussione medievale, in Storia d’Italia. Annali, 11, Gli ebrei in Italia, Torino, Einaudi, 1996, pp. 291-293. [↩]
- Per l’assoluta necessità, nel mercato, di buone relazioni tra prestatori ebrei e cristiani mutuatari, vedi specialmente Joseph Shatzmiller, Shylock Reconsidered. Jews, Moneylending and Medieval Society, Berkeley, University of California Press, 1990. Sul tema della buona fede, vedi Diego Quaglioni, Standum canonistis? Le usure nella dottrina civilistica medievale, in Credito e usura fra teologia, diritto e amministrazione. Linguaggi a confronto (sec. XII-XVI), a cura di Diego Quaglioni, Giacomo Todeschini e Gian Maria Varanini, Roma, École Française de Rome, 2005, pp. 247-264. [↩]
- La trama di cui si parla si trova già in un inno del XII secolo; cfr. Meisen, Nikolauskult und Nikolausbrauch im Abendlande cit., p. 281. [↩]
- Ibidem, pp. 284-285 e Cioffari, San Nicola nella critica storica cit., pp. 220-224. Raymond de Roover ha ritenuto impensabile che usurai manifesti, scomunicati quali pubblici peccatori, potessero avere un santo patrono; sarebbe stato dunque ancora più sorpreso nello scoprire Nicolò come santo patrono dei prestatori ebrei; vedi il suo The Three Golden Balls of the Pawnbrokers, «Bulletin of the Business Historical Society», 20/4 (1946), pp. 117-124 (scopo principale dell’articolo è di dimostrare che le tre palle dei prestatori su pegno non hanno nulla a che fare con le cinque palle dello stemma dei Medici). [↩]