di Reinhold C. Mueller
Ritorniamo a san Nicolò, ai ricordi intorno alla festa e alle leggende intorno al santo, pubblicando il testo (rivisto per l’occasione) di un discorso d’auguri pronunciato da Reinhold Mueller presso il dipartimento di studi storici dell’università di Venezia nel dicembre 2014. All’inizio dell’anno nuovo torneremo sul tema, con un altro saggio, più lungo, di Mueller: allora, appassionati e curiosi delle leggende di san Nicolò, continuate a seguirci.
Comincerò questo discorso da Babbo Natale, nelle sembianze che ormai ci sono familiari: come si sa, questa immagine è nata dalla pubblicità della Coca Cola nel 1930 circa, e da allora è rimasta praticamente inalterata. I miei genitori con le mie tre sorelle sono emigrati dalla Germania negli Stati Uniti proprio negli anni trenta e in famiglia non era mai piaciuto questo Nicholaus – o Santa Claus – conciato in quella maniera. Abbiamo sempre festeggiato la vigilia di san Nicolò il 5 dicembre andando in giro attorno al tavolo da pranzo, con dei piatti vuoti in mano, cantando una canzone gioiosa in onore del santo. Finita la canzone, si metteva giù il piatto al proprio posto sperando che il santo venisse durante la notte. È sempre venuto… per fortuna nostra, e così la mattina successiva trovavamo i piatti pieni di biscotti di tradizione tedesca che mia madre aveva impiegato mesi a preparare e a nascondere da noi figli.
Pubblicità Coca Cola con Babbo Natale (anni trenta?)
Ma chi era Nicolò? Era un ribaldo, uno da zuffe da bar, brutto e cattivo. Però cattivo con i cattivi. Ci sono opere teatrali inglesi del Duecento che lo ricordano così, come uno che picchiava. Lui da vescovo si trovava al concilio di Nicea, e a un certo punto prende Ario e gli dice: “E tu? il filioque niente?”. Allora snàcchete, gli dà uno schiaffo tale che tutti gli altri vescovi gli dicono: “così non si può”. Gli tolgono la stola e lo mettono in carcere per rinfrescarsi le idee per una notte. Ovviamente ha una visione: nella notte arrivano la madonna e il bambino e gli chiedono: “tu, cosa fai qua?”. “Sono qui per amore di voi”. E gli rispondono, “allora ti regaliamo un libro”, ed era il Vangelo. Dopodiché Nicolò, miracolato, viene rilasciato.
Il libro ricevuto in dono è importante, perché in nove rappresentazioni su dieci (seguo qui il volume di Charles W. Jones, Saint Nicholas of Myra, Bari, and Manhattan. Biography of a Legend, University of Chicago Press, 1978) il santo ha un libro e lo usa per fare equilibrismi, tenendoci sopra gli “attributi” che di solito lo contraddistinguono: le tre palle d’oro della prima e più nota leggenda relativa al santo, su settantacinque o più che gli vengono attribuite – più di qualsiasi altro santo in paradiso. Nicolò ne fa una sfilza, di miracoli. In questo caso, cosa fa? Salva con una palla d’oro per ciascuna le tre figlie di un nobile decaduto che, per farsi mantenere, voleva metterle al lavoro come prostitute. Appena saputo di questo proposito, Nicolò viene di notte, quindi anonimamente, e attraverso la finestra, butta prima una, poi una seconda, poi una terza palla, e le ragazze sono salve e si possono sposare con appropriate doti. Nella chiesa dei Carmini, a due-trecento metri da qui, si trova una fantastica pala d’altare di Lorenzo Lotto con, al centro, il vescovo Nicolò cui un angelo porge una coppa contenente le tre palle, dipinto fatto fare nel 1529 dalla Confraternita di San Nicolò dei Mercanti.
Lorenzo Lotto, San Nicola in gloria, 1527-1529, chiesa Santa Maria dei Carmini, Venezia
Se chi guarda il quadro arretra due passi e guarda per terra, trova una lastra di marmo con una iscrizione e le tre palle, che copre la tomba comune dei confratelli della “scola” di cui Nicolò era protettore: perché lui, con le sue settantacinque leggende, era il santo patrono praticamente di tutti.
Nell’area ortodossa, in Grecia come in Russia, il santo era così popolare che osservano ben due feste di san Nicolò all’anno, e non una sola come in Occidente.
A Serravalle – cittadina meravigliosa oggi parte di Vittorio Veneto – c’è una chiesa di San Giovanni Battista dove sulla destra, entrando, si trova la cappella Galletti con affreschi di metà Quattrocento con una dozzina di leggende di san Nicolò: sono di una bellezza travolgente, il viaggio vale la pena. Su un riquadro si vede il vescovo – a dire il vero all’epoca del miracolo non era ancora vescovo, ma per far capire che è lui lo fanno vedere come vescovo – che butta dentro queste palle nella casa di quel poco di buono di nobile decaduto.
Chiesa di San Giovanni Battista (Vittorio Veneto), affresco della cappella Galletti
Accanto a quell’affresco ce n’è un altro, che illustra un’altra leggenda del santo, quella forse per me più interessante, in quanto mostra un altro aspetto del dono, del donare, di Nicolò. Riguarda il prestito che un cristiano indigente chiede a un ebreo. “Però – dice il cristiano –, io sono povero, non ti posso lasciare un pegno, ma prometto di ripagarti in un anno”. “D’accordo, ma un momento – dice l’ebreo –, andiamo a trovare un tale che è dalla tua parte, e tu rifarai la promessa davanti al suo altare, all’icona di san Nicolò, che farà da garante”. “Va bene”, risponde, e, dinanzi l’altare ripete la promessa di ripagare il prestito. Ma dopo un anno il cristiano, fedele per definizione, non ripaga e invece asserisce di aver già estinto il debito: “Io ho già dato, non ti devo nulla”. L’ebreo, infedele per definizione, allora deve andare davanti al magistrato per richiedere i suoi soldi, prestati amore Dei. Il magistrato non può far altro che chiamare tutti e due ed esigere il giuramento: uno giura secondo l’usanza ebraica, l’altro giura sul Vangelo. Prima di giurare, però, il cristiano chiede all’ebreo: “tienimi un attimo mio bastone che devo mettere la mano sul libro”. E alla fine, che cosa fa il magistrato? hanno giurato tutti e due, ma ovviamente la versione considerata buona è quella del cristiano, mentre l’ebreo esce a mani vuote: il prestito non gli sarà ripagato. Ma quando i due escono dall’aula del tribunale, Nicolò – il garante del prestito – si mette al lavoro: fa travolgere il cristiano – il fedele mostratosi infedele – da un carro tirato da buoi, il bastone si rompe e dal bastone saltano fuori le monete d’oro. Il cristiano muore sul colpo e tutti gli astanti dicono all’ebreo (che tutti riconoscono a Serravalle, perché è vestito di giallo, come prescritto a ebrei e prostitute): “Quei sono soldi tuoi, vàlli a prendere e buonanotte”. Lui è d’accordo, ma prima vuole mettere anch’egli alla prova il buon Nicolò e aggiunge: “Se fa quest’atto di giustizia nei mei confronti, vediamo quanto forte è davvero: vediamo se riesce a riportare in vita la persona che ha appena ammazzato per me”. Ovviamente il cristiano rinasce, e il “lieto fine” della leggenda cristiana è che il povero prestatore ebreo si converte e si fa battezzare.
Concludo questo breve discorso su san Nicolò e il dono con una proposta di ricerca. Se il nostro santo vescovo si rivela santo patrono anche di prestatori ebrei, forse ha influenzato il grande pensatore del XII secolo, l’ebreo Mosé Maimonide, quando questi formulò gli otto livelli di carità (stiamo parlando appunto di doni, oggi): al primo posto mette il prestito gratuito, senza interesse; al secondo posto mette la carità anonima a un destinatario sconosciuto, e così via. Quindi vi vorrei suggerire che una notte Maimonide abbia avuto una visione di san Nicolò. Non solo, ma concludo in questa maniera: qui si parla di anticipare la carità per prevenire la povertà. E quindi l’ebreo Maimonide non risulta solo un seguace di san Nicolò, ma forse anche un comunista.
Nota. Discorso registrato a Venezia da Alessandro Casellato (dicembre 2014); trascrizione a cura della redazione del sito; testo rivisto dall’autore (dicembre 2015).
Giacomo dice
Confermo quanto scritto da Enrico. Anche a mia memoria (anni cinquanta, sinistra Piave) san Nicolò era un vecchietto povero che andava in giro con un mussét. Chissà dove e chissà quando aveva perso il vestito da vescovo (che mantiene tuttora altrove, per esempio nelle statuine di cioccolata nei negozi di dolciumi a Vienna).
Enrico dice
Interessante. Da vittoriese devo ammettere che non sapevo degli affreschi di san Nicolò. Tra l’altro per me è sempre stato qualcos’altro, un vecchietto povero con l’asino, altro che vescovo, che ricordo per chi non lo sapesse, che a Vittorio Veneto dimora in un castello. Comunque, se venite a dare un occhio guardatevi attorno perché la chiesa è parte dell’ex convento dei Carmelitani, dove sono ospitati i migranti che poco tempo fa hanno protestato per le condizioni di accoglienza…chissà che san Nicolò non pensi anche a loro.