Giacomo Matteotti, a 100 anni dal suo omicidio, fa ancora paura se il 14 maggio il sindaco di Maserà nel Padovano ha negato, per i “contenuti informativi non neutrali”, la sala allo storico Mimmo Franzinelli che intendeva presentare il suo libro “Matteotti e Mussolini”. Abbiamo voluto allora chiedere al nostro amico Alessandro Voltolina come ha costruito la lettura teatrale Matteotti 100. Lettere a Velia, presentata il 10 maggio alla manifestazione della CGIL INDOMITA 2024. Pace, diritti, lavoro e musica a Forte Marghera-Mestre. Ne è emerso il racconto di una lunga frequentazione con un personaggio storico che da fantasma severo e intransigente è diventato una persona viva con le sue fragilità e i suoi sentimenti.
di Alessandro Voltolina
…Eccellenza, l’assassinio di Giacomo Matteotti, tragedia mia e dei miei figli, tragedia dell’Italia libera e civile, mi lasciò credere che giustizia sarebbe stata non invano invocata. Era l’unico conforto che mi rimanesse nell’angoscia suprema. Non avevo rancori da esprimere né vendette da invocare, volevo solo giustizia. Gli uomini me l’hanno negata l’avrò dalla storia e da Dio
Bisognerebbe essere stati là, lunedì 20 maggio, nell’auditorium della scuola secondaria “Giacomo Matteotti” di Maerne e aver ascoltato durante le prove la lettura del copione da parte delle alunne e degli alunni impegnati nella lettura scenica, per capire che la strada intrapresa dalla scuola era quella giusta.
Bisognerebbe essere stati là e aver ascoltato la voce di Sara, tredicenne, che mentre leggeva le parole di Velia, andava piano piano rompendosi per la commozione, per capire che ricordare Giacomo Matteotti e Velia Titta dopo cento anni era la cosa giusta da fare a scuola.
Un passo alla volta.
Sono entrato nella scuola media Giacomo Matteotti di Maerne come insegnante di materie letterarie ai primi di settembre del lontano1981. Sono rimasto in servizio presso quella scuola fino al 2014, quando sono andato in pensione o, come io preferisco dire, quando mi hanno mandato in pensione per raggiunti limiti di età.
Ho dunque insegnato storia a un numero mica piccolo di studenti.
In prima era la storia Greco Romana, in seconda dal Medio Evo fino a Napoleone e poi in terza media dall’Ottocento fino agli approfondimenti relativi alla storia del Novecento. Allora così recitava il Programma.
Più o meno c’erano da conoscere tutti i mari del globo, navigando la storia due ore ogni settimana per tre anni. Giunti in terza c’era il Risorgimento, la nascita del regno d’Italia, le rivoluzioni industriali, il colonialismo… temi tutti di grande interesse, magari più mio che degli alunni. Tutto era “fatto” un po’ di corsa, col fiatone storico, per poter dare spazio e tempo ai grandi nodi novecenteschi così importanti. Importanti almeno secondo l’opinione dei più che vedono, nella conoscenza della storia più vicina a noi, la possibilità di costruire forme di cittadinanza più consapevole.
Non ero d’accordo, il tanto conclamato primato della storia del Novecento non mi ha mai convinto, ma questo poco conta. Credo, anzi ne sono convinto, che qualsiasi pagina, sia storia lontana o vicina ai tempi nostri, possa dare qualche luce al presente se c’è in chi spiega la capacità di rendere vivo, o forse sarebbe meglio dire scolasticamente vivace, il passato. Il contrario di estinto, per capirci.
La materia da proporre era infinita, erano quindi inevitabili scorciatoie e libertà di tirar via su alcune pagine ritenute, a torto o a ragione, meno importanti.
Giusto, non giusto? Non lo sapevo allora, e non lo so oggi.
Sapevo che tutto il mare in un secchio non ci stava e quindi bisognava lasciare che l’acqua in eccesso scivolasse fuori dalle falle del vascello, o per restare in metafora, bisognava buttare a mare il molto del carico, per cercare di salvare il poco.
Metodo! Mi nascondevo dietro a questa parola magica, metodo.
Tu, prof. devi dare valore al metodo di studio. Nel mio caso questa parola magica voleva semplicemente dire far conoscere i contenuti proposti dal manuale con qualche piccolo, significativo lavoro di ricerca e di approfondimento. Oltre non riuscivo ad andare.
Molti erano dunque gli argomenti trascurati, sull’importanza dei quali mi interrogavo ad inizio anno, nelle fasi della programmazione, per giungere con colleghe e colleghi ad una ragionevole selezione.
Questo sì, questo no, come i petali della margherita in materia d’amore.
Ma il tarlo dell’argomento Matteotti non affrontato, o affrontato forse con colpevole fretta, doveva aver lavorato sotto traccia, facendo affiorare qualcosa che assomigliava ad un senso di colpa. Una varietà di fantasma emerso dal manuale a smuovermi sedia e cattedra. Era lo spettro di colui al quale non avevo reso per intero giustizia.
Giacomo Matteotti, fantasma severo e intransigente.
Certo che in classe avevo letto le pagine a lui dedicate, lette e spiegate, ma se la parola superficialità può apparire un’esagerazione, mi vien da dire che, se ho sentito la necessità di riparare un torto, una ragione doveva pur esserci.
Dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Era la primavera del 2014 e, neanche fossi San Paolo fulminato sulla via di Damasco, ho allungato lo sguardo fino a coprire i trentadue anni trascorsi in quella scuola dedicata proprio a lui. Giacomo Matteotti.
Sensi di colpa? No, colpa no. Credo piuttosto ci fosse dell’altro in questa forma, non di rimozione, ma di diminutio di una pagina, che avrebbe meritato ben altra attenzione, una diversa cura, anche emotiva, a quei fatti.
Cosa intendo per diversa cura, non è facile da dire. Capitava che in classe affrontassi alcuni scalini con uno slancio che non mi faceva sentire la fatica dell’insegnare. La lezione prendeva un abbrivio felice che creava il clima giusto per apprendere.
La classe se ne sarà mai accorta? Mah.
Cosa pesò in quelle scelte di allora? In parte deve aver contato quell’ansia che prende l’insegnante quando, giunti i primi tepori primaverili, si accorge che mancano pochi giorni alla fine dell’anno scolastico e che il programma (ah! Uno spettro si aggira tra le aule nei mesi di aprile maggio: il programma!) non è completato.
Ansie da curriculum interruptum.
Ma come? Non hai ancora presentato gli anni della Ricostruzione? E allora dai! Corri, arriva presto al Dopo Guerra e poi rilassati. Oh no! Ci sarebbe ancora il capitolo sugli Anni Sessanta, il Due giugno per fortuna è salvo e anche la Costituzione della Repubblica, magari a grandi linee, l’ho affrontata.
Il programma è in sicurezza, o quasi.
C’era però un altro spettro che si aggirava nella mia testa di allora. Non so bene che peso dargli, ma temo sia etichettabile come pregiudizio.
«Pellegrino del nulla» appare a noi Giacomo Matteotti quando consideriamo la sua vita e la sua fine in relazione con tutte le circostanze che danno ad esse un valore non più «personale», ma di indicazione generale e di simbolo.
Pellegrino del nulla. Così scriveva Antonio Gramsci pochi giorni dopo il rapimento e l’assassinio di Matteotti. Avevo mal compreso quelle parole, avevo accolto la sferzante immagine di Matteotti “pellegrino del nulla”, trascurando il pensiero che la argomentava.
2014 novant’anni.
L’anniversario, da sempre avversato come momento celebrativo, è stata invece la spinta a ripensare, a valutare con lenti diverse la figura di Giacomo Matteotti.
Novant’anni dalla sua morte e la sua figura si è finalmente fatta viva, sono andato a rileggere le pagine, i discorsi, i fatti e così è nata l’idea di parlare di lui per farlo conoscere davvero, prima di tutti a me, e di seguito alle studentesse e agli studenti.
Una riparazione a un danno provocato.
Ho pensato che il linguaggio del teatro per mettere in scena le sue parole, i suoi discorsi, gli articoli dei giornali, la storia tragica del rapimento potesse essere il modo giusto per raccontare la sua figura. Ne è nato, in quel lontano maggio 2014, uno spettacolo a scuola, e così ho fatto parlare Giacomo Matteotti alle ragazze, ai ragazzi e alle famiglie.
Pare storia da ridere, e forse anche lo è, ma quella recita a scuola mi ha fatto bene allora e mi ha convinto a continuare a cercare Giacomo Matteotti nei dieci anni che sono seguiti a quel prezioso incontro.
Negli anni a seguire più volte ho incrociato per strada Matteotti, accompagnandomi a lui in letture disordinate, come del resto disordinate sono sempre le mie letture.
È stato durante una fortunata mattina in una bella biblioteca, la Querini per chi è pratico di Venezia, che Giacomo ha pensato fosse giunto il momento di presentarmi sua moglie Velia. Lo ha fatto grazie allo splendido lavoro di Stefano Caretti che negli anni ha pubblicato lo scambio epistolare tra Velia e Giacomo. Ancora una rivelazione, esiste una storia di Velia con Giacomo che meritava di essere messa al centro di quella scena. La lettura delle 429 lettere di Giacomo a Velia e le 214 di Velia a Giacomo mi hanno aperto ad uno sguardo diverso, più ricco, dando luce alla vita di una coppia insieme normale e straordinaria.
Pochi documenti hanno la forza di certi scambi di lettere, quando le parole sanno parlarci di donne e uomini. Certo, quando si leggono lettere che nessuno avrebbe dovuto leggere oltre il destinatario, è necessaria discrezione nell’intenderle, sensibilità nel saperle interrogare e giusto riserbo nel comprenderne i silenzi.
Questo materiale epistolare mi ha convinto, nell’anniversario di quel 10 giugno 1924, a scrivere un nuovo testo che potesse raccontare, insieme alla storia del delitto politico, anche qualche frammento della storia vissuta da Velia e Giacomo nei dodici anni in cui durò la loro storia. L’innamoramento, le diverse educazioni, le frequenti lontananze, il matrimonio, la morte violenta.
Ho portato Velia e Giacomo di fronte alle cittadine e cittadini di Mestre che nutrono interesse per questa storia, ma soprattutto porterò a fine anno scolastico la lettura alle studentesse ed agli studenti della scuola media “Giacomo Matteotti” di Maerne, là dove, dieci anni fa, si è risvegliato un pensiero.
Tra le diverse voci a cui mi sono rivolto per sapere di più, grazie in particolare a
A cura di Stefano Caretti, Velia Titta Matteotti, Lettere a Giacomo, Pisa 2000
A cura di Stefano Caretti, Giacomo Matteotti, Lettere a Velia, Pisa 1986
Giampaolo Romanato, Un Italiano diverso, Giacomo Matteotti, Milano 2011
Claudio Fracassi, Matteotti e Mussolini, Milano 2004
Laura Fagiolini, Velia La dignità contro il regime, Roma 2022
Giuliano Capecelatro, la banda del Viminale, Milano 1996
Antonio Scurati, M. il figlio del secolo, Milano 2018
Antonella Grieco, Le scelte di un uomo e l’esistenza di una donna. Giacomo e Velia Matteotti., Siena 2013/2014
Giampiero Buonomo, Quel che non torna nel movente affaristico del delitto Matteotti, Tempo presente 2022
Simonetta Fiori, Non solo Giacomo. Tutti i Matteotti dissero no al Duce, Robinson di la Repubblica, n. 381 2024
Federico Fornaro, Giacomo Matteotti, l’Italia migliore, Torino 2024
Antonio Gramsci (?) il destino di Matteotti” pubblicato su “Stato operaio“, 28 agosto 1924
e scuse a tutte e tutti se ho usato in modo maldestro le loro parole.
Nota della redazione: le due foto del testo sono tratte dalla pagina Giacomo Matteotti del sito Wikipedia.