di Uberto Limentani, a cura di Lucio Sponza
Qualche giorno prima di Natale, Manlio Calegari ha commentato sul nostro sito l’intervento su Radio Londra, tenuto da Lucio Sponza all’ultimo “spunti-no storico” del 2013. Calegari si diceva curioso di sapere qualcosa di più sull’“illuminante” rapporto di Uberto Limentani citato nel testo; Sponza ha perciò deciso di fornirci la traduzione italiana della trascrizione integrale del documento. La pubblichiamo qui di seguito.
Rapporto confidenziale di U[berto] Limentani intorno al proprio internamento e all’affondamento della nave a vapore Arandora Star
Sono stato arrestato il 13 giugno e internato lo stesso giorno nel Campo di Internamento per Stranieri all’ippodromo di Lingfield [circa 30 chilometri a sud di Londra]. Sono stato messo con altre nove persone in un carro per il trasporto di cavalli; non è stata fatta alcuna distinzione fra rifugiati e altre persone, né allora né dopo; nove giorni dopo è stata resa disponibile una sistemazione migliore, ma all’undicesimo giorno dall’arresto sono stato trasferito al Campo di Internamento di Warth Mills [un cotonificio dismesso] di Bury, Lancashire. La sistemazione in questo campo era molto deplorevole e i servizi igienici erano insufficienti per i 1800 internati stipati in uno spazio molto limitato (nessuna possibilità di lavarsi per bene; dappertutto c’erano lo sporco e l’untuosità di una fabbrica abbandonata; praticamente inesistenti i gabinetti). Il cibo era spesso insufficiente sia a Lingfield che a Bury, e il pasto serale consisteva frequentemente di un po’ di pane, un pezzo di formaggio e una tazza di tè.
Cinque giorni dopo il mio arrivo a Bury il cosiddetto ‘gruppo di Lingfield’ è stato convocato dal Comandante per l’annuncio che un certo numero di noi sarebbe partito il giorno seguente. La lista completa è stata letta la mattina successiva perché non era pronta prima, ma ci era stato detto che sarebbe consistita del primo ‘gruppo di Lingfield’ (probabilmente una ‘lista nera’ mandata dal Ministero della Guerra) e di internati (20-40 persone) del secondo ‘gruppo di Lingfield’ (per completare il numero), scelti fra i celibi sotto i trent’anni. Temendo di essere diviso dal gruppo di rifugiati italiani in cui mi trovavo, ho informato quella stessa sera il Comandante del Campo (Braybrook) e alcuni altri ufficiali intorno alla mia posizione di rifugiato e di dipendente della BBC, e ho chiesto che il nostro gruppo non fosse diviso (c’erano, fra gli altri, Max Gentili, Giulio Finzi, G. Janni, Giuseppe Treves e P. Polani). Mi è stato detto che se ero un rifugiato la mia posizione sarebbe stata certamente considerata. Sono stato perciò molto sorpreso, la mattina seguente, di sentire che il mio nome era incluso nella lista di quelli che sarebbero partiti, e che sarei stato diviso da tutti gli altri rifugiati. Ho parlato ancora con il Comandante, il quale rispose che non c’era nulla da fare: la lista non poteva essere cambiata. Ho insistito e più tardi ho chiesto l’intervento di alcuni ufficiali; mi sono rivolto, in particolare, a un capitano (Croster), il quale ha preso nota di tutti gli elementi che gli ho fornito. Ma non è successo nulla, e dovevo partire.
Non sapevamo affatto quale fosse la destinazione e siamo rimasti stupefatti, al nostro arrivo a Liverpool, quando ci siamo resi conto che ci facevano salire nella grande nave passeggeri Arandora Star. Solo dopo un po’ di tempo abbiamo pensato che si stesse per andare in Canada.
Sono stato sistemato con altri tre italiani in una cabina di prima classe che si trovava sul ponte A, due livelli sotto il ponte di coperta. Nel corridoio fuori della cabina c’erano sentinelle e siamo stati costretti a rimanere sempre in cabina – fatta eccezione per tre quarti d’ora il primo luglio, quando ci è stato concesso di passeggiare sul ponte. In quell’occasione abbiamo visto che stavamo navigando nel canale fra la Scozia e l’Irlanda. Non è stata fatta alcuna prova di impiego delle scialuppe o del salvagente, e apparentemente l’intera organizzazione (ora dei pasti, servizi di sentinella, sistemazioni, ecc.) era stata fatta proprio all’ultimo momento. Le scialuppe non sembravano essere in perfette condizioni.
Quando la nave è stata silurata, alle 6.35 di mattina (fuso orario di Greenwich) del 2 luglio 1940, stava viaggiando a circa 200-250 miglia a nord o nord-ovest dell’Irlanda. La nave è stata scossa dall’esplosione del siluro, ma non dava l’impressione di affondare immediatamente. La gente è andata sui ponti e sono state calate le scialuppe, ma quelli che poterono salirci erano relativamente pochi. Non ho sentito dare alcuna indicazione da parte degli ufficiali o dell’equipaggio; ho sentito solo otto fischi di sirena.
Quando la nave è stata colpita dal siluro stavo dormendo; mi sono alzato subito, ho raccomandato agli altri di stare calmi, mi sono infilato il salvagente e sono andato sul ponte. Ho cercato di salire su una scialuppa, ma quando è stata calata era quasi vuota ed è stata subito allontanata dalla corrente e dalle onde; le altre scialuppe erano già lontane. Molte persone si erano gettate in mare e parecchie di loro erano già annegate. Quando mi sono reso conto (dopo circa venti minuti dal siluramento) che non rimaneva molto tempo, mi sono calato in mare con calma, allontanandomi a nuoto dalla nave che stava affondando rapidamente. Si era girata sul fianco destro, la prua era sott’acqua; le persone si gettavano in mare dai ponti e improvvisamente la nave si è inabissata con un terribile fragore. La superficie del mare era ricoperta di nafta (e in qualche punto c’erano fiamme), di relitti e di pezzi di legno. Ho nuotato per circa un’ora aggrappato a una tavola di legno assieme a un marinaio dell’Arandora Star; abbiamo deciso di cercare di raggiungere una scialuppa che avevamo visto a circa mezzo miglio di distanza – e cominciato a spingere la tavola, ma dopo un po’ il marinaio mi ha lasciato per nuotare verso la scialuppa. Quando mi sono reso conto che la tavola era un ingombro piuttosto che un aiuto per raggiungere la scialuppa, l’ho abbandonata e mi sono messo anch’io a nuotare. Alla fine l’ho raggiunta e sono stato issato a bordo.
Più tardi mi è stato detto, da qualcuno che era nella scialuppa, che un capitano dell’Esercito – anche lui nell’imbarcazione – aveva insistito che dovevano essere presi a bordo solo degli inglesi. Ma il secondo o terzo ufficiale dell’Arandora Star (un certo Tulip) aveva detto che lui avrebbe preso chiunque, senza distinzione di nazionalità. La scialuppa era quasi piena (ci saranno state 120 persone); eravamo pigiati e stretti da ogni parte; entrava dell’acqua, che sentivo salire dato che dovevo rimanere seduto sul fondo della scialuppa. Alle 12.30 circa un idrovolante ci ha avvistati e ha lanciato dei razzi illuminanti; alle 14.40 è arrivato il cacciatorpediniere inglese H.83 (Saint Laurent) e sono salito a bordo intorno alle 15.20. Eravamo circa 700 naufraghi e i marinai hanno fatto tutto il possibile per ristorarci. Siamo sbarcati alle 8 di mattina del 3 luglio a Greenock (Scozia). Ho chiesto di essere mandato in un ospedale perché avevo bisogno di riposo: avevo i piedi gonfi e non riuscivo a camminare. Ci hanno lasciati al porto e dopo qualche ora siamo stati condotti – circa 60 italiani e 70-80 tedeschi sopravvissuti – al Mearnskirk Emergency Hospital di Newton Mearns, Glasgow. Siamo stati curati molto bene e dopo otto giorni la maggior parte di noi è stata trasferita al Campo [di Internamento] Donaldson’s School, West Coates, Edimburgo. In questo Campo le sistemazioni e il trattamento sono stati abbastanza buoni. Sono rimasto là dall’11 al 31 luglio, quando sono stato rilasciato.
Dopo il mio ritorno ho saputo che l’ordine del mio rilascio era stato firmato il 7 luglio e immagino che il ritardo sia stato dovuto al fatto che ero dato per disperso. I miei amici sapevano che ero vivo da una mia lettera che gli era arrivata il 17 luglio.
Non mi era stato concesso di telegrafare a nessuno, anche dopo l’affondamento. Quando i miei amici hanno comunicato al Ministero della Guerra dove mi trovavo e hanno chiesto che fosse immediatamente applicato l’ordine di rilascio, il funzionario ha risposto che stavano aspettando notizie ufficiali su dove mi trovassi. Mi risulta che durante il mio internamento al Donaldson’s [School] mi sono stati spediti diversi telegrammi e lettere sul corso del mio rilascio; una firmata da William Gillies, Segretario della Sezione Internazionale del Partito Laburista, e una dalla Signora B[ertha] Pritchard, Segretaria del Comitato di Aiuto per i Rifugiati Italiani. Non ho mai ricevuto niente. Per inciso, desidero segnalare il fatto che non mi è mai stato restituito neanche un ‘penny’ dei soldi che mi sono stati confiscati il primo giorno di internamento.
Nota. Il Confidential Report of U. Limentani about his Internment and the Sinking of the S/S. “Arandora Star” si trova nell’Archivio di Stato inglese (The National Archives, Kew, Surrey) in Foreign Office (FO), 371/25210/17-20. Fu spedito da Limentani a William Gillies il 6 agosto 1940; Gillies lo passò subito al Foreign Office. Nella traduzione ho cercato di aderire allo stile scarno che era almeno in parte dovuto all’ancora limitata capacità espressiva in inglese di Limentani.
Nato a Milano nel 1913 da famiglia della buona borghesia ebraica, Uberto Limentani si laureò in Giurisprudenza nel 1935 e quattro anni dopo, mentre faceva tirocinio professionale, ottenne la laurea in Lettere. Le leggi antisemitiche lo costrinsero a emigrare e giunse in Inghilterra nel luglio del 1939. Assunto dalla Sezione Italiana della BBC, fu internato come enemy alien con l’entrata in guerra dell’Italia. Riprese il suo posto alla BBC poco dopo le vicende narrate nel rapporto confidenziale per rimanervi fino al settembre 1945, quando diventò Lettore di italiano all’Università di Cambridge. Qui fece una brillante carriera: in cattedra dal 1962 fino alla quiescenza nel 1981. I suoi studi principali riguardano Dante, Foscolo e il Seicento. Morì nel 1989 mentre si trovava in vacanza fra le montagne che amava (a Siusi). (L.S.)
Rupert Limentani dice
Ho letto con interesse la traduzione del resoconto che mio padre inviò alle autorità britanniche del naufragio dell’Arandora Star. Dopo qualche mese ricevette una risposta in cui un funzionario gli comunicava che il governo britannico non lo avrebbe risarcito in nessun modo per quanto gli era capitato. Mio padre ha poi pubblicato diverse versioni del resoconto, sia in inglese che in italiano. Una versione completa in italiano si trova in appendice del libro “È necessaria la Scienza?” di Max Perutz (Garzanti, 1989, pagg. 293-297), mentre una versione in inglese chiamata “Survival at Sea” è stata pubblicata sulla “Magdalene College Magazine and Record” (Cambridge). La sobrietà e l’essenzialità che si notano nel resoconto lo hanno accompagnato per tutta la vita e si rilevano anche nella versione italiana. Grazie. Rupert Limentani (figlio di Uberto Limentani).
manlio calegari dice
Sì, forse lo stile “scarno” viene da una ancora limitata conoscenza della lingua. Ma un bagno di sobrietà e di essenzialità ci fa bene, no? Grazie e b. notte. m