di Francesco Zane, a cura di Giannarosa Vivian
Domenica 20 novembre 2011 Giannarosa Vivian ha incontrato Francesco Zane a Mirano, e ha raccolto il suo ricordo dell’alluvione. Zane abitava, e abita tuttora, a Venezia. Le tre foto che illustrano il testo sono state scattate da Zane in quegli stessi giorni subito dopo l’alluvione.
1. Il 4 novembre del 1966 era festa nazionale. Quel giorno sarei dovuto andare al collegio navale “Morosini” a una manifestazione per l’anniversario della vittoria della prima guerra mondiale. Nel 1966 frequentavo la seconda magistrale all’istituto “Niccolò Tommaseo”, a Venezia, nella zona che si trova tra San Giovanni e Paolo e San Lorenzo. Il professore di ginnastica ci teneva molto che ci fosse una rappresentanza di studenti della mia scuola, una trentina in tutto. A questa cerimonia dell’alzabandiera avrei dovuto andarci con mio fratello, che ha un anno meno di me. Lui era in prima magistrale, io in seconda.
Già il giorno prima l’acqua cominciava a crescere. Il tempo era brutto, ci chiedevamo andémo o no andémo… insomma eravamo incerti se era il caso di andare a questa cerimonia o no. Noi abitavamo a un terzo piano, a San Francesco della Vigna, era un ultimo piano. In caso di acqua alta, sapevamo che la quota della calle era un metro e venticinque centimetri. Da casa nostra al terzo piano andavamo su e giù in calle a controllare se l’acqua saliva, e quanto veniva su, e si vedeva che veniva su parecchio.
Il giorno dopo, il 4 novembre, il tempo era terribile, l’acqua cresce sempre di più e si sentono le notizie tutto intorno. Avevamo in casa una radiolina transistor a batterie. Ci sfregavamo le mani dicendo “Guarda che fortunati che siamo! Manca la luce ma noi abbiamo la radio”. Era come sentire un certo senso di protezione, anche perché abitando al terzo piano eravamo alti, eravamo tranquilli.
Per tutta la domenica noi ragazzi siamo andati andava avanti e indrìo, avanti e indrìo per controllare a che scalino era arrivata l’acqua. Ci siamo resi conto subito che le cose erano disastrose. Alla radio dicevano che a Firenze l’Arno era straripato, e a Torino il Po, e anche in montagna, nelle nostre montagne la situazione era disastrosa.…
2. Mio papà e mia mamma, essendo buranelli, sapevano bene cos’è l’acqua… acqua alta e acqua bassa…
Finché è arrivato il momento della scontraùra. La scontraùra è quando contemporaneamente soffiano due venti che si “scontrano”: il vento di scirocco che viene dal basso Adriatico, che insacca l’acqua in laguna, e la bora che viene dall’alto, da nord. C’è questo scivolamento delle masse d’aria una sopra l’altra, una situazione barometrica che fa sì che avvenga come uno scontro.
Sentivo i grandi che dicevano “Se no cambia el vento, l’acqua se sormónta”. Il che significa che se l’acqua non fa in tempo a defluire nel periodo di bassa marea, le arriva sopra – cioè la sormonta – altra acqua della marea che viene dopo.
Andiamo a veder se l’acqua è ferma o se cala, o se ricomincia il ciclo delle sei ore. Effettivamente la paura più grande è stata quando, senza che l’acqua fosse calata, è ricominciato il ciclo delle altre sei ore, e l’acqua veniva su di nuovo. Quindi grande ansia per i nostri parenti che abitavano a Burano. Lì, tutte le rive sommerse. È stato un momentaccio, ma il peggio è stato il giorno dopo, quando abbiamo visto il disastro. Stiamo parlando del 5 novembre. Anche il 5 forse siamo andati giù in calle, ma forse anche no.
3. Tra il 5 il 6 – cosa impressionante! – ci siamo accorti che, per la pressione esercitata dall’acqua alta, erano scoppiati i depositi di nafta, e un olio nero si era sparso dappertutto. Sulle facciate delle case si vedeva come dipinto sul muro il segno del livello fino a dove era arrivata l’acqua.
Per anni è andato avanti che si ricordava e si ricorda ancora adesso che c’è una linea nera della nafta che è restata sui muri. E si dice “Guarda fin qua è arrivata…”. Qualcuno ci ha messo una targhetta in pietra d’Istria incastonata sui muri. Spesso sulle case si può vedere questa targhetta. Per esempio anche in chiesa dei Frari c’è una targhetta che ricorda una data del 1800 e rotti. Leggi, e puoi vedere fino a che altezza l’acqua era arrivata. Un po’ dappertutto in città c’è questa forma di ricordo. Anche in altre parti si fa così. Firenze…Torino… targhette che dicono “Qui è arrivato l’Arno, il Po”.
4. In calle dove stavo tante famiglie abitavano al piano terra, anzi in tante case per entrare si andava giù di un paio di scalini. Già la porta era bassa, quelli li hanno portati via dalle finestre. Anche quelli del primo piano. La stessa osteria da Dante, che per entrare bisogna scendere degli scalini, quella là era assolutamente impraticabile. Anche loro sono usciti dai balconi. Tanta gente che abitava nella mia calle ha dovuto abbandonare la casa, o essere ospitata da chi stava sopra. Noi conoscevamo tanti fioi, quelle famiglie avevano tanti figli, c’era tra di noi questa simpatia. Per noi acqua aveva sempre significato giocare. Ma quando abbiamo visto i negozi devastati dall’acqua, la merce sporca rovinata dalla nafta… e i mucchi de roba sulla strada come si vede in qualsiasi alluvione. Magazzini svuotati, case svuotate…
E cominciavano le vendite. Si girava intorno a questi mucchi di roba per vedere se c’era ancora qualcosa di salvabile, da portare via a poco prezzo. Questo non certo da parte dei benestanti di Venezia, ma da quelli che abitavano le zone periferiche. Venezia allora era una città ancora parecchio abitata, con un’economia degli abitanti ancora parecchio diversificata. C’era il ceto medio, poi il ceto “delle casermette” (a quel tempo i poveri venivano chiamati così) e quelli che stavano benone, che certo non erano interessati a questo tipo di commercio.
I giorni dopo sono andato in giro a fare delle foto, che conservo tuttora. Le foto mostrano proprio questi canali desolati, neri, con dentro di tutto. Io ho fatto le foto e le ho stampate. Anche le barche, te le trovavi sulle rive dei canali. Ricordo questa drammaticità. A San Marco le gondole le hanno trovate schiantate in fondo alla piazzetta.
Signora che cerca legni per la stufa
Chi aveva un negozio non sapeva più cosa fare.
A sinistra, il negozio di un calzolaio; a destra, il negozio di un fotografo
Le scatole, i barattoli, che una volta avevano avuto incollata intorno un’etichetta che spiegava cosa c’era dentro – tipo fagioli, piselli, carne in scatola – avevano perso l’etichetta. Stavano là ammucchiate. Le compri e, dentro, quello che trovi trovi. Ricordo che anche noi abbiamo comprato qualcosa nei negozi vicino a casa.
Trascrizione di Giannarosa Vivian, 21 novembre 2011