di Elena Iorio
Pubblichiamo il testo dell’intervento tenuto da Elena Iorio il 31 marzo 2012, in occasione del pomeriggio di studi “Venezia 1848. Ripensare la rivoluzione”. Ricordiamo che è possibile leggere alcune pagine del Quaderno numero 12 su questo sito.
Cambiare il punto di vista
Sono molto felice di partecipare a questo incontro per due ragioni principali. La prima è che vedere seduti attorno allo stesso tavolo Adolfo Bernardello, Piero Brunello e Paul Ginsborg, a più di trent’anni dalla pubblicazione del loro Venezia 1848-49: la rivoluzione e la difesa (Comune di Venezia, Assessorato agli Affari Istituzionali, Venezia 1979), è un po’ come assistere alla riunione dei Beatles. Il secondo motivo per cui sono felice di essere qua è che finalmente viene presentato il Quaderno che forse, tra tutti quelli pubblicati da storiAmestre in sei anni, è quello che ha avuto la gestazione più lunga e tormentata. Rivolta e tradimento è un lavoro che è stato a lungo pensato e discusso, più volte iniziato e poi messo da parte; un lavoro che alla fine è stato completato grazie all’impegno e alla collaborazione di più persone. Credo sia per questo motivo che è venuto un così bel lavoro: il quaderno rispecchia la molteplicità di mani e di ragionamenti che ne hanno accompagnato la creazione.
L’idea è partita dal ritrovamento di un testo inedito che è stato ripreso e fatto conoscere da Cristina Scarfì che l’ha utilizzato nella sua tesi di laurea Disonore e tradimento. Le giornate di marzo 1848 a Venezia nelle fonti austriache (relatore P. Brunello, Università Ca’ Foscari, Venezia, a.a. 2005-2006). In seguito, il curatore del Quaderno Piero Brunello ha riunito altri documenti simili (alcuni inediti e altri no) e ha messo assieme un piccolo gruppo di racconti. Racconti che narrano la caduta del governo austriaco a Venezia nel marzo del 1848 dal punto di vista di alcuni sudditi austriaci, fedeli all’imperatore. È questa la vera novità del quaderno: non più un racconto su base nazionale in cui i veneziani raccontano il 1848 a Venezia, ma austriaci o ufficiali al servizio dell’impero austriaco (non sempre loro stessi austriaci) che raccontano quello che accadde nel ’48 a Venezia.
Perché questa scelta? Lo scopo era quello di cambiare il punto di vista per ripensare gli avvenimenti e chiedersi: è stata davvero una rivoluzione quella veneziana? E, caso mai, di che tipo?
Piero Brunello e Luca Pes, autore del saggio conclusivo, si sono posti anche il problema di chi potesse essere il pubblico del quaderno. E il pubblico che si sono immaginati è stato quello dei cittadini europei e degli italiani che vivono in un’Italia che non è patria una d’arme, di sangue e d’altar, bensì un’Italia multiculturale. Trovo questa scelta molto significativa, soprattutto dopo un anno di celebrazioni per il 150° dell’unità d’Italia in cui non c’è stato molto spazio per le diversità. Questo Quaderno, invece, propone un nuovo modo di raccontare il Risorgimento, mettendo in evidenza proprio i conflitti di valori tra le diverse componenti etniche, culturali e sociali, mostrando i legami e le complesse relazioni tra comunità differenti, le simpatie e le antipatie, gli scontri linguistici e culturali, le costruzioni delle idee nazionali.
Com’è fatto il Quaderno: racconti e fonti
In questo Quaderno sono riuniti cinque racconti di testimoni e protagonisti austriaci del ’48 veneziano, i quali in lettere private (ma scritte per essere pubbliche), cronache, memorie e rapporti ufficiali ci mostrano come hanno vissuto i giorni della rivoluzione veneziana e cosa secondo loro è accaduto.
In ordine di apparizione, si tratta di:
– Anton von Steinbüchel, uno studioso viennese di antichità che viveva a Venezia e frequentava gli ambienti intellettuali cittadini;
– il tenente Gustav, un ufficiale austriaco che, dopo essere rimasto tagliato fuori dal suo battaglione, visse nascosto nella città lagunare;
– Ferdinand von Zichy, ungherese, governatore militare a Venezia per l’Impero austriaco, che scrisse delle memorie difensive dopo essere stato condannato dalla corte marziale austriaca per aver firmato la capitolazione, considerata disonorevole;
– Gabriel Buday, un comandante dell’esercito austriaco che fu disarmato dai suoi soldati che si erano ribellati al suo ordine di sparare sulla popolazione;
– Georges de Pimodan, francese legittimista, ufficiale dell’esercito austriaco che arrivò a San Marco poche ore dopo lo scoppio della rivoluzione.
Tutti sono accomunati dal fatto di essere sudditi fedeli all’Impero austriaco. Sono altrettante fonti per un racconto della rivoluzione del 1848 a Venezia diverso da quello a cui siamo abituati ed entrato nel canone del Risorgimento. Cambiando il punto di vista cambia anche la lettura che viene data alle giornate di marzo: non più rivoluzione dunque, ma “rivolta”, “ribellione”, “ammutinamento”: resi possibili dall’inettitudine forse fraudolenta di alcuni funzionari imperiali. Si parla quindi di tradimento, e c’è chi accusa e chi cerca di giustificare i propri comportamenti, chi dice “ve l’avevo detto” e chi si rammarica che non sia stata usata la forza per reprimere i ribelli. Questo diverso punto di vista ci fa entrare nell’evento dalla porta sul retro, da dove possiamo vedere come furono percepiti gli avvenimenti dagli “sconfitti” (con tutte le virgolette del caso, e temporaneamente), ovvero gli austriaci che controllavano e che abitavano a Venezia.
Ho trovato questo modo di raccontare il ’48 molto umano. Perché, leggendo questi racconti, viene naturale chiedersi: “cosa avrei fatto al suo posto? Come avrei percepito il ribaltamento della mia identità da suddito dell’impero tra i sudditi dell’impero a, improvvisamente, straniero e nemico?”.
Com’è fatto il quaderno: i saggi
Le testimonianze filoaustriache sono contenute nella cornice di due bellissimi saggi: quello introduttivo di Piero Brunello e quello conclusivo di Luca Pes.
Il saggio di Brunello ci introduce alla lettura dei cinque racconti spiegandoci appunto che essi ci permettono di guardare come gli “altri” descrivono quello che per noi è un evento del canone nazionale/cittadino. Brunello spiega prima di tutto che subito dopo la caduta del governo austriaco si formarono diverse letture dell’evento, che furono principalmente tre: quella che vedeva l’evento come un miracolo della Madonna (una rivoluzione senza spargimento di sangue); quella che leggeva il fatto come una rivoluzione politica; la terza che denunciava il tradimento dei funzionari e degli ufficiali asburgici. È quest’ultima lettura – di parte austriaca e pertanto poco discussa e poco conosciuta tra i veneziani – che il quaderno documenta: al centro della discussione ci sono i funzionari asburgici che vengono accusati di inettitudine e di tradimento e che cercano di difendersi in diversi modi e con diversi espedienti. Attraverso la presentazione delle loro difese, Brunello ci fa conoscere i personaggi che poi parleranno nelle fonti riportate nel quaderno. Ci vengono mostrate le loro reti di relazioni all’interno di Venezia ma anche con Vienna, i loro codici morali e di condotta (che dipendono molto dai loro ruoli), i loro comportamenti segnati tanto da rigidezze quanto da ambivalenze, dovute al contrasto tra la fedeltà all’Impero e il senso di quel che è giusto fare, a volte solo per salvare la vita di un soldato o di qualche cittadino, altre volte unicamente per salvare il proprio onore.
Nel saggio finale, Luca Pes cerca di rileggere gli avvenimenti del ‘48 e la tradizionale storiografia a partire da questa inversione del punto di vista, utilizzando cioè i cinque racconti presentati nel quaderno come punto di partenza per un rinnovamento della bibliografia e – magari – anche delle fonti sul ’48 veneziano.
Sono due gli aspetti principali che vengono messi in luce da Pes. Viene presentato un ’48 che all’interno dell’impero poteva essere non rivoluzionario ma riformista – un riformismo, beninteso, guidato dall’alto. In un certo senso Pes ci presenta il momento in cui l’Impero avrebbe potuto trasformarsi in monarchia costituzionale, ma fallisce questo appuntamento: dopo il breve periodo di sbandamento e allo stesso tempo di sperimentazione di nuovi sistemi di governo, riprenderà il sopravvento la linea conservatrice e repressiva di Radetzky. Questa tensione è evidente nel racconto di Steinbüchel, che all’inizio della sua memoria si dichiara entusiasta della caduta di Metternich a Vienna: senza l’ingombrante ministro, ora l’imperatore potrà avviare un nuovo corso; sembra un discorso nella tradizione del dispotismo illuminato, di stampo settecentesco, che ovviamente ignora il fatto che la rivoluzione del 1789 aveva cambiato quella prospettiva in modo definitivo. E infatti, dopo l’iniziale entusiasmo costituzionale condiviso con i veneziani, Steinbüchel inizia presto a temere per la piega che stanno prendendo i fatti: teme una rivoluzione sociale, e trova inspiegabile la pretesa d’indipendenza politica degli italiani; cosa c’è di meglio, infatti, che stare sotto l’Austria, qualora l’Austria riconosca le debite libertà costituzionali agli italiani?
Una volta indicato il quadro politico in cui si svolgono gli avvenimenti (un impero diventato improvvisamente e per un breve momento costituzionale), il secondo aspetto sottolineato da Pes, riguarda le scelte individuali e il confronto tra sistemi di valori. Pes discute soprattutto il caso del governatore Zichy – accusato di inettitudine, tradimento e corruzione – per mettere in risalto le scelte che compie facendo riferimento a un proprio sistema di valori autonomo. Nella particolare congiuntura veneziana, Zichy diventa l’anti-Radetzky, tutt’altra cosa da un traditore, tanto da assumere quasi una sfumatura da pacifista nel salvare Venezia evitando inutili spargimenti di sangue.
Quel che credo sia interessante notare è che viene utilizzata una chiave di lettura un po’ particolare, ovvero quella dei legami, forti del mito romantico, che intercorrevano tra i personaggi e la città lagunare. E allora non è debolezza quella dei protagonisti austriaci, ma il richiamo della bellezza: Venezia diventa quasi un mito romantico che va difeso a costo del proprio onore.
Senza dilungarmi troppo su questo punto mi soffermerò invece su un aspetto di questa lettura che a me lascia qualche dubbio: Zichy è un rappresentante dell’aristocrazia europea e, dalla lettura del saggio di Pes, sembra sia l’aristocrazia europea a salvare Venezia e a permettere quasi una rivoluzione senz’armi. E la citazione della Venise sauvée di Simone Weil[1] alla fine del saggio sembra mettere proprio su questa strada: Venezia «è una città perfetta, che sta per piombare nel sogno orrendo della forza. Un uomo attento, in un istante, la vede nella sua bellezza e la salva. Questo personaggio, vero perno dell’opera, è Jaffier, […] il congiurato che tradisce i compagni e salva la città: è il giusto che si oppone al male e lo sconfigge»[2].
Il problema è che in questa lettura Zichy da oppressore diventa il salvatore. E sembra un po’ una leggenda alla Paris, brûle-t-il?, il romanzo storico e ancora più famoso film sulla liberazione di Parigi, nel 1944, in cui il generale nazista Dietrich von Choltitz, disobbedendo a un ordine di Hitler, salva Parigi dalla distruzione e la consegna senza condizioni agli alleati. Uno degli spunti che hanno alimentato la leggenda della Wehrmacht non nazista ma umana e civile (ossimoro per qualsiasi esercito, non solo per quello nazista).
Conclusione
Chiudo le divagazioni e credo sia arrivato il momento di concludere. Lo vorrei fare citando le ultime pagine inserite nel quaderno: le pagine di storiAmestre che sono di solito scelte e aggiunte dalla redazione. Credo che non si potesse trovare un finale migliore per questo quaderno. Si tratta di un breve saggio di Stefano Petrungaro (già pubblicato su questo sito, ndr) in cui si parla di nazionalismo e nazionalismi e di come la storiografia europea occidentale si sia rapportata a questo tema e di come abbia diviso in categorie i diversi tipi di nazionalismi: quelli buoni, quelli cattivi, quelli così così. È una riflessione molto interessante che aiuta a capire meglio le pagine che lo precedono e che ci permette di riflettere su quanto a volte il nostro sguardo possa essere parziale e quanto, talvolta, vedere con gli occhi degli altri possa farci fare nuove scoperte, sia riguardo al Risorgimento che al nostro vivere oggi.
[1] Secondo il dramma seicentesco ripreso da Simone Weil nella sua tragedia Venise sauvée (iniziata a scrivere nel 1940 ma rimasta incompiuta), nel 1618 gli spagnoli organizzarono una congiura contro Venezia per impadronirsi della città lagunare, ma uno dei congiurati rivelò al Consiglio dei Dieci la congiura e salvò la città dalle fiamme e dal saccheggio, perdendo il proprio onore e ricevendo un trattamento da traditore sia dagli spagnoli che dai veneziani.
[2] Marianelli, La metafora ritrovata: miti e simboli nella filosofia di Simone Weil, Città Nuova, Roma 2004, p. 34.