di Marco Fincardi
Come già in altre occasioni, nel 2007 e nel 2012, per i nostri tradizionali auguri di buon Primo Maggio facciamo ricorso al nostro amico Marco Fincardi. Questa volta, dal suo studio (del 1990) sulla festa dei lavoratori nella provincia di Reggio Emilia riprendiamo le pagine relative ai Primi Maggio di guerra. È naturalmente anche un modo per ricordare il centenario della prima guerra mondiale da un preciso punto di vista.
L’“antibellicismo” è al centro delle celebrazioni nel reggiano sin dai primi anni del XX secolo e la tensione sale in occasione della guerra di Libia (1911-1912), quando i nazionalisti definiranno Reggio “la capitale turca d’Italia” per l’ampiezza della mobilitazione contro l’intervento italiano. Dal 1915 diventa ancora più dura: la festa si svolgerà sotto il segno del lutto e della gravità. Senso di isolamento e di accerchiamento; uomini al fronte e donne che scioperano sfidando anche il disprezzo dei benpensanti e senza ricevere appoggio nemmeno dalla Camera del Lavoro; divieti sempre più rigidi e repressione; cresce anche la distanza tra le organizzazioni e la comunità dei militanti…
Nell’intera provincia, intanto, tutta la propaganda – orale e stampata – e persino le decorazioni di quel 1° Maggio 1912 sono impostate senza esitazioni sull’opposizione alla guerra intrapresa dall’Italia. […] Ma […] l’ottimismo riformista dei reggiani trova difficoltà a fare i conti con ciò che avviene oltre l’ambito locale, in zone in cui il movimento operaio non è in grado di mantenere una posizione egemonica, o almeno una resistenza alle pressioni disgreganti che mettono in difficoltà le organizzazioni di classe. […]
Al comizio di Reggio – inaspettatamente – interviene la segretaria nazionale della Federterra, Argentina Altobelli, parlando di come le organizzazioni dei lavoratori e le stesse donne proletarie in famiglia non abbiano saputo assicurare un ricambio di giovani alle generazioni che hanno dato vita al movimento proletario. Se i giovani proletari fossero stati educati ai loro doveri verso le associazioni di classe, anziché a perdere tempo nelle chiacchiere sportive, la reazione borghese non avrebbe trovato spazio e i figli del popolo non sarebbero partiti in guerra. Dicendo di essere capitata improvvisamente a Reggio perché sarebbe il posto giusto dove godersi la festa del 1° Maggio, l’Altobelli mira in realtà a suscitare – proprio cominciando dai fortilizi rossi dell’Emilia – un movimento femminile contro il militarismo.
Nel resto della provincia reggiana, per la gioia del patriottismo borghese, le manifestazioni sono spente da un periodo interminabile di pioggia e maltempo, che imperversa tra fine aprile e inizio di maggio. A parte un comizio sferzato da pioggia a vento a Campegine, tutto si riduce a qualche manifesto appeso ai muri, ai discorsi nei saloni delle cooperative e ad un sovraffollamento delle osterie. Solo la domenica 5 maggio – cessati freddo e acquazzoni – a Guastalla si riversano migliaia di dimostranti contro la guerra e la disoccupazione, affluiti da tutta la bassa1. In tutte queste dimostrazioni – al di là del loro successo – si è comunque voluto mutare il carattere del 1° Maggio. Ora il clima festoso deve essere messo da parte: il 1° Maggio diventa momento di protesta e ostentazione del lutto, tornando ad essere il giorno simbolico della sfida proletaria alla politica borghese. Inizia un periodo in cui i tripudi di piazza vengono associati dai militanti socialisti alle chiassate nazionaliste per osannare i soldati in partenza per la guerra. Alle manifestazioni proletarie viene dato un tono austero e antagonista.
Questi sentimenti sono spesso condivisi dagli stessi soldati. A Cavriago, i reduci garibaldini e delle guerre risorgimentali contro austriaci e pontifici sono schierati in prima fila, con tutte le medaglie sul petto, ad applaudire l’oratore del 1° Maggio che parla contro il colonialismo italiano. A Cacciola, al banchetto del 1° Maggio nella cooperativa, alcuni reduci della Tripolitania raccontano le esperienze di guerra appena vissute: “Dimostrano quanto sia barbara ed iniqua la guerra in tutti i suoi aspetti e quanto abbrutisca la coscienza dei soldati, anche i più assennati. Rilevarono anche il trattamento di ironia sprezzante che gli ufficiali fanno ai soldati, specialmente qui di Reggio, perché – dicono loro – educati dalla Camera del lavoro”2.
Gli stessi nazionalisti reggiani non si mostrano per niente contenti del morale delle truppe in partenza dalla loro provincia […]. In effetti, un episodio avvenuto il 29 aprile sul treno che portava i soldati reggiani ad imbarcarsi per l’Africa, sembra confermare la fondatezza delle lamentele nazionaliste. A Modena, un comitato patriottico accoglie l’arrivo del treno in stazione con applausi ed ovazioni; ma dal contingente dei soldati reggiani si risponde a suon di fischi ed improperi, il cui contenuto deve approssimativamente consistere nell’invito ai patrioti in borghese di partire loro per combattere, o di andare a lavorare. Due soldati reggiani sono arrestati e probabilmente inviati nelle compagnie di disciplina3. Nel 1913 un soldato reggiano rifiuta di partire per Tripoli e spara ad un ufficiale, ricevendo consensi dai gruppi antimilitaristi più radicali di Reggio4. Ad una premiazione dei reduci dalla Libia, avvenuta nel municipio di Scandiano il 30 aprile 1914, Enrico Bianchini, bracciante di Cacciola, rispedisce al sindaco l’invito, con una lettera con cui dichiara con mordente sarcasmo: “La mia coscienza antimilitarista e internazionalista mi rimprovererebbe, se accettassi il suo invito. Sotto la divisa militare si deve per forza sgozzare degli uomini a noi uguali, rei soltanto di appartenere ad altri popoli. Più volentieri avrei accolto un invito pei disoccupati, trai quali mi trovo anch’io, per qualche lavoro. E invece dovremo emigrare in paesi stranieri per vivere”5. […]
Le manifestazioni internazionaliste e la miseria provocata dalle spese militari ripopolano la giornata del 1° Maggio – nel 1913 e nel 1914 – per quanto meno affollati e animati che nel passato, al grido di “Pane e lavoro, abbasso la guerra, viva l’Internazionale”. […] Non c’è dubbio che la guerra alla Turchia e le sue conseguenze negative abbiano radicalizzato i conflitti di classe. Ma, oltre ai lavoratori che scendono in piazza, a mostrare maggiore risolutezza politica sono anche le minoranze nazionaliste: in provincia accade ora di frequente che i comizi del 1° Maggio siano disturbati da borghesi che tentano interruzioni, si intrufolano tra la folla dei lavoratori con provocatori atteggiamenti sarcastici, o tentano di far intervenire le forze dell’ordine per impedire i toni radicali antigovernativi degli oratori socialisti. I cattolici, nel clima di rinnovata radicalizzazione del 1° Maggio rosso, abbandonano le velleità di crearne uno bianco imitatore dei festeggiamenti socialisti: dal 1914 risultano sporadiche e appartate le celebrazioni cattoliche del 1° Maggio, in provincia di Reggio; dal 1918 i giornali diocesani non nominano quasi più il 1° Maggio, limitandosi a pubblicare per l’occasione i manifesti nazionali dell’Unione popolare cattolici d’Italia.
Eventi di rilievo per l’organizzazione proletaria reggiana nella discussione delle tematiche antimperialiste sono la conferenza al Politeama di Benito Mussolini, il 1° Maggio 1914 e i tumulti di piazza del febbraio 1915. La conferenza di Mussolini, a pagamento, suscita a Reggio un estremo interesse […]. Mussolini espone i suoi principi in materia di giornalismo. Si sofferma in particolare ad esaminare le manipolazioni subite dalla stampa, che pilota l’opinione pubblica verso sentimenti favorevoli al nazionalismo, in modo da giustificare moralmente la corsa agli armamenti e una guerra. Secondo Mussolini, solo l’Avanti! garantisce onestà incorruttibile sulle questioni politiche, ed in particolare nell’opposizione alla guerra. L’oratore – tra i consensi del pubblico – mostra di padroneggiare egregiamente tutti i trucchi del mestiere di giornalista e di conoscere alla perfezione il terreno da lui percorso pochi mesi dopo, intraprendendo coi finanziamenti francesi l’avvenuto del Popolo d’Italia.
I tumulti avvenuti nel febbraio 1915 sono una diretta conseguenza delle proteste sempre più accese provocate dalla politica militarista del governo, e della svolta autoritaria avvenuta negli apparati dello Stato, che abbandonano la mediazione con le rivendicazioni proletarie, scegliendo la strada della repressione. Il 23 febbraio 1915 i disoccupati delle campagne scandianesi convergono sul capoluogo comunale e ne invadono il municipio. I carabinieri sparano. Resta colpito Aristide Rinaldi, bracciante di Jano, padre di quattro figli. Né ai funerali di Rinaldi, morto dopo due mesi di agonia, né alle celebrazioni del 1° Maggio di quegli anni, partecipano i riformisti cittadini scandianesi, alleati coi partiti borghesi favorevoli alla guerra. Il 25 febbraio 1915 al Politeama Ariosto di Reggio si tiene una conferenza privata dell’irredentista Cesare Battisti, deputato socialista al parlamento di Vienna. I socialisti reggiani criticano l’opportunità di un simile intervento in un ambiente rosso e neutralista, ma invitano il proletariato cittadino a non disturbarne lo svolgimento. Una folla composta essenzialmente di giovani, però, si raduna attorno al Politeama, ben risoluta ad impedire che un socialista venga a Reggio a propagandare la guerra. Un grande dispiegamento di polizia, fatto segno al lancio di sassi, reagisce sparando, uccidendo due ragazzi e ferendone altri tre. […]
Accade ancora un tumulto popolare a San Polo, il 28 aprile. Un assembramento popolare, con urla ostili, caccia dal paese una squadra di reggiani in procinto di arruolarsi volontari, mentre stanno facendo un giro ciclistico di propaganda per la guerra. Tra l’altro, un contadino – non socialista – grida loro “Viva l’Austria!” Mentre l’esercito sta richiamando forzatamente tutti i giovani dalle campagne, chi va a sbandierare il patriottismo militarista si rende impopolare.
Nei manifesti socialisti prodotti in provincia di Reggio per il 1° Maggio 1915, poche settimane prima dell’entrata in guerra, si legge una chiara spiegazione delle cause strutturali che spingono il capitalismo verso la guerra ed il socialismo ad opporvisi. Nel manifesto del municipio di Reggio, poi, si legge quanto sia un avvenimento lacerante e paralizzante per il proletariato il disfacimento della seconda Internazionale. In tutti questi manifesti viene espresso dolore, perché la tradizione festiva del 1° Maggio è soffocata dalla guerra; e vi si esprime nostalgicamente la speranza di vederla presto risorgere; speranza mescolata a quella di veder rinascere l’Internazionale unita e coerente con i principi originari. […]
La preparazione del 1° Maggio 1915 è molto accurata, seppure non priva di contraddizioni, da parte dei socialisti italiani. Il manifesto nazionale socialista invita a “dare al 1° Maggio quel carattere di unità, di coesione e di serietà che è tanto necessario ad un partito di vita e civiltà come il nostro, specialmente oggi di fronte al pullulare di tutte le vecchie esaltazioni della morte e della barbarie”. In pratica, il Partito socialista vuole presentarsi compatto ai lavoratori – nonostante le defezioni di suoi prestigiosi dirigenti dal 1912 al 1914 – per delegittimare completamente l’impressione che una parte dei socialisti appoggi la guerra. Anche in provincia di Reggio – per evitare sfilacciamenti della posizione unitaria socialista e premunirsi da incresciose sorprese per il 1° Maggio – tutte le sezioni del partito sono tenute obbligatoriamente a far vagliare l’autorizzazione per i comizi e la scelta dell’oratore al segretario della Confederazione provinciale socialista. Dal momento che molti militanti si trovano già in divisa per la chiamata alle armi, gli oratori scarseggiano; i lavoratori sono perciò invitati ad attuare rigorosamente lo sciopero il 1° Maggio, ed a concentrarsi nelle località in cui è possibile organizzare un comizio. Essendo vietate dal governo le pubbliche riunioni il 1° Maggio – per impedire dimostrazioni pacifiste all’aperto – la Direzione nazionale socialista invita a trasgredire le proibizioni, dando vita a cortei solenni e comizi pubblici, in difesa delle libertà civili. La Giustizia pubblica questo comunicato il 28 aprile; tuttavia già il 23 aprile il giornale reggiano ha diffuso le istruzioni per accedere ai comizi, tenuti – obbedendo alle disposizioni governative – in forma privata; il 29 aprile, La Giustizia ribadisce ulteriormente queste istruzioni. Inoltre, deformando in senso moderato il significato di un articolo dell’Avanti!, i socialisti reggiani rivolgono un appello “onde il neutralismo socialista e proletario prenda un carattere più umano e più ampio, meno di classe, e più di civiltà”. La celebrazione del 1° Maggio lascia ovunque un senso amaro per ciò che sta accadendo e sembra ormai irreparabile. La Giustizia commenta che “la giornata del Primo Maggio, priva quest’anno della festosa vivacità delle altre volte, ha avuto a Reggio e in provincia quel carattere solenne e severo che le circostanze comportano”. A Guastalla, “pur con le gramaglie è stata festeggiata da tutti”. A Luzzara, “quest’anno il 1° Maggio assunse un doloroso aspetto, di tristezza, di gravità”. A San Martino in Rio: “Il 1° Maggio è stato festeggiato in maniera seria e dignitosa, tale come esige la gravità del momento che attraversiamo. Il pensiero che migliaia di lavoratori sono già morti sul campo di battaglia, stroncati nel fior degli anni, che altre centinaia di migliaia sono sepolti vivi nelle trincee, o prigionieri, che anche l’Italia in un prossimo domani potrebbe essere coinvolta nell’immane macello, che la crisi economica di già tormentosa, per i poveri si farà ancora più acuta, non ha permesso ai festeggiamenti di spiegare la gaia vivacità tutta propria del nostro proletariato. […]”.
Le comunità proletarie si chiudono in sé, piene di ansia per il futuro, eppure molto coese al proprio interno. Lo sciopero ha ovunque una riuscita straordinaria. Vi si segnalano pure molte adesioni contadine, dal momento che anche nelle famiglie coloniche pesa enormemente che l’esercito sottragga braccia maschili. […] Eppure la protesta si mantiene ovunque – secondo le indicazioni del Partito socialista – sul piano verbale e simbolico. L’entrata in guerra non sembra evitabile con forme di disobbedienza civile o con sommosse.
A Rolo si presenta chiaramente ciò che in altre località appare solo vagamente nell’aria: il 1° Maggio ora deve essere rifiuto della festa, lutto: “L’astensione dal lavoro è stata completa; ma nei volti non si leggeva l’allegria degli scorsi anni, perché tutti temono che l’Italia vada in guerra. Il giorno due poi quando giunse l’ordine di partenza della classe del 1890 fu un vero grido di dolore. Alcuni moderati avevano censurato il giorno prima i socialisti perché avevano fatto suonare la banda, ed è certo che se la chiamata fosse arrivata 24 ore prima se ne sarebbe sospeso il servizio; ma quegli stessi che ci censurarono il 1° Maggio hanno poi ballato il giorno due, sfruttando le tasche dei giovani […]”6.
La stampa borghese – immancabilmente pronta ad annunciare la dissoluzione del movimento proletario – presenta strumentalmente l’assenza di cortei e comizi pubblici, impediti dai divieti polizieschi, come assenza di consenso per i socialisti […]. Invece quel 1° Maggio imprigionato nelle sedi proletarie riesce estremamente suggestivo; e risulta di nuovo un grosso momento di coesione per le comunità a cui l’esercito sta sottraendo tante persone. A Fabbrico, dove l’adesione del paese è stata compatta e si è inoltre accentuato il suo “carattere antinazionalista e antiborghese”, la riuscita del 1° Maggio è servita “a sfatare l’illusione di quei nostri compagni che credono alla potenza civilizzatrice della guerra”7. A Felina, dove la polizia non si è opposta, hanno luogo una passeggiata di propaganda il 1° Maggio e un affollato corteo pubblico contro la guerra il giorno successivo. È una riuscita dimostrazione di forza, ma all’insegna della passività. Solo la propaganda lavora a pieno ritmo, raggiungendo livelli impressionanti nella diffusione dei giornali e dei volantini. Evidentemente, molti vuoti lasciati nell’organizzazione proletaria dai giovani militanti ora richiamati nell’esercito, sono colmati dai loro parenti; anche dalle donne, che ora evadono più facilmente dall’ambito domestico, impegnandosi in attività solitamente considerate maschili. Resta comunque poco chiaro quali siano gli obiettivi di quella prova di forza.
[…] Mancano concrete iniziative di boicottaggio della guerra. Il segretario della Federazione socialista reggiana – Manlio Bonaccioli – polemizza duramente con L’Avanguardia, giornale nazionale dei giovani socialisti che spinge radicalmente il proprio antimilitarismo, sino ad incitare a farsi renitenti alla leva, per fermare il reclutamento forzato. A Reggio i giovani socialisti seguono disciplinati le direttive del Partito socialista, ma non mancano settori giovanili proletari che propagandano la disobbedienza civile8. [… Il conflitto riguarda caso mai il lavoro: c’è crisi e forte disoccupazione, le lotte per il collocamento dei disoccupati sono particolarmente aspre, ci sono sommosse e agitazioni.] Il municipio socialista di Campegine, mentre si adopera in tutti i modi per ottenere commesse di lavori straordinari dal governo e dai privati, approva per il 1° Maggio un duro comunicato antibellicista, dove “riconfermando i voti precedenti contrari alla guerra, protesta contro la politica del governo di Salandra, che ha soppresso la libertà di riunione e di stampa tanto sui comunicati di guerra, tanto per le manifestazioni del 1° Maggio, allo scopo di strozzare il movimento proletario contrario alla guerra. Invoca dai governanti una politica di pace e di lavoro”9.
Non solo nelle campagne c’è agitazione, ma anche nella grande industria cittadina, le Officine meccaniche, che lavorano a pieno ritmo per l’industria bellica. Per una vertenza in corso, di una componente di operai specializzati, i dirigenti aziendali e la prefettura fanno piantonare i cancelli della fabbrica dai carabinieri. Ma a quel punto, anche tutti gli operai non interessati alla vertenza rifiutano di entrare a lavorare sotto la sorveglianza militare. La direzione aziendale deve prontamente ritirare il picchetto di guardia, per non compromettere la produzione10.
Lo sciopero che desta più scalpore nell’industria reggiana avviene però in relazione al 1° Maggio, nel 1916: quando la manovalanza è diventata in larga parte femminile a causa della guerra. Il 27 aprile 1916 La Giustizia pubblica le disposizioni governative per il 1° Maggio riguardanti le industrie belliche. Vi si concede agli operai di astenersi da lavoro in occasione della loro festa, purché si lavori il giorno precedente, domenica. Si tratta di un baratto che rende nulli gli effetti della giornata di sciopero di lunedì; in più non urta eccessivamente le tradizioni proletarie, non costringendo al lavoro il 1° Maggio. La Giustizia – rifacendosi alle proibizioni governative di riunioni e manifestazioni, in vigore dal 23 maggio 1915 – pare stupita di questa «concessione», che per la prima volta costituisce un riconoscimento ufficiale del 1° Maggio; e non protesta minimamente per la domenica lavorativa. La Camera del lavoro ha comunque preceduto le disposizioni governative, chiedendo al prefetto che si lavorasse la domenica 30 aprile, per festeggiare poi il lunedì. Solo tra i giornali cattolici appare qualche dissenso: alcuni acconsentono al provvedimento straordinario, altri mugugnano sulla profanazione della domenica. Tuttavia le operaie delle Officine meccaniche, mai così devote alla festività domenicale, si astengono ugualmente dal lavoro, chiassosamente, per due giorni, bloccando così la produzione di proiettili. Un giornale cattolico riporta una pia versione dei fatti: “Ieri le operaie che in gran numero lavoravano alle officine meccaniche si sono astenute da lavoro quantunque esse dovessero lavorare ieri domenica per far riposo oggi 1° Maggio, secondo la concessione ministeriale. Invece sappiamo che molte di esse hanno dichiarato a chi chiedeva loro i motivi della vacanza di ieri, che essendo buone cristiane e cattoliche volevano santificare la domenica recandosi alla messa, pure partecipando anche alla festa del lavoro del primo maggio cristiano. […]”11.
Sta di fatto che le operaie scioperanti non trascorrono la domenica alle funzioni religiose, ma recandosi in centocinquanta a convincere gli altri turni a scioperare; poi, mentre si dirigono in corteo verso la città, raggiunte da inviati dell’organizzazione socialista, si recano alla Camera del lavoro a tenere una agitata assemblea. E che il clero abbia influenzato le operaie è un’ipotesi insinuata dalla Giustizia, ma non ripresa dai giornali borghesi che – preoccupatissimi per la mancata produzione bellica – alludono solo fugacemente ad un sabotaggio socialista, ma lamentano comunque uno sciopero balordo e incosciente, la cui responsabilità viene attribuita alle operaie che rivendicano diritti in tempo di guerra: “[…] Ah, incoscienti e fatue sabotatrici di guerra, come vi siete dimostrate anche cattive!”12.
La Camera del lavoro, che ha subito deplorato lo sciopero e cercato di ricondurre le operaie al rispetto delle regole di guerra, giustifica l’accaduto non per l’ostinazione del proletariato a far valere la tradizione del 1° Maggio, ma come un errore dovuto alla emotività e alla debole coscienza sindacale delle donne: “Dato lo stato d’animo delle operaie – elementi non organizzati né esercitati alla disciplina – non si è ritenuto opportuno di consigliarle a riprendere subito il lavoro”13.
Per l’organizzazione sindacale, quindi, quello sciopero non è né un segno di coscienza di classe né una forma di protesta verso la guerra e l’irreggimentazione della società, ma solo un incidente dovuto all’irrazionalità della manovalanza femminile, evitabile in futuro con un maggiore legame tra le donne e la Camera del lavoro.
Quello del 1916 è il primo dei tre 1° Maggio che l’Italia trascorre nella guerra mondiale. Le restrizioni alle dimostrazioni proletarie sono le più rigide che si conoscano dal 1890. Nella provincia di Reggio sono vietate tutte le riunioni del 1° Maggio, persino se da tenersi in forma privata. Si tratta di misure speciali prese da alcune prefetture, in particolare da quelle di Reggio e Milano, località in cui nella primavera dell’anno precedente si sono verificate dimostrazioni ostili all’entrata in guerra dell’Italia. Nonostante le proteste di deputati e di dirigenti della Camera del lavoro e della Federazione socialista, il divieto di manifestazioni del 1° Maggio nella provincia reggiana viene mantenuto, mentre non viene imposto nella maggior parte delle altre province. Così pure viene censurato alla Giustizia il manifesto nazionale del Partito socialista, pubblicato senza impedimenti in altre province italiane. Per offrire ai lettori la descrizione di una manifestazione del 1° Maggio, La Giustizia ricopia dal Resto del Carlino la descrizione del comizio pubblico tenutosi a Bologna. Solo in piccoli paesi isolati della provincia reggiana si registrano riunioni private per il 1° Maggio: a San Sisto una bicchierata, a Busana trenta persone pranzano nella Casa del popolo. A Pieve di Guastalla si tiene una riunione operaia.
Può essere interessante fare un confronto fra varie fonti documentarie, per vedere come appare il 1° Maggio, con ogni iniziativa impedita. Un giornale cattolico racconta come trascorre la giornata a Guastalla: “È passato liscio liscio, come doveva in un anno così eccezionale come questo. Il campanone ha fatto sentire la sua voce al mattino ma non ci furono sbandieramenti, né conferenze, né convegni. Gli operai fecero vacanza e girarono pacificamente per la città, senza clamori né disordini”14.
La versione dei socialisti concorda sostanzialmente con questa descrizione dell’aspetto esteriore del 1° Maggio, ma mette bene in guardia come, dietro la facciata tranquilla, sia all’opera una sistematica repressione, per impedire ogni possibile manifestazione pacifista: “I pigmei possono per un momento compiacersi per la mancata esposizione di un drappo, o di un manifesto, ma non potranno mai impedire la professione di una fede sinceramente vissuta. Così tutte le misure ridicole, le chiamate, le contrattazioni, le pretese per la firma dei verbali… assurdi, sono cose che fanno ridere e, tutt’al più una popolazione civile come la nostra, ne sa prendere nota per ricordarle a tempo opportuno. Oggi è così. Ma domani?”15.
La sottoprefettura di Guastalla pare molto accanita nel dimostrarsi pronta a colpire il movimento proletario, appena questa accenna a dare dimostrazioni di forza. Lo si può constatare nel 1917, con le riunioni del 1° Maggio ammesse in forma privata per concessione governativa, ma con le forze dell’ordine mobilitate nei paesi della bassa come lo erano ai tempi di Crispi. A Poviglio, dove parla Gasparini, la piazza è presidiata da soldati e questurini, tanto che a fatica si riesce ad affittare un salone per la riunione. A Guastalla, dove parla Sichel, il campanone suona a distesa e inalbera sul proprio pennone il tradizionale bandierone rosso; ma a mezzogiorno il sottoprefetto – definito dai socialisti locali il nostro piccolo Czar – ordina la sua rimozione. In quel 1° Maggio 1917 nella provincia si tengono cinque comizi, a cui si accede con la tessera delle associazioni proletarie, oppure con speciali inviti. Larga parte del pubblico è ora composta di donne. Comizi ben riusciti si tengono a Bagnolo e Campegine; in quest’ultimo paese il comizio si deve tenere nel cortile del municipio, mancando un luogo sufficiente a contenere la folla. A Reggio parla il deputato locale Giuseppe Soglia, che pochi giorni prima ha pubblicato sulla Giustizia un articolo intitolato Quando l’ora verrà, in cui si intravede nell’inizio della rivoluzione russa e negli scioperi in Germania l’annuncio di una nuova era di pace, fatta dai popoli anziché dagli Stati; secondo Soglia il 1° Maggio degli anni successivi – in pace o in guerra – dovrà vedere all’opera l’organizzazione proletaria per la definitiva vittoria dei lavoratori. Pure nel suo discorso del 1° Maggio orienta il proprio pubblico a prestare attenzione agli avvenimenti russi e tedeschi, ma diffidando dalle suggestioni insurrezionali e riponendo, invece, ogni fiducia nella crescita ordinata dell’organizzazione proletaria […].
Le stesse associazioni patriottiche il 29 aprile tengono riunioni commemorative del 1° Maggio: la destra si ritrova ad una conferenza della Lega antitedesca, dove si espongono trite teorie razziste e si dipingono i socialisti italiani come spie del Kaiser; la sinistra liberal-riformista raccolta nell’Associazione Cesare Battisti si ritrova ad una conferenza del deputato Bererini – pochi anni prima a Reggio come oratore ufficiale socialista per il 1° Maggio – che si dichiara pentito di aver osteggiato in passato le spese militari e prospetta ai lavoratori che hanno combattuto una ipotesi di equa ripartizione delle terre e della ricchezza.
L’unico comizio di cui si ha notizia il 1° Maggio 1918 è quello che tiene in una scuola di Reggio il deputato Brunelli, presentato da Giuseppe Soglia. Brunelli inizia il suo discorso parlando della rivoluzione russa, affermando che le tante speranze accese l’anno precedente da questo grande evento sarebbero andate deluse, data l’impreparazione del popolo russo a mettere in atto una politica socialista. Difende poi i socialisti italiani dalle continue accuse di essere i responsabili di Caporetto. A modello della virtù patriottica dei socialisti cita l’opera della cooperazione di consumo romagnola ed emiliana e delle amministrazioni comunali di Milano, Bologna e Reggio, che hanno saputo fornire alla popolazione efficienti sistemi di distribuzione dei viveri e dei beni essenziali, per superare e combattere l’accaparramento e le speculazioni. Il deputato reggiano Soglia, raccogliendo molte ovazioni, incita alla solidarietà con l’Avanti! – giornale chiuso dalla polizia – e augura vicino un 1° Maggio nella pace e nell’attesa del socialismo. Il pubblico – composto essenzialmente di donne – non è particolarmente numeroso, anche a causa di alcuni disguidi nella preparazione della manifestazione.
Pure intravedendo una svolta politica radicale vicina per l’Europa, la dirigenza socialista svaluta le iniziative spontanee del proletariato, rinviando le lotte sociali da intraprendere ad una ben poco definita progettualità dell’organizzazione politica. Ma in provincia di Reggio c’è in quegli anni di guerra pochissima analisi degli sconvolgimenti sociali che la mobilitazione bellica ha prodotto e delle nuove forme di aggregazione di classe. Si prende atto con soddisfazione delle riuscita completa dello sciopero e della capillare diffusione della stampa che in quegli anni si riscontrano ad ogni 1° Maggio; ma non si tentano di spiegare le ragioni di questi successi, nel momento in cui l’organizzazione tradizionale è messa in crisi dalla chiamata alle armi della maggior parte dei quadri e dei militanti di base. Nelle riflessioni sul 1° Maggio e negli auguri inviati in quell’occasione – tramite La Giustizia – ai proletari che stanno al fronte, l’organizzazione di classe si pone essenzialmente come custode delle tradizioni politiche affermatesi nei tre decenni precedenti, salvaguardando la solidarietà tra le famiglie proletarie e mantenendo in vita il tessuto associativo economico-politico costituito con enormi sacrifici. Il tutto si realizzerebbe accentuando i sacrifici individuali per la causa collettiva di chi è rimasto nella comunità, rafforzando l’etica militante. Da parte dell’organizzazione socialista reggiana non vengono parole d’ordine rivoluzionarie e non si promuovono iniziative tese al boicottaggio della guerra. Eppure tra il proletariato sotto le armi non mancano i disertori; e le comunità rurali sono ben disposte a nasconderli e proteggerli.
Più radicali nella lotta contro la guerra sono i militanti che dalla provincia reggiana sono emigrati a Milano. Alla fine del 1917 Bruno Fortichiari e Amilcare Storchi sono arrestati, accusati di organizzazione e favoreggiamento di alcune diserzioni. Il primo è arrestato come segretario della Federazione socialista milanese, il secondo come redattore dell’Avanti! Di Fortichiari la questura milanese dichiara: “Oltre che neutralista irriducibile si rivela anche per accanita propagando contro la nostra guerra propugnano un’azione violenta, estremista, pur di affrettarne la fine e favorirne comunque e con qualsiasi mezzo una sollecita pace”. Per un’agitazione operaia contro la guerra, preparata a Milano il 1° Maggio 1918, Fortichiari è arrestato ed inviato al confino con l’accusa di alto tradimento. Da Reggio, La Giustizia difende tenacemente questi suoi due ex redattori. Egualmente La Giustizia dichiara ampia stima all’anarchico di Reggio Torquato Gobbi, arrestato nel 1917 a Milano e condannato a dieci anni di carcere, come autore e diffusore di un volantino contro la guerra.
In provincia di Reggio, il rapporto delle comunità paesane con i soldati al fronte e in caserma, e persino con quelli negli ospedali o prigionieri, passa anche attraverso le organizzazioni proletarie. Il 1° Maggio negli anni di guerra converte i propri rituali di solidarietà anche in un momento di contatto fra i soldati e la loro comunità d’origine. Dai paesi manca in media un sesto dei suoi abitanti, esposti in continuazione al rischio della morte. Molti di loro si sa già che non torneranno più. Altri sono stati ridotti dalle ferite in uno stato pietoso. Diversi soldati intrattengono una corrispondenza con le organizzazioni proletarie da cui provengono. E il 1° Maggio è l’occasione privilegiata per gli scambi di lettere, contenenti per lo più auguri di pace, o proteste e invettive contro situazioni determinate dalla guerra. La lettura collettiva della corrispondenza e l’invio degli auguri nelle sedi delle associazioni proletarie dove ci si ritrova il 1° Maggio diventa un rito suggestivo abbastanza diffuso.
Nel periodo di guerra il 1° Maggio è regolarmente occasione per l’affissione di manifesti politici. In tutti i manifesti, e in particolare su quelli dei socialisti contro la guerra, si riscontrano frequentemente tagli della censura; tagli che diventano molto pesanti dopo Caporetto. […] Mentre nei manifesti socialisti del 1° Maggio 1915 e 1916 si insiste soprattutto sulla speranza di una resurrezione dell’Internazionale, che porti alla pace e ad una ripresa delle lotte proletarie, nel 1917 questi manifesti sono fortemente ispirati dalla rivoluzione russa di febbraio, che sembra prospettare rivolgimenti democratici ed una soluzione del conflitto in sintonia con le risoluzioni delle conferenze internazionali di Zimmerwald e Kienthal, su una pace immediata e senza conquiste. Nel 1918 il manifesto del municipio di Reggio è l’unico che risulti pubblicato in provincia, sul 1° Maggio. In esso si può notare quanto la concezione evoluzionistica dei socialisti sia stata messa in crisi dalla guerra mondiale: “Quali parole può indirizzarvi la vostra civica Rappresentanza, che già non vi abbia detto in queste ultime ricorrenze del Primo Maggio, in ognuna delle quali, col dolore della perdurante strage umana era la speranza che un nuovo anno ne avesse vista la fine?”. Le speranze di un futuro di emancipazione per i lavoratori sono espresse con termini sentimentali, senza agganci a qualcosa di concreto; prevalgono le constatazioni pessimistiche: l’affratellamento internazionale del 1° Maggio è negato dalla guerra tra gli Stati, può essere più sogno che realtà.
Ancora negli anni successivi, l’esperienza della guerra ha creato i criteri di valore su cui vengono misurate le rivendicazioni dei lavoratori. Per il Giornale di Reggio, il 1° Maggio è più che mai la festa di tutti i ceti che lavorano per il benessere della società; se qualcuno deve essere messo ai margini della festa del lavoro, è chi (come i socialisti) rifiuterebbe di rendere onore ai soldati caduti. Il Partito popolare della provincia reggiana pubblica un manifesto per il 1° Maggio 1919, in cui auspica una pacificazione che sia innanzitutto vigilanza dalle manovre della diplomazia capitalistica ai danni dell’Italia, e soprattutto opposizione alla lotta di classe e alle aspirazioni rivoluzionarie. A Reggio, l’Associazione combattenti distribuisce un volantino per il 1° Maggio 1919, in cui si esprime solidarietà ai lavoratori che rivendicano la giornata di otto ore e maggiori libertà civili, precisando che le libertà conquistate significano per l’Italia anche la salvaguardia dei frutti della vittoria e la condanna di una possibile guerra civile, considerata “un vano scoppio di ribellione inconsulta, o di reazione violenta, che possano ritardare ancor più il trionfo della giustizia sociale”. Per il 1° Maggio 1920, la locale sezione dell’Associazione mutilati e invalidi di guerra pubblica un documento privo di accenti nazionalistici, che considera la guerra solo un evento luttuoso, mentre appoggia le rivendicazioni dei lavoratori – richiamandoli alla solidarietà con i minorati – riponendo più affidamento nelle lotte sociali, per una trasformazione dei rapporti di produzione, piuttosto che nell’assistenza dello Stato, contro la cui misconoscenza si recrimina aspramente.
I manifesti socialisti pubblicati a Reggio nel 1919 richiamano il proletariato alla mobilitazione per evitare nuovi rischi di guerra, e accentuano la speranza in una rinascita dell’Internazionale; non precisano a quali principi si debba richiamare tale organismo, una volta rinato, ma è significativo che nel manifesto della Camera del lavoro e pure in quello del municipio di Reggio non vengano più fatti accenni all’esperienza sovietica, facendo guardare così nostalgicamente, alla vecchia seconda Internazionale: esperienza naufragata nei patriottismi di molti partiti riformisti europei.
Nota. Tratto da Marco Fincardi, Primo Maggio reggiano. Il formarsi della tradizione rossa emiliana, introduzione di Cesare Bermani, 2 voll., Edizione delle Camere del lavoro territoriali di Reggio e Guastalla, Reggio Emilia 1990, II, capitolo XXIV, Proiettili o garofani, pp. 287-323, le citazioni alle pp. 299-323; non sono state riportate tutte le note, un brano è stato riassunto (vedi qui la frase in corsivo tra parentesi quadre).
Ricordiamo che tutti gli articoli relativi al Primo Maggio pubblicati sul sito, insieme ai già citati contributi di Marco Fincardi (quello del 2007 insieme ad Antonio Canovi), si possono raggiungere da questa pagina: https://storiamestre.it/tag/primo-maggio/.
- Noi, La grandiosa manifestazione contro la guerra a Guastalla, in “La Giustizia” (quotidiano), 7 maggio 1912. [↩]
- Cacciola. Il 1° Maggio, in “La Giustizia”, 12 maggio 1912. [↩]
- Dopo la partenza dei soldati per Tripoli, in “La Giustizia” (quotidiano), 1 maggio 1912. [↩]
- Vendicate il sangue proletario sparso in Libia, volantino senza note tipografiche, conservato presso la Biblioteca municipale di Reggio. [↩]
- Una medaglia rifiutata, in “La Giustizia”, 17 maggio 1914. [↩]
- “La Giustizia”, 9 maggio 1915. [↩]
- “La Giustizia” (quotidiano), 3 maggio 1915. [↩]
- Cfr. M. Bonaccioli, A proposito di antimilitarismo, in “La Giustizia”, 25 aprile 1915. Nel giugno 1914 il diciottenne Umberto Bedogni viene arrestato per un parapiglia con la polizia, dopo che un gruppo di giovani rivoluzionari è sorpreso ad attacchinare manifesti clandestini contro le compagnie di disciplina (cfr. “Giornale di Reggio”, 14 giugno 1914). [↩]
- Nei Comuni socialisti, e La disoccupazione in provincia, in “La Giustizia”, 29 aprile 1915. Cfr. anche: “La Giustizia”, 9 maggio 1915; e sul 1° Maggio a Campegine, dove parla il segretario della Camera del lavoro Bellelli: “La Giustizia” (quotidiano), 3 maggio 1915. [↩]
- Nel mondo operaio, in “La Giustizia” (quotidiano), 28 aprile 1915. [↩]
- Riportato in “La Giustizia” (quotidiano), 3 maggio 1916. [↩]
- Uno sciopero balordo, in “Giornale di Reggio”, 1 maggio 1916. [↩]
- Uno scioperetto di donne, in “La Giustizia” (quotidiano), 3 maggio 1916. [↩]
- Primo Maggio, in “Il Popolo”, 6 maggio 1916. [↩]
- Vita guastallese, in “La Giustizia” (quotidiano), 4 maggio 1916. [↩]