di Plinio e Nevio Vecchiato
Scartabellando tra le scatole di scarpe sopravvissute a decine di traslochi, mio fratello Nevio e io abbiamo trovato un foglietto con su scritta una poesia sull’attentato di Sarajevo del ’14 vergata di suo proprio pugno.
Comincio la descrizione dai caratteri estrinseci. Nella stesura manoscritta il testo si presenta redatto su comune foglio a quadri tipo bloc-notes 19×15 cm mediante penna a sfera blu. Qualche brunitura sparsa, fioriture leggere, in generale lo stato di conservazione è buono. Sui bordi residue tracce di nastro adesivo (l’aveva attaccata da qualche parte?). Porta la data del 4 maggio 1992. Data cronica in forma gg/mm/aa. Il mese espresso in numero romano conferisce solennità all’intero impianto formale.
Per comodità del lettore, ecco la trascrizione:
4/V/1992
SARAJEVO, 28 giugno 1914
In un rosso mattino di giugno / Studenti bosniaci / Sobillati dalla Serbia / Infransero sul Ponte Latino / Residue velleità asburgiche. // E giovinette vestite a festa / Acclamavano la macchina imperiale / Dove Arciduca e consorte morganatica / A capo reclino sul sedile posteriore / Fiottavano fresco sangue.
Sono due strofe di cinque versi liberi ciascuna. La prima offre una nitida contestualizzazione storica, la seconda è composta da una sorta di fermo immagine che eterna il tragico momento del duplice assassinio. Allitterazioni ai versi 2-3 e in quello finale quasi a rendere il fluire inesorabile degli eventi. L’E pleonastico che apre la seconda strofa pare preludere il tragico epilogo.
La lirica testimonia il momento civile della produzione di Nevio che riesce qui a conciliare mirabilmente meditazione storica ed esistenziale: proprio lo scatenarsi della violenza e la sempre incombente presenza della morte, fa sorgere nel lettore il sentimento della precarietà dell’uomo.
R. ha lucidamente rilevato come “quelle giovinette, quella macchina, quei capi reclini che fiottano fresco sangue sono sì Sarajevo, giugno 1914, ma sono anche Dallas, novembre 1963”. L’Arciduca in primo piano e, silente sullo sfondo, JFK sembrano qui interloquire, appunto, per immagini, e interrogare il lettore, spettatore attonito e impotente, sull’ineludibilità dell’umana violenza.
Che Nevio avesse in mente i corsi e ricorsi del Vico?
Se abbiamo fatto i conti giusti, nella primavera del 1992 Nevio era al suo primo anno di università, Giurisprudenza a Padova, che fu poi anche l’ultimo. L’anno dopo, con il solo 27 in filosofia del diritto segnato sul libretto, si risolse di tornare a fare quello che era capace di fare: Lettere, a Venezia. Al classico era stato studente diligentissimo, tra i migliori della classe, non bravo come il bravissimo Cipriani, ma tra i più bravi. Storia e Italiano erano le materie sue: prima guerra, battaglia del solstizio, sansepolcrismo e poi Foscolo, D’Annunzio, Pascoli i temi e gli autori prediletti.
Quando tornava da scuola, dopo mangiato, si concedeva un’oretta di passeggiata prima di mettersi a studiare: li chiamava giretti. Questi giretti che faceva avevano spesso per meta l’ala vecchia del cimitero (abitavamo allora in via Rovereto, al 15, il cimitero era dall’altra parte della strada). Girava sul ghiaino per tombe e cappelle in stile liberty, guardava le foto, faceva i conti di quanti anni avevano i morti quand’erano morti, pensava ai sepolcri del Niccolò Ugo.
Per preparare la maturità si era trasferito in cantina in mezzo le damigiane di nostro papà per stare più fresco. Questa cantina era bassa e pochissimo illuminata per cui si portò giù l’abat-jour dal soggiorno (scene di caccia nella campagna inglese stampate sul paralume): pareva Silvio Pellico.
Giovanna Lazzarin dice
il 4 maggio 1992 è un mese esatto dall’inizio dell’assedio di Sarajevo. E’ un caso o c’è anche questo pensiero nella poesia di Nevio?